VERBICARO – Incipit colera morbus – La rivolta del 1855 a seguito di epidemia di colera

 

Il colera fu descritto nei suoi sintomi già da Ippocrate (460-377 a.C.), da Galeno (129-216 d.C.) e numerosi altri medici greci, latini e di epoca bizantina(2). Con la parola greca “kolera”(3)

Il colera, endemico nell’area del Bengala – India – dove è stato segnalato dalla più remota antichità ed all’origine di ricorrenti e devastanti epidemie, circoscritte al bacino del Gange, fu descritto per la prima volta, in India, nel 1782. non ci si riferiva nell’antichità al colera epidemico di provenienza asiatica che imperversò per tutto XIX secolo e parte del XX con tremende pandemie. Anche le cosiddette epidemie di colera segnalate in Europa dal XVI al XVIII secolo non avevano niente a che vedere con il colera epidemico di origine asiatica.

L’ anno 1817 fu la epoca dolorosa in cui il Colera varcò i primitivi suoi confini, facendosi strada nella Europa.

E’ interessante constatare che il colera asiatico comparve in Europa quando la peste scomparve e ci vollero molti anni prima che si comprendesse l’origine geografica e la causa specifica del colera, mentre le vie di propagazione del morbo e i suoi veicoli vennero scoperti molto prima del suo agente specifico.

Il colera è una pandemia moderna poiché connessa allo sviluppo nell’800 dei sistemi di trasporto; alle attività commerciali globalizzate e all’urbanizzazione progressiva della popolazione rurale.

La sempre più rapida circolazione delle merci e delle persone ha consentito la rapida diffusione del colera provocando, nel solo XIX° secolo, la morte di circa 40.000.000 persone nel mondo esclusa la Cina(4)

Non a torto molti studiosi ritengono il colera figlio dell’urbanizzazione e delle sue deficienze mettendo in luce antiche superstizioni, limiti nell’organizzazione sanitaria e palesi disuguaglianze sociali. . Va sottolineato a questo proposito che l’uomo è l’unico ospite per il vibrione colerico e che può diffondersi attraverso il contatto anche tra portatori sani.

Il colera nella sua prima apparizione aveva impiegato oltre 40 anni per raggiungere la maggior parte dei Paesi europei e le Americhe, mentre nella sua successiva ondata – a metà del XIX° sec. – si propagò ad una velocità sconvolgente tanto che in solo 4 anni aveva colpito quasi tutta l’Europa e in meno di un anno aveva interessato l’Inghilterra, la Svezia, l’Olanda, il Belgio, la Norvegia, l’America del Nord compreso il Canada.

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1 Nb: larga parte di questo documento è estratto dal volume La paura di Verbicaro di F. Spingola sull’epidemia del 1911 e da uno scritto, in via di pubblicazione, sulla diffusione del colera nel 1800 che ricostruisce la rivolta del 1855

2 Nel passato alcuni autori, partendo dalle descrizioni più antiche delle sintomatologie legate al morbo del colera, proponevano due diverse manifestazioni della malattia una definita cole e una colera morbus intendo con la prima definizione la forma più semplice che si caratterizzava per il simultaneo attacco di vomito e diarrea, mentre per colera morbus si definiva una affezione più grave con manifestazioni simili al colera con l’aggravante di perdita rapida dei liquidi.

3 Oltre ad Ippocrate diversi altri autori greci e latini, come Celso e Areteo, ci hanno lasciato descrizioni del colera.

4 Il dato è stimato dai demografi ed esclude quando accadde in Cina dove si stima che i morti siano stati circa 82.000.000.

Secondo la letteratura scientifica inerente la diffusione del colera nel XIX° sec., che causò milioni di morti, si è uso sistematizzare lo sviluppo della pandemia in quattro distinte fasi con ovviamente numerosi eccezioni(6)

Le città più colpite furono Brescia, Verona, Treviso, Venezia, Trieste; tutte città del Nord-Est dove il contagio fu propagato dalle truppe austriache. Le truppe francesi furono responsabili della diffusione del morbo in Crimea nel 1855 dove perirono molti soldati, anche italiani ed il loro generale Alessandro Lamarmora. .

Nel 1855, durante la terza pandemia di colera, che imperversò in Italia dal 1852 al 1860, con migliaia di morti, il colera colpisce anche Verbicaro, facendo 408 morti dal 16 ottobre al 31 dicembre su una popolazione di circa 4.000 abitanti. I morti registrati a Verbicaro nel 1855, nel Liber mortuorum della Chiesa, furono in totale 644. In media quasi 2 morti al giorno nell’arco dell’intero anno; mentre nei 76 terribili giorni del periodo acuto dell’imperversare del morbo i morti furono oltre 5 al giorno!

In quel periodo storico Verbicaro è nel Regno delle due Sicilie e l’Italia e la Calabria in particolare è scossa da ricorrenti moti risorgimentali che concluderanno nel 1860 con la spedizione dei Mille e l’Unità d’Italia.

Il colera è, a quell’epoca, una malattia sconosciuta dal punto di vista scientifico (7) e semina morte e terrore nelle popolazioni di tutto il mondo e in Italia e in Europa come a Verbicaro le popolazioni inermi di fronte al  dilagare del morbo pensano che questo sia originato dallo “spargimento di polveri venefiche” – ‘a puriviredda – da parte delle autorità.

Il periodo storico rivoluzionario nel sud Italia, in Calabria e a Verbicaro genera il sospetto che diffondere il colera siano i patrioti risorgimentali che per questa via cercano di sobillare le popolazioni contro le autorità costituite. Infatti dalla lettura dei verbali degli interrogatori degli imputati e dei testimoni della rivolta di Verbicaro del 1855 si evince chiaramente che la preoccupazione maggiore delle autorità borboniche è volta ad accertare se dietro la rivolta ci fosse stata una organizzazione: tutti, imputati, testimoni ed autorità locali smentirono questa ipotesi!

Numerosi studiosi comunque hanno accertato che «I liberali per fare odiare i Borboni nel 1854 dissero che il colera lo spargeva il governo. Posso aggiungere che uguale grave responsabilità pesa su alcuni liberali di Sicilia e rimonta al 1837; fu ribadita nel 1854-55; vi si ricorse con prudenti allusioni sino al 1886 per fare odiare Depretis e Morano…» (8)

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5 Altri autori suddividono lo sviluppo della pandemia in otto fasi che ricoprono un lasso di tempo che va dal suo insorgere nel primo ventennio del XIX° sec. ai nostri giorni..E’ comunque bene fare rilevare che mentre il numero di morti di colera in pandemie recenti è stato ancora alto con molte decine di migliaia di morti, i numeri sono comunque notevolmente inferiori rispetto a quelli delle pandemie del 1800. Questa diminuzione del numero dei morti per colera è funzione delle migliori condizioni igieniche generali a livello globale soprattutto in materia di rifornimenti idrici ad uso civile e agli accentuati controlli sanitari. . «Lo stolto pregiudizio che un tempo fu di Milano – gli untori de i Promessi sposi sono notissimi; e dovrebbero rammentarlo quanti scioccamente attribuiscono alla razza, – lo stoltissimo e nefando pregiudizio è

6 L’organizzazioni in fasi della diffusione del colera nel XIX° e XX° sec. è solo una convenzione che consente di meglio leggere i dati della pandemia e il suo progredire a livello planetario, ma ovviamente la pandemia colpì vaste aree del pianeta in tempi ed intensità diverse. Noi abbiamo preferito la divisione in sette grandi fasi delle epidemie di colera utilizzando gli studi più recenti dell’OMS – Organizzazione Mondiale della Sanità – e di molti altri esperti della malattia non essendoci accordo unanime nella comunità scientifica internazionale sull’argomento. A titolo informativo citiamo i tentativi più recenti di dare una sistemazione organica alla questione: secondo Ackerknecht (1965), le pandemie che raggiunsero l’Europa nel XIX secolo furono quattro: 1826-1937; 1840-1862; 1863-1875; 1883-1894, mentre secondo A. Dodin (1983) nel XIX secolo si ebbero cinque pandemie di colera: 1817-1826; 1829-1833; 1841-1859;1885-1886 e nel 1887, cui andrebbero aggiunte altre due pandemie nel XX secolo.

7 Solo nel 18??? Il medico tedesco Kooch, inviato in Egitto dal governo tedesco per studiare il colera, isola il vibrione colerico.

8 Napoleone Colajanni, Doveva e poteva l’Italia festeggiare il cinquantenario della sua unità? (A proposito di Verbicaro e del Mezzogiorno), in “Rivista Popolare”, 15 settembre 1911, pp. 457-462.

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«Lo stolto pregiudizio che un tempo fu di Milano – gli untori de i Promessi sposi sono notissimi; e dovrebbero rammentarlo quanti scioccamente attribuiscono alla razza, – lo stoltissimo e nefando pregiudizio è

diffuso nel popolo delle grandi città come Napoli e Palermo e dei piccoli villaggi; e non è scomparso del tutto nel settentrione: almeno non lo era nel 1854-55»(9)

Di seguito riportiamo alcuni documenti recuperati presso l’archivio di Stato di Cosenza e Catanzaro che ci consentono di comprendere il clima precedente la rivolta e la dinamica della rivolta stessa ed anche il rafforzamento della diffusa convinzione popolare che il colera fosse “srtefatto” come ci dirà un testimone da noi intervistato sui fatti del 1911. .

 

Nell’elenco degli atti processuali conservati nell’Archivio di Stato di Cosenza leggiamo:

«Picerno Maria – Località: Verbicaro – Anno 1837 – Fascicolo 4 – Motivazione: Spargimento di veleno».

«Silvestri Francesco – Località: Verbicaro – Anno 1837 – Fascicolo 4 – Motivazione:  Propinamento di veleno».

«Spingola  Giosué,  Sarubbi  Giuseppe e Silvestri Domenico – Località: Verbicaro – Anno 1855 – Fascicolo 142 – Motivazione: Sommossa popolare causata dalla diffusione del colera, nel paese, per propinamento di veleno».

Voglio ancora citare il testo di due manifesti apparsi a Castrovillari nel 1837 e nel 1854 (10) . Il primo dice:

«Avviso

Il 1837 venuto! Ossia

Pel Cholera il Veleno!

Tremate! armatevi! Uccidete!

Pria di essere uccisi!

Capite? o non capite?»

 

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9 Napoleone Colajanni, articolo citato.

10 Archivio di Stato di Napoli, fondo Gabinetto di Polizia, fascicolo 1465, volume 17.

 

Il secondo, sullo stesso tenore, recita:

«Avviso

La preghiera si è fatta,

L’annunzio pel Cholera si fece

Ora il coltello è: affilato

Che si attende?

Cittadini scuotetevi! svegliatevi!

Iddio solo ci può uccidere!

E’ veleno si sa, si sa!

E nulla si fa, nulla si fa! »

Castrovillari è a due passi da Verbicaro e allora i due paesi erano più frequentemente in comunicazione di quanto non lo siano oggi, anzi Verbicaro, per il tipo di economia agropastorale aveva più frequenti contatti con paesi come Castrovillari ed altri delle aree montagnose del massiccio del Pollino che non con i paesi della costa.

E dobbiamo ritenere per vero che questo messaggio, nelle popolazioni decimate dalle epidemie, si diffondesse con enorme rapidità e credito. E certo le autorità non si comportavano in modo da convincere le popolazioni del contrario.

Le citazioni riferite ci dicono come tra le popolazioni fosse fortemente radicata la convinzione che a congiurare contro di loro siano sempre le autorità, così è per i verbicaresi: i galantuomini, il parroco, il maresciallo, il giudice.

La credenza della diffusione del veleno era assai diffusa e fu, come abbiamo letto, sfruttata dai politici dell’epoca, liberali in primo luogo, e questo era vero non solo per il meridione ma per tutta l’Italia. A Carrara nel 1911 fu ucciso un medico: «L’uccisore ha creduto che invece di caffeina s’iniettasse veleno al coleroso. C’è differenza tra il veleno di Carrara e la polverella di Verbicaro?» (11)

Ci preme fare rilevare che allora la diffusione delle notizie tra le popolazioni avveniva per trasmissione orale, poiché la maggioranza era analfabeta (12) , e riflettiamo sul messaggio che i manifesti citati vogliono dare, ci rendiamo conto che uno è quello che non si tratta di colera ma di veleno e l’altro è quello di affilare il coltello, di armarsi, ribellarsi e uccidere. Tra popolazioni largamente analfabete erano pochi, e certamente tra le famiglie benestanti,coloro i quali potevano scrivere ed affiggere manifesti e spesso per attribuire responsabilità su persone ben note e potenti.

Nell’interrogatorio di uno imputato di Verbicaro, Raimondo Francesco, per «scritti e manifesti sediziosi allarmanti» leggiamo quanto segue: «Ora ch’è terminato l’affare del Cholera, voglio far conoscere il vero fatto. Il veleno fu posto nella buca dell’orto di D. Saverio Monaco con consenso di detto D. Saverio. L’incaricati erano il Parroco, il Sindaco ed il Capo Urbano. Ricordatevi che l’acqua delle Vene ci stiede due giorni, e dopo tre giorni sviluppò il morbo. Il Cancelliere Belsito nel passaggio che fece per Penna me l’accertò. In tutti i paesi sono state le autorità “incaricati”. Il servente Comunale fu forzato per portare l’acqua, la toccò con le mani e per questo se ne morì» (13)

Con questa storia, con questa matrice culturale, con l’invito a «… Ribellatevi! Uccidete il Sindaco, la moglie di lui, gli assessori, il Pretore, e quando ciò avrete compiuto non più questo preteso (14) colera farà sosta nelle nostre campagne!» (15)  è che i contadini di Verbicaro nel 1855 come nel 1911 si riuniscono e assaltano il municipio e uccidono e vengono uccisi e imprigionati e condannati.

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(11) Verbicaro – La questione calabrese – Tripoli, in “Pagine Libere – Rivista del sindacalismo italiano”, 15 settembre 1911, n. 18, pp. 250-256

(12) A Verbicaro nel 1911 il 93% della popolazione era analfabeta.

(13) Atti del processo politico istruito dalla Gran Corte Criminale di Cosenza contro Raimondo Francesco ed altre sette persone per «scritti e manifesti sediziosi allarmanti», conservati presso l’Archivio di Stato di Cosenza, Processi Politici, anno 1856, fascicolo 108.

14 La sottolineatura è nostra.

15 II Giornale d’Italia, 29 agosto 1911.

 

Il colera a Verbicaro nel 1855 – ricostruzione della rivolta

Lo stato della ricerca fa presupporre, ma stiamo ancora ricercando riscontri nelle fonti storiche, che a Verbicaro l’epidemia colerica, unitamente ad altre quali il tifo e tubercolosi, avesse carattere endemico poiché il tasso di mortalità tra la popolazione è estremamente elevato anche negli anni precedenti e in quelli successivi.

L’arciprete Don Vincenzo Basuini che annotava i morti sul registro parrocchiale nel 1855, il 16 novembre, scrive: “Ora incomincian le dolenti note – Nunc incipit Cholhera morbus – Anno Dni 1855 die 16. Obris. Verbicarii.” Quando ormai i morti, dal primo gennaio al 16 novembre sono già 236, con una media di 16 decessi al mese!

“Il cholera morbo infieriva nel Comune di Verbicaro nella seconda decade del mese di novembre 1855.

Lo antico errore che sorge con i morbi straordinari invase le menti ignoranti ed infermine di que naturali.

Resisi bollente le loro immaginazioni sulla follaccia che le molte vittime che morte mieteva eran vittime degli avvelenamenti, quel popolo cominciò a tumultare.” (Atti della Gran Corte Criminale di Cosenza)

Il 17 novembre, giorno precedente alla rivolta, i morti sono 69!

La popolazione è in preda alla disperazione. I cadaveri giacciono insepolti nella chiesa madre e al camposanto.

La sera del 17 novembre una folla di cittadini si raduna davanti alla Fontana vecchia che si trova sotto l’allora sede del Municipio.

“Volendo far vendetta di coloro che reputavansi propinatori di sostanze venefiche, si assembrarono in massa di più di centinaia ne giorni 18 e 19 suddetto mese di novembre, ed armati di scuri, bastoni e pietre cominciarono a trascorrere per le vie di quel paese.” (Atti della Gran Corte Criminale di Cosenza)

Tutta la popolazione è ormai certa che l’acqua della fontana vecchia sia avvelenata e che ad avvelenarla siano le autorità.

Il sindaco Biase Cersosimo e la gendarmeria reale è presente cerca di calmare gli animi. «L’ammutinamento popolare manifestava, ed a gran folla si correva in detta fontana, per rompere ed esplorarne l’acquedotto. Si frapponevano il Sindaco e qualche Gendarme della Brigata colà residente; e minacciossi l’arresto a chi tanto osasse eseguire. Il Gendarme Luigi Mottola spinto da verace zelo, onde far ricredere quelle affascinate genti, alla presenza di ognuno bevette a sazietà di quell’acqua; e così ciascuno rientrava nell’ordine: Ciò avveniva la sera del 17 novembre 1855.

Ma quel soffio Satannico, che offuscato avea le menti di quei rozzi abitanti, non cercava che ben lieve motivo per rianimarsi, e tanto avveravasi per istraordinario accidente.

Ritiratosi, perché sedato il tumulto, il nominato Gendarme Mottola si vide assalito dal fiero morbo micidiale; ed in meno di due ore non era più tra i viventi».

 

Il 18 novembre muoiono a Verbicaro 96 persone e la morte del gendarme Mottola rafforza nella popolazione la convinzione che l’acqua della Fontana Vecchia sia avvelenata.

Appena sparsasi la notizia del decesso del gendarme    “Verso il mezzo della Domenica 18 di quel mese una gran folla di popolo, muniti non di altre armi che di zappa di scuri di bastoni e di pietre, vedevasi assembrato nella piazza di Verbicaro in attitudine di sommossa. Venne aperta e visitata la pubblica fontana che credevasi  avvelenata. Si trasse dal fondo delle acque una quantità di limo, e fu creduto veleno; maggiormente si confermò la falsa credenza, e la turba insana gridava da tutte parti vendetta, perché non si muore per malattia, ma per la nequizia dell’uomo.

S’immaginò che il veleno fosse comunicato alla fontana da un voluto condotto sottoposto ad un fondaco della casa del farmacista D. Francesco Saporiti, e si corse a sfondare la porta di quel locale per certificarsene.

Cercava impedire questo danno un Felice Lamenza da Grisolia, lasciato dal farmacista a guardia della casa. Ma ira popolare si volse contro di lui; fu raggiunto, percosso ferito, calpestato, e rimase cadavere al suolo.

Lamenza era il promesso sposo di una figlia di Marta Fazio. Fu presa pure in sospetto costei che era uscita in soccorso del suo genero futuro. Venne inseguita dalla ciurmaglia a sassate. Si rifugiò la infelice in una casa, ma discacciata, cadde nelle mani dei furibondi persecutori che la caricarono di percosse e lascianla per morta su la strada.  Era in fatti agonizzante, e cessò di vivere alcuni giorni dopo, senza aver potuto profferir parola.

Intanto suonavano le campane a stormo.

La turba superstiziosa si prosta credendo che suonassero da se che per un vero prodigio.

Anche il Sindaco Biase Cersosimo si era posto in ginocchioni dinanzi la porta del suo botteghino de generi di privativa. In tale attitudine gli venne vibrato un colpo di scure sul capo; altri simili colpi susseguirono al primo; egli crede salvarsi rinchiudendosi nella propria bottega, ma la porta bentosto è fracassata, l’infelice Sindaco è trascinato di nuovo in mezzo a quella calca furiosa che grida la sua morte perché avvelenava la popolazione, è percosso e malmenato in mille guise, e da ultimo è abbandonato credendolo estinto sotto un mucchio di pietre. Non aveva però esalato l’ultimo respiro, e raccolto dai suoi potè fortunatamente campare la vita.

Tali eccessi commettendo non cessava il popolo di gridare Viva il Re! E le campane si facevan suonare tuttora.

Dopo l’eccidio del Sindaco, si gridò di dover fare altrettanto dal Regio Giudice. Quindi l’abitazione di quel funzionario è investita; non si risparmiarono minacce e villanie dicendolo avvelenatore, e si scagliarono sassi contro le porte ed i balconi. Riesce al Caporale di Gendarmeria di frenare con buoni modi quell’impeto brutale; e contenuta la ciurmaglia di assicurarsi se nella casa del Giudice si conservasse il veleno come si diceva, vanno taluni a rovistare, ma ne ritornano assicurando che nulla vi si era rinvenuto.

Si ritorna pertanto in piazza; e quivi atterrata la porta del basso della casa Saporiti vi si cerca indarno, scavandone il pavimento, l’acquidotto della fontana. Indi si assalisce la farmacia, e tutto quanto vi si contiene è messo a distruzione: vasi e cristalli infranti, medicinali fracassati al suolo; armadi, panche, sedie e financo il soffitto son ridotti a pezzi e gittati in mezzo alla piazza, dove infine se ne un mucchio e vi si accende il fuoco.

Così quella prima giornata avea termine e la notte sopravegnente si passava in tregua.

L’indomani però, 19 Novembre, le campane a martello suonavasi indire di buon mattino, e la massa popolare di nuovo si assembrava. Venne detto che D. Francesco Saverio Guaragna fosse pure uno degli avvelenatori: si raccontò di un fazzoletto pieno di sostanze venefiche rinvenuto in un territorio contiguo alla di lui casa, e si assicurò che in un tomolo e mezzo di veleno egli conservava. Fu decretata perciò la di lui morte, e la moltitudine irruppe nella di lui casa per immolarlo. Il miserando vecchio, erasi rimpiattato in un fienile, fu scoverto, e trascinato fuori. Credette il Caporale di Gendarmeria di salvargli la vita facendolo rinchiudere in prigione, ma indi a poco i manigoldi vanno a strapparnelo, e legato lo rotolarono giù per la scala; caduto a terra lo tempestarono di colpi, lo seviziarono in tale guisa fino a farlo morire. Poscia legatagli al collo una fune, ne strascinano il cadavere per le strade.

Compiuta questa strage, e non contenta la moltitudine delle violenze e delle uccisioni, davasi pure alla devastazione ed alle rapine. Già fin dal giorno innanzi molti effetti erano stati derubati sulla casa di Marta Fazio, che si fanno ascendere ad un valore oltre i dugento ducati.

Nel lunedì 19 poi il saccheggio ed il devastamento portavasi nella casa dell’ucciso Guaragna cagionando una perdita di mille e più ducati; ed altrettanto facevasi nella casa del farmacista Saporiti, che per fortuna trovavasi assente, e gli si arrecava il danno per come egli ha dichiarato di dc 2000.

In frattanto le minacce precorso il d’innazi contro il Regio Giudice, si ripetevano dopo la uccisione di Guaragna più feroci. Si gridava che morir dovessero il Giudice ed il cancelliere ed il Brigadiere e le famiglie loro. E già molti erano accorsi nel regio Giudicato , recando quella stessa fune con la quale poc’anzi era stato il cadavere strascinato, per fare, come annunziato, altrettanto delle vittime nuove. Fu allora che il caporale di Gendarmeria secondato da un solo Gendarme e da pochissimi urbani , vedendo estremo il periglio, fe trarre sulla folla due colpi di fucile, da li uno dei quali si tocco nella gamba Salvatore Crudo. Ed a quei due colpi gli ammutinati fugiron via, né più si si adunaron, e tutto ritornò nella quiete.

Parecchi individui vennero nel giorno medesimo arrestati, e molti altri nel dì seguente per misura di polizia sopra indizi che la voce pubblica somministrava di aver essi avuta parte al tumulto ed ai reati.” (Atti della Gran Corte Criminale, Archivio Centro Studi PAN)

“Nella prima istruzione figuravano fra gli imputati il Caporale di gendarmeria Antonio De Stefano, il di lui figlio Francesco, il Gendarme Vincenzo Maggi, il fapo urbano D.Carmelo Carlomagno, il sotto capo D. Placido Dito, e gli urbani Serafino Azzolino, Biase Raimondo, ed Antonio Cirimele come quelli che essendo stati presenti ai fatti criminosi, non solo non avevano procurato di impedirli com’era di loro dovere, ma li avevano anzi incoraggiati accompagnando e secondando la turba che li commetteva. E si poneva che la Marta Fazio perseguitata dal furore popolare cercava un asilo in casa del caporale De Stefano, e questi ne la scacciava dicendo che il popolo aveva ragione, per cui la donna era rimasta uccisa.

Che si De Stefano avesse condotto gli ammutinati in casa del Regio Giudice per cercarsi il veleno. Lo stesso in casa Guaragna, e anche il medesimo Guaragna si era fatto rinchiudere dal caporale De Stefano nella prigione, donde poi era stato tolto e trucidato.

Queste e simili azioni si opponevano agli agenti della forza publica, e portavasi opinione che essi fossero stati consenzienti e fautori del tumulto e dei reati.

Una indagine stragiudiziale compilata dalla Gendarmeria però giustificava la condotta di quegli agenti; i quali non bastando in si piccol numero a comprimere una moltitudine, avean cercato con modi pacifici di contenerla per quanto di potesse, onde evitargli, come furono evitati eccessi maggiori.

La gran Corte criminale ordinò in prosieguo d’istruzione- delegato a ciò il Giudice FF da istruttore in Castrovillari, dietro ministeriale autorizzazione, portava egli a termine con la sperimentata sua abilità e rettitudine il lavoro, e ne risultava

che in quella funesta occorrenza i capi di forza pubblica come le altre autorità del luogo, se non furono abbastanza prevegenti, poiché niun provvedimento anticipato fu messo in uso, non poterono però nel momento dello scoppio del furore popolare tenerlo a freno.

Che parte fuggiti nelle campagne per iscansare il morbo, parte infermi o contristati della perdita di stretti congiunti, altri già trapassati, e taluni anche travolti nello error volgare per cui l’ira popolare si era accesa non potea la Guardia Urbana essere riunita in numero sufficiente per compiere lo scopo della sua missione.

Che si mostrarono solamente il caporale di Gendarmeria Antonio De Stefano e l’unico Gendarme che era sotto i suoi ordini Vincenzo Maggi nonche il capo Urbano Carlomagno, il sottocapo Dito e tre soli urbani che poteronsi radunare Serafino Azzolino, Biase Raimondi, ed Antonio Cirimele. E costoro vedendosi insufficienti a porre argine al torrente, e stimando che opporre la forza sarebbe stato inutile sacrifizio di loro vita ricorsero al partito di un contegno pacifico.

 

Che perciò sin dal momento che la turbolenza si rese manifesta essi comparvero sul luogo e cercarono con le insinuazioni e con le minacce e con le persuasive far disciogliere la turba. E ciò non ottenuto, seguirono la folla per non lasciarla in balia del suo furore, e circoscrissero la delinquenza che diversamente avrebbe preso una estensione maggiore.

Che il far chiudere in prigione D. Saverio Guaragna era un ripiego per salvarlo da morte, tenendo a bada gli assembrati. E similmente un ripiego fu quello di pratticarsi una perquisizione nella casa del Regio Giudice, onde convincerli che non vi era veleno.

Che infine quando la necessità divenne estremamente imperiosa la forza pubblica non mancò al dovere di ricorrere alle armi, tirando due colpi di fucile, e con ciò la vita del suddetto Giudice fu salvata.

Che sciolto l’ammutinamento, la forza pubblica non stiede inoperosa, e nello stesso giorno trasse più che trenta dei colpevoli in prigione, il che valse a ricondurre l’ordine poiché i turbolenti non pensarono più a radunarsi né ebbe effetto la strage del Clero e dei galantuomini, com’era stata di già concertata.

Che non vi è stato alcuno che abbia potuto entrare nell’opinione e moltissimi testimoni della miglior gente del paese sono stati su di ciò uditi. Che i menzionati agenti della forza pubblica avessero autorizzato gli scempi, o che in modo alcuno lo avessero secondati. Chiamati a riesame coloro le cui dichiarazioni nella prima istruttoria portavano manifestata simile opinione, tutti le hanno smentite, sostenendo che esse non la manifestarono poiché non l’ebbero in mente, ed i fatti non lo consentivano, nonché in preconcetto, o malinteso di chi redigeva quelle carte l’aveva messa in bocca di loro, e che essi avean dovuto cedere o per rispetto o per minaccia di punizione.” (da verbale interrogatori pag. 166/168 Arch. Centro Studi PAN)

 

Di seguito riportiamo alcuni stralci di interrogatori che ci restituiscono la tragedia di quei giorni tristissimi vissuti dai verbicaresi.

“R. signore allorchè fu ucciso nel tumulto popolare D. Francesco Saverio Guaragna io mi trovavo in campagna alla contrada Carratella ed al ritorno mi videro il figlio di Purgatorio ed il figlio di Malacera, dei quali non so i nomi. Quando poi commettevano gli altri omicidi nelle persone di Felice Lamenza e Marta Fazio io ero andato in campagna per un carico di acqua perché attese le voci che correvano nessuno si serviva delle acque ch’erano dentro l’abitato, come potranno deporre Filippo Annuzzi, con quale mi trattenni un poco a discorrere innanzi la capanna di un suo cognato, e due altri individui che erano con lui, che egli potrà indicare mentre io non conosco i loro nomi. Per la stessa ragione non conosco chi commise questi misfatti. Riguardo poi agli attentati contro il Giudice Regio sig. Capobianco nulla ne conosco, e non so chi andò in casa sua ad oggetto di trovar veleni. Molto meno presi parte nell’assalto alla farmacia di D. Francesco Saporiti e non conosco chi commise i danni e la distruzione di quanto in essa si trovava. Lo stesso vi dico pel Sindaco Cersosimo.”(da verbale interrogatori pag. 180 Arch. Centro Studi PAN)

“R. signore nel giorno di sabbato 17 novembre tutti e cinque i miei figli dopo aver mangiato, furono presi nello stesso punto da violenti vomiti e dolori, e prima che sopragiungesse la notte li vidi uno dopo l’altro morire. Oppresso dal dolore, l’indomani, domenica mattina, mi occupai a dar loro sepoltura. E mentre mi ritornava a casa per piangere la mia sventura, cammin facendo vidi suonare le campane a stormo, ed in piazza trovai un assembramento di gente che faceva visitare la fontana. Sentii che il brigadiere di gendarmeria parlava al Sindaco Biase Cersosimo, e questi si giustificava che egli non aveva colpa veruna. Sursero voci che entro la fontana si erano trovati dei fichi ed altre cose: si gridava, si schiamazzava, la folla comiciò ad agitarsi. Io restai quasi stupido in mezzo a quella confusione, ma quando vidi che aggredivano il Sindaco e cominciarono a maltrattarlo, tosto me ne andai, e così non fui presente agli altre eccessi che poi seppi di essere avvenuti in quella giornata.

 

Nel mattino seguente, ossia lunedì, avendo avuto notizia che i cadaveri dei miei figli stavano fuori la sepoltura mi portai nuovamente in chiesa e li vidi infatti colà ignudi sul pavimento, che … (parola non decifrabile nda) un acerbo dolore. Li composi alla meglio, e me ritornava quando di nuovo m’imbattei in una ciurma che portava legato il vecchio D. Saverio Guaragna. Andai appresso per vedere cosa se ne farebbero, e vidi che lo chiusero in prigione, ma indi a poco lo menarono nuovamente fuori, e a furia di percosse lo fecero morire. Io non reggendo più a tal vista me ne fuggii; e poscia ho saputo che lo trascinarono con una corda al collo per le vie.

Questo è tutto ciò che io posso dire, e vedute che sono un povero vecchio innocente, e non so come mi si tiene carcerato.

D. E chi erano coloro che in cotal modo trassero a morte Guaragna?

R. Erano molti, ed io non saprei individuarli, solo mi ricordo tra quelli che lo tradussero alla prigione un tale di cognome Silvestri, e non so il nome.

Dietro lettura ha dichiarato che non sa firmare, e lo abbiamo rimandato alla prigione.

Francesco Pacifico

Paolo Vetere” (da verbale interrogatori pag. 198/199 Arch. Centro Studi PAN)

 

Considerazioni finali

Alla fine del 1855 i morti a Verbicaro furono 644: circa 2 al giorno!

Le similitudini con quante accadde Verbicaro successivamente, nella rivolta del 1911, sono molte, ma il contesto storico e le conoscenze medico-scientifiche dell’epoca radicalmente diverse e portano a diversamente considerare le responsabilità delle autorità. Una cosa però rimane ed è che a pagare il prezzo maggiore sono sempre le classi meno abbienti.

La ricerca e l’analisi di quel periodo storico ci aiuterà meglio a comprendere da dove veniamo e soprattutto a progettare “dove vogliamo andare e come”: solo così le sofferenze e le morti dei nostri antenati non saranno rese vane.

Novembre 2011 – Stampato come contributo di ricerca alla settimana di ricordo dei fatti del 1855 in occasione del centenario della rivolta del 1911.

 

Di Felice Spingola

Fonte: web

Foto: web

 

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4 Replies to “VERBICARO – Incipit colera morbus – La rivolta del 1855 a seguito di epidemia di colera”

  1. Felice Spingola ha detto:

    Non so chi abbia effettuato il furto del testo omettendo il nome dell’autore … UN PICCOLO PROVINCIALE, un classico modo di comportarsi da parte di certi “mediocri intellettuali meridionali”
    Felice Spingola che del testo è autore!

    • admin ha detto:

      Qualche parola la devo a qualcuno degli oltre 400 signori che giornalmente frequentano ORSOMARSO BLUES (dati di Google Analytics), che dovesse leggere questo commento del prof. Felice Spingola.
      Il testo di questa pagina è stato preso nel 2013 dalla Rete così come si presentava. A piè di pagina se ne indicano l’autore e la fonte. Sono state aggiunte delle foto, prese anch’esse dalla Rete.
      Il prof. Felice Spingola, autore del testo, lo legge il 25.2.2023, non vede il suo nome e alle 17:55 scrive l’insulto che segue:
      “Non so chi abbia effettuato il furto del testo omettendo il nome dell’autore … UN PICCOLO PROVINCIALE, un classico modo di comportarsi da parte di certi “mediocri intellettuali meridionali”
      Felice Spingola che del testo è autore!”
      Poi si accorge che il suo nome c’era e aggiunge alle 17:57:
      “Sono stato tratto in inganno poiché ho visto il testo modificato rispetto a quello da me messo in rete.
      Ho visto che in fondo è riportato il mio nome.”
      L’insulto però rimane. Siccome è pesante, voglio aggiungere alcune considerazioni.
      1 – Negli oltre 10 anni di vita di ORSOMARSO BLUES non ho mai, ripeto mai, ricevuto accuse di scorrettezza.
      2 – Di ogni testo se ne indicano sempre, ripeto sempre, l’autore e la fonte.
      3 – Lo scopo che ha fatto nascere e mantiene in vita questo blog è quello di far circolare idee, promuovere la lettura, coltivare la memoria della piccola comunità a cui appartengo. I costi e le numerosissime ore di lavoro che vi dedico non hanno altre ragioni. Non produce profitti: non c’è pubblicità. È tutto a carico mio. Devo molto a mio figlio Vittorio: è lui il tecnico che fa funzionare “la macchina”. Gliene sono molto grato. Devo infinita riconoscenza anche agli autori dei libri che ho letto e che condivido con voi nei modi che conoscete.

      Sono un “PICCOLO PROVINCIALE”? Appartengo alla categoria dei “mediocri intellettuali meridionali” che rubano testi?
      Provinciale sicuramente, vivendo ad Orsomarso.
      Ma nel significato figurato provinciale indica chi è “contrassegnato da una arretratezza talvolta non priva di goffaggine”. E credo che questo sia il senso che il prof. Felice Spingola voleva dare al vocabolo. Sono così? Non lo so, non è bello parlare di se stessi. Voi che frequentate questo blog giudicherete.
      Sono un “mediocre intellettuale meridionale” che ruba testi?
      Ladro, no. il motto del blog lo dice chiaramente: “Faccio dire agli altri quello che non so dire bene io” (Montaigne) e poi basta sfogliarne alcune pagine e si trovano sempre autore e fonte. Non mi sento neanche un intellettuale. Mi piace leggere e condividere con gli altri quello che leggo. Sicuramente mi sento invece meridionale, ma non ne meno vanto. Mediocre? Mi confortano la stima e l’amicizia che in 77 anni di vita ho raccolto nei luoghi dove mi sono trovato a vivere.

  2. Felice Spingola ha detto:

    Sono stato tratto in inganno poiché ho visto il testo modificato rispetto a quello da me messo in rete.
    Ho visto che in fondo è riportato il mio nome.

    • admin ha detto:

      È la prima volta che mi arrivano insulti così pesanti, in più di 10 anni di gestione di questo blog. La ragione è che ho grande rispetto del materiale che pubblico.
      Se la gestione del suo testo le sembrava scorretta, bastava segnalarlo e la pagina sarebbe stata subito rimossa. Nel disclaimer viene detto chiaramente.
      Perchè ricorrere agli insulti così pesanti? A ben vedere mi sembrano pure ingiustificati.
      Saluti.
      Cosma Di Leone

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