Per tutti era Zi’ Peppe. Uomo mite e buono. Andava tutti i giorni a fare i suoi lavoretti in campagna, alla Molina o ai Milari.
La morte è andato a cercarlo nei suoi campi, come a volergli risparmiare le inutili sofferenze che precedono il passaggio all’altra sponda.
Salendo da Scalea spesso lo incontravo a Sant’Anario con il suo fagotto, mentre tornava a casa. Mi fermavo e lo facevo salire in macchina. Accennava ad un sorriso e “Parè” (parente) era il suo saluto. E mi spiegava tutte le diramazioni della parentela che portavano fino a noi.
Ha lavorato per un certo periodo in Germania, come tanti altri Orsomarsesi.
Mi è capitato, per motivi religiosi o di lavoro, di accostarmi a pensatori che hanno speso la loro vita per indagare sui tanti “perché” che l’uomo pone a se stesso:
Perché la vita? perché la morte? perché il dolore? perché Dio? ecc. ecc.
Zi’ Peppe il senso della vita se l’è giocato, a parte la parentesi tedesca, su pochi chilometri quadrati, tra i Milari e la Molina, nel suo rapporto con la terra e con le piante.
Quando passo vicino al suo campo, alle curve di Sant’Anario, mi viene da pensarci.
Questa foto mi è arrivata, tramite mail, da Angelo Cersosimo.
Zi’ Peppe è col suo cavallo mentre torna dai Milari.