E se in Europa ridono a crepapelle non è perché ce l’hanno con noi: è proprio perché siamo ridicoli.

apologia
In una delle scene più celebri della saga di Fantozzi, il visconte Cobram – nuovo megadirettore totale, fanatico della bicicletta – annuncia ai dipendenti la prossima gara ciclistica aziendale, ovviamente obbligatoria. Inizialmente il percorso della Coppa Cobram dovrebbe snodarsi su una ventina di chilometri, ma il servilismo dei subalterni li induce a continui rilanci (“20 sono pochi, facciamone 30!”, “ma che dice, 30? Almeno 40!”, “Già che ci siamo facciamone 50!”), sicché alla fine i chilometri saranno 70. All’arrivo tutto bene. Ma “tre ore dopo Fantozzi ebbe qualche leggerissima difficoltà di movimento: ‘Pina aiutami che non arrivo alla maniglia, ho qualcosa che non va alle articolazioni elementari’”. Poi iniziò a deambulare strisciando a terra a quattro zampe, fino ad accasciarsi sul letto matrimoniale, che la Pina aveva nel frattempo diviso, e a schiantarsi sul pavimento. “Il giorno dopo in sala mensa entrò un plotone di supermutilati di tutte le guerre”. Al momento, in letteratura, non esiste migliore ritratto della classe politica italiana degli ultimi tre anni alle prese con i trattati e i vincoli europei. Abbiamo firmato tutto: non solo l’Europlus e il Fiscal Compact, ma anche il Six Pack (nomen omen) che rivedeva il vecchio Patto di Stabilità e ci imponeva il traguardo del pareggio di bilancio. Non contenti, grazie a B., ci siamo pure fatti mandare la lettera dalla Bce per anticipare le scadenze. Ma tutto ciò pareva ancora troppo poco, così sotto il regno Napolitano-Monti il Parlamento urlò all’unisono: “Di più, di più, siiii, siiii, ancora, ancora!”, come i sadomasochisti che si fanno frustare, poi picchiare, poi tagliare, e non ne hanno mai abbastanza. E il pareggio di bilancio – furbi, noi- l’abbiamo inserito addirittura nella Costituzione in tutta fretta. L’ha raccontato ieri Marco Palombi in un pezzo magistrale sul Fatto: una classe politica di dementi – tutti i partiti della scorsa legislatura – votò a tempo di record la più demenziale riforma costituzionale della storia dell’umanità: come se un’azienda, per statuto, si vietasse di investire e si obbligasse a chiudere tutti i bilanci almeno in pari. Roba che neanche Fantozzi e Tafazzi messi insieme. Il ddl che riformava gli articoli 81, 97, 117 e 119 della Carta (riscritti fra l’altro coi piedi) fu presentato dal morente governo B. il 7 settem- bre 2011, ma sfondava una porta aperta perché simile a quelli avanzati da Pd (prima firma quel gran genio di Bersani) e Terzo Polo.
Il 17 aprile 2012 era tutto fatto: doppia lettura Camera-Senato in 7 mesi e niente referendum, vista la maggioranza del 99% (in due letture, complessivi tre No alla Camera e 11 al Senato). Il Fatto, il manifesto e pochi altri piccoli giornali provarono a far notare la follia. Ma i giornaloni di destra, sinistra e centro turibolavano sull’Italia sobria e virtuosa che faceva “i compiti a casa”. A parte gli eroici ex dc Iannacone e Cutrufo e il vecchio La Malfa, nessuno si alzò in Parlamento per domandare ai colleghi se fossero diventati matti: ci furono invece alcuni dissenzienti, come Cazzola e Della Vedova (ora nell’Ncd e in Sc), che invocavano norme ancor più giugulatorie. Siii, daiii, ancoraaaa, di piùùù! Tra i pasdaran del pareggio di bilancio in Costituzione, c’erano quasi tutto il futuro governo Renzi e la sua maggioranza, ma anche gran parte della cosiddetta opposizione (i 5Stelle, contrarissimi, non c’erano ancora). E Renzi mica andava all’asilo: era già sindaco a Firenze e candidato a segretario del Pd. Ma non disse una parola. Ora fa il bullo in Europa (“non sono qui a prendere ordini”), reclama deroghe al tetto del 3% deficit-pil e, siccome siamo al 2,6%, annuncia che saliamo al 3. Qualcuno, per favore, lo informi che l’Europa non ci ha imposto nulla: è l’Italia che s’è messa in gabbia da sola. E non s’è impegnata a fermarsi al 3%, ma a tagliare il traguardo del pareggio strutturale di bilancio, cioè lo zero%. Quindi il 2,6 non significa che possiamo risalire un po’, ma che dobbiamo ancora scendere di parecchio. E se in Europa ridono a crepapelle non è perché ce l’hanno con noi: è proprio perché siamo ridicoli.
Di Marco Travaglio da “il Fatto Quotidiano”
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