Il Monastero dei Santi Elia e Anastasio di Carbone sotto la dominazione Normanna –

            Le sue origini furono piuttosto modeste, ma col passare del tempo e grazie a numerose elargizioni da parte dei signori del tempo, il monastero si ingrandì sempre più e il suo prestigio si accrebbe in tale misura da fargli assumere una incontrastata preminenza in tutta la Lucania e in buona parte della Calabria settentrionale. Una prima donazione è attestata in un documento del 1056 nel quale si legge che un certo Leopardo offrì al monastero un terreno per la salvezza dell’anima della moglie defunta. Quando nel 1059 l’egumeno Luca II decise di partire per il pellegrinaggio, i Normanni avevano conquistato gran parte della Basilicata. Sempre dal documento del 1059, precedentemente menzionato, sappiamo che il primo periodo dell’abbaziato di Luca II fu caratterizzato da una leggera espansione del monastero: la chiesa principale fu rinnovata, fu costruita   una cappella dedicata ai SS. Luca e Biagio e nuovi monaci presero l’abito.

Ma successivamente l’incursione degli “stranieri”, riferendosi molto probabilmente ai normanni, e la rapacità dei compatrioti causarono l’impoverimento del monastero e la dispersione dei monaci. Il monastero si riprese grazie alla generosità dei cittadini di Battibarano, odierna Battifarano, che offrirono a Luca e ai suoi confratelli due chiese abbandonate da restaurare, S. Maria di Cassano e S. Pancrazio, più un terreno sul quale costruire un monastero e una chiesa, oltre a vigneti e campi.

Origini difficili per il monastero di S. Elia e Anastasio, perché la politica dei primi normanni, secondo F. Russo, mirò in un primo momento a neutralizzare e poi a liquidare l’elemento greco, che aveva nei monaci bizantini i suoi assertori più tenaci e qualificati. La loro azione si mosse su una duplice direttrice: fondare e dotare lautamente le abbazie latine e rodere lentamente ma inesorabilmente le posizioni del monachesimo orientale mettendo un gran numero di monasteri greci alla dipendenza delle abbazie latine o costringendole a latinizzarsi. Per queste ragioni le grandi abbazie benedettine come Cava e Montecassino moltiplicarono i loro possedimenti.

Secondo G. Robinson, invece, i normanni erano affascinati dallo spirito bizantino, per cui la legislazione e il linguaggio del rito greco continuarono accanto al latino. V. Falkenhausen sostiene che sarebbe decisamente erroneo interpretare la politica ecclesiastica normanna di quel periodo come un tentativo da parte dei conquistatori di eliminare il monachesimo greco nell’Italia meridionale. Questo perché molti monasteri greci, come S. Nicola di Casole presso Lecce, S. Bartolomeo di Trigona, S. Maria del Patir in Calabria, S. Salvatore di Messina, S. Angelo di Raparo e S. Elia e Anastasio di Carbone, dovettero la loro esistenza e prosperità ai signori normanni.

Ruderi Monastero di Sant’Elia

Questi, infatti, dimostrarono la loro generosità, nei confronti del monastero di Carbone, concedendo privilegi e facendo donazioni, largamente documentate dalla grande quantità di diplomi greci e latini, in buona parte ancora conservati.

Il monastero carbonense giunse all’apice della potenza alla metà del secolo XII, allorché, nel gennaio 1168 il re Guglielmo II emanò un privilegio bilingue (latino-greco) a favore dell’abate Bartolomeo al quale viene attribuito il potere archimandritale di controllare la vita spirituale e la disciplina di tutti i monasteri che professavano la regola di S. Basilio. Il relativo diploma ci fa conoscere i confini dell’ampio territorio:

“Per la sola cura delle anime col predetto modo affidiamo alla sua cura tutti i monasteri greci che si trovano nei territori di Salerno e vengono per Eboli, Oliveto e Conza e di qui a Melfi secondo il corso dell’Aufido e va ad Olivento e da Olivento sino a Bisanello che va sotto il monte Sullicolo; e così discende a Bisanello sino al Bradano; e come passa dal Bradano alla Torre del Mare di qui lungo la costa sino alla croce di Oriolo e di qui va per terra che fu di Alessandro Chiaromonte sino a Cassano e così va per la valle di Laino e va a Bello Vedere e di qui ritorna lungo le coste e va sino a Salerno”.

L’archimandrita di Carbone, quindi, veniva ad esercitare la sua giurisdizione su tutti i monasteri greci della Lucania, della Calabria settentrionale fino a Belvedere, del Cilento, della Valle di Diano e di una parte dell’Irpinia fino a Salerno. Concessione rinnovata dalla regina Costanza all’archimandrita Ilarione nel 1196.

C’è un altro avvenimento in questo periodo che merita di essere ricordato. Nel luglio del 1181 il vescovo di Anglona, Roboan, concedette a Guglielmo, abate del monastero di Monreale ius benedictionis et totum ius episcopale et quodcumque aliud ius, che aveva nell’abbazia di S. Elia di Carbone. “E’ probabile che all’origine di questa offerta v’era la volontà di Guglielmo II, deciso ad estendere il più possibile la giurisdizione ecclesiastica della sua fondazione prediletta. A una tale decisione del re il vescovo della piccola diocesi lucana non poteva che ottemperare. Possiamo immaginarci che l’archimandrita di Carbone non avesse valutato negativamente il cambiamento di giurisdizione. Da un lato, per quanto riguarda gli obblighi sia economici, sia religiosi, per un monastero bene avviato la dipendenza da un vescovo lontano è di regola più conveniente di quella dal diocesano locale; dall’altro, la giurisdizione dell’abate, poi arcivescovo di Monreale, significava un notevole avvicinamento alla corte di Palermo. E, infatti, da Guglielmo II a Federico II tutti i re di Sicilia non cessarono di considerare Carbone nei loro privilegi

Fonte http://www.carboneonline.it/storia/normanni.asp

FOTO: Rete

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