Leggere le cronache da Venezia in questi giorni mette un certo furibondo buonumore. Non per il furto generalizzato, la cresta sistematica, la corruzione diffusa, i metodi stile Frank Tre Dita e lo sperpero di denaro pubblico. Quelle, semmai, sono cose che fanno incazzare e su cui la giustizia farà il suo corso, che è sempre una bella frase, si porta su tutto, come il beige, e non impegna. No, il furibondo buonumore deriva da tutti gli angioletti che scendono dal pero e fanno quell’Ohhh di sorpresa che è alla fine l’unica cosa sorprendente di questa storia. Perché se una grande opera va avanti per trent’anni, di stanziamento in stanziamento, costa alla fine quattro volte il preventivo, vince in tribunale ad ogni udienza, si avvale di un superpotere chiamato “emergenza” e ha intorno il consenso unanime, non ci vuole un genio per capire che qualcuno ci sta lavorando sodo, nel senso che (ora) si sa. E poi, va detto per inciso ma mica poi tanto, che anche la giustizia che fa il suo corso eccetera eccetera non è esente da colpe, visto che i controllori non controllavano e anzi erano messi lì dai controllati per non controllarli. Detto questo, insisto lo stesso: la giustizia faccia il suo corso.
Anche a Milano, s’intende, dove si discute animatamente attorno a una questione di filosofia spicciola, e cioè se le aziende che hanno ottenuto lavori con la frode debbano continuare a farli (si salva, forse, l’Expo) o essere cacciate (si salva, forse, un minimo di etica). Bel dibattito. A cui si aggiungono i tuoni della politica: “Il problema non sono le regole, ma i ladri” (Renzi) e anche “Però bisogna rivedere le regole” (Cantone, supercommissario all’Expo, attualmente ancora senza poteri precisi). Una regola ci sarebbe: mettersi d’accordo.
Però, sia chiaro, la giustizia faccia il suo corso, che è una cosa che bisogna dire per due motivi: essere garantisti (e quindi finché la giustizia non dice, giustamente, son tutti innocenti), ed essere legalisti (chi sbaglia paga e si spera non sbaglierà di nuovo). Con qualche dubbio sulla seconda parte dell’assunto, perché da Italia Novanta, ai mondiali di nuoto, a L’Aquila, al Mose, all’Expo, beh… vedete voi.
Ma insomma, lo ridico: la giustizia faccia il suo corso. E quando lo fa , credetemi, non guarda in faccia a nessuno. Per esempio ieri la giustizia ha fatto il suo corso e ha rinviato a giudizio Erri De Luca, scrittore, intellettuale, cittadino italiano, accusato di istigazione a delinquere. In sostanza, avendo detto che è giusto sabotare la Tav, d’ora in poi ogni sabotaggio, azione, atto ostile nei confronti della grande opera verrà in qualche modo ascritto a lui, entusiasmante metodo medievale per dire che se Erri fosse stato zitto oggi la popolazione della Val Susa farebbe la ola per la gioia fuori dai cantieri. Il tutto al netto del reato di opinione e di parola, che si credeva (ma molto, molto a torto, superato). Dunque, riassumendo, la giustizia faccia il suo corso, per carità. Ma si prenda atto, anche un po’ per senso del ridicolo, che in un paese in cui le grandi opere hanno l’età di Mosé, sono in ritardo, costano dieci volte quello che dovevano costare, ci mangiano sopra un po’ tutti senza distinzione di razza, cultura, sesso, religione o colore politico (visto, che si rispetta la Costituzione?), quello rinviato a giudizio è uno scrittore che ha detto ciò che pensava, che non intende abiurare, che non ha dato né preso mazzette, che nel gennaio prossimo andrà in tribunale, dove la giustizia farà il suo corso. Che è una bella frase da usare in società.
Alessandro Robecchi
Fonte:http://blog-micromega.blogautore.espresso.repubblica.it/2014/06/13/alessandro-robecchi-malaffare-la-giustizia-ha-fatto-il-suo-corso-con-lo-scrittore/
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