
.
“Ricordati uomo che sei polvere, e polvere ritornerai”: così dice il sacerdote al fedele il Mercoledì delle ceneri, mentre traccia con le dita una croce sulla sua fronte. È una metafora di grande impatto, ma forse la sua formulazione andrebbe aggiornata: a forza di sentirci ripetere che diventeremo polvere abbiamo preso provvedimenti, e la sepoltura è così andata ad aggiungersi alla lunga lista di attività umane il cui impatto ambientale è ormai insostenibile.
Sembra assurdo, in una società che ha rimosso la morte fin quasi nel vocabolario, sostituendo la parola stessa con una serie di eufemismi – eppure è così.
Nel suo libro-inchiesta “Il mondo senza di noi”, il giornalista statunitense Alan Weisman si chiede, assieme agli eco-burialists (“eco-sepolturisti”), perché mai siamo così contraddittori da “deporre i corpi nella terra, e poi fare di tutto per sigillarli rispetto ad essa.” A cominciare dalla bara: “le casse di pino hanno ceduto il passo a moderni sarcofagi di bronzo, rame puro, acciaio inossidabile, o bare costruite con, si stima, 60 millioni di board feet* di legni provenienti da zone temperate o tropicali, tagliati ogni anno solo per essere seppelliti sottoterra. Ma non veramente sottoterra, perché la cassa che dovrebbe ospitarci per sempre è inserita dentro un’altra cassa, un rivestimento fatto solitamente di semplice cemento grigio. Il suo scopo è sostenere il peso della terra così che, come accade nei cimiteri più vecchi, le tombe non sprofondino e le lapidi non scivolino quando le bare sotto marciscono e crollano.”
Weisman consiglia alcune metodi più ecologici di sepoltura, come il vecchio semplice lenzuolo attorno al corpo, sottolineando però che raramente questo è permesso nel mondo occidentale, e descrive poi gli eccessi dell’industria cimiteriale, che offre rivestimenti in plastiche indistruttibili e sigilli di butile progettati per resistere a temperature altissime, immersioni nell’acido e bombardamenti di raggi ultravioletti. Un consistente dispiegamento di risorse scientifiche e materiali, insomma, che non può però proteggere un corpo umano dalla decomposizione – curioso, conclude Weisman, che l’unico modo per provare a lasciare una traccia fisica duratura, cioè sperare che le nostre ossa, ricoperte di sedimenti, diventino un fossile, sia precluso da tutte queste costosissime tecnologie che servono solo, in fondo, a proteggere la terra dall’essere contaminata da noi.
.
Nell’Italia sepolta, ma viva, dal cemento, il nuovo obiettivo dell’ossessione edificatrice potrebbe essere il grande giro d’affari cimiteriale – l’ultima trovata è farci deporre sopra la terra, questa volta, anziché sotto.
“Verona punta a diventare una meta per l’estremo viaggio”, scriveva il 24 novembre il quotidiano La Repubblica: “un terreno del Comune potrebbe ospitare il primo grattacielo d’Europa per le sepolture”.
Il progetto prevede 33 piani: “il cimitero verticale di Verona sarà alto 100 metri, un terzo della Tour Eiffel”; “verrà realizzato nella periferia est della città e avrà una superficie di 72.523 metri quadrati”, che sarebbe per ora destinata dal Piano comunale a terreno agricolo, e ospiterà 21 412 loculi e 2 676 cappelle. L’articolo, piuttosto ironico, di Tomaso Montanari allarga il discorso e cita Salvatore Settis, che a proposito della mania dei grattacieli scrive, nel suo Se Venezia muore, che non siamo in grado di “creare per i nostri figli un’armonia degna di quella che abbiamo ricevuto dai nostri padri: questo contegno ormai antico è stato spodestato da un’estetica della dismisura che ha fatto del grattacielo la sua bandiera, da un’etica che ha nel mercato il suo credo unico e inaggirabile».
.
La cosiddetta “miglior vita” rischia quindi di rivelarsi molto simile alla vita attuale: periferie anonime di grigi palazzoni per i vivi, un grigio palazzone di cemento per i morti.
L’idea, comunque, non piace a tutti, e le ultime notizie provenienti da Verona parlano di divisioni anche nella coalizione di maggioranza riguardo al progetto, a cui già si oppongono Pd, Forza Italia e Movimento 5 Stelle.
Dove trovare altro spazio per le sepolture, però, è un problema vero, anche se la storia che, imbottiti come siamo di sostanze sintetiche, i nostri corpi non si decompongono più è solo una bufala – indicativa, come ogni leggenda metropolitana che riesce a venire scambiata per notizia, di un’ansia collettiva, in questo caso riguardante l’innaturalità delle nostre esistenze e il raggiungimento di un’immortalità perversa che ci permette di restare sulla Terra soltanto sotto forma di danno.
.
Sicuramente bisognerebbe preoccuparsi di più dell’enorme impatto dell’industria delle sepolture: come sottolinea Weisman, a che pro dilapidare preziose risorse fossili, minerarie e arboree se tutto questo materiale e tutta questa scienza serviranno solo per restare in mostra qualche ora e poi finire sottoterra?
E perché, si può aggiungere, cavare montagne millenarie per produrre lapidi, e non accontentarsi del legno o, ancor meglio, di una lapide vivente sotto forma di albero?
E il problema dello spazio può solo peggiorare con una popolazione in aumento com’è quella italiana: se sono sempre di più i vivi, saranno sempre di più anche i morti.
C’è chi, in effetti, sceglie di farsi cremare, consumando un po’ di energia per le ore di combustione, ma risparmiando suolo e altre risorse preziose – perché la propria impronta ecologica finisca almeno con la morte.
Altrimenti, dopo aver scomodato la chiesa cattolica, ci tocca dare un consiglio anche ai giornalisti: quando muore qualcuno, evitate di scrivere che è “scomparso”.
Gaia Baracetti
* Il board foot è un’unità di misura per il legname utilizzata negli Stati Uniti e in Canada, corrispondente a un piede quadrato per un pollice di spessore.
.
Fonte:http://www.salviamoilpaesaggio.it/blog/2015/01/limpronta-ecologica-del-caro-estinto/
Foto: Rete