…I PRIMI FANTI IL VENTIQUATTRO MAGGIO – “Questo di Salandra fu un caso d’irresponsabilità di colossali dimensioni”.

ANTONIO SALANDRA

Antonio Salandra

 

Così debole era la preparazione militare dell’Italia che, considerato retrospettivamente, il suo intervento nel conflitto apparve avventato e irresponsabile; a quel tempo però era convinzione di Salandra che le ostilità stessero volgendo al termine e questa in effetti fu l’unica ragione che lo spinse a mettere a repentaglio la sua propria carriera politica e il futuro del suo paese.

Nel negoziare il trattato di Londra, egli aveva chiesto l’aiuto finanziario dei suoi nuovi alleati per pochi mesi soltanto. Aveva trascurato del tutto di assicurarsi l’invio di combustibili e di materie prime, e più tardi giustificò questa sua dimenticanza con la curiosa asserzione ch’egli non voleva disonorare l’Italia contrattando sulla pace e sulla guerra, come se questo non fosse stato appunto quel che aveva fatto per mesi.

Nitti fu da lui bollato di pessimismo per la sua convinzione che la guerra avrebbe potuto durare anche al di là dell’inverno del 1915. Questo di Salandra fu un caso d’irresponsabilità di colossali dimensioni.

Vittorio Emanuele III

Vittorio Emanuele III

Salandra ammise in seguito che le operazioni militari non furono soddisfacenti.  Ciò era in parte colpa sua, in quanto aveva ritenuto possibile fare dell’Italia una grande potenza con poca spesa, tanto che nel 1914 il generale Porro aveva rifiutato l’incarico di ministro della Guerra a causa della parsimonia di Salandra in materia di stanziamenti militari.

Tale era stata la segretezza con cui il presidente del Consiglio aveva condotto le sue trattative con entrambe le parti contemporaneamente, che lo stato maggiore venne finalmente messo a a conoscenza del rovesciamento delle alleanze il 5 maggio soltanto ed ebbe così non più di tre settimane di tempo per preparare la guerra contro l’Austria dopo aver basato i suoi piani sull’alleanza con quest’ultima.

Le successive operazioni militari dimostrarono poi quanto fosse ancora antiquata la strategia dei generali, tanto italiani quanto inglesi e francesi.

Cadorna era del tutto incapace di pensare  in termini di guerra di attacco.  Confermò che quando assunse il comando supremo,  nel luglio 1914, scoperse che i piani di campagna esistenti  erano di carattere esclusivamente difensivo, ed anche in seguito la mentalità ormai profondamente radicata nei militari di vedere ogni cosa dal punto di vista di una possibile invasione nemica continuò ad essere un importante fattore paralizzante. Gli austriaci furono i primi ad esserne sorpresi.

C’era pure il fatto che la guerra libica aveva ridotto le riserve di munizioni e le capacità finanziarie italiane e aveva anche leggermente abbassato il morale dell’esercito. Il capo di stato maggiore riferì più tardi che le forze armate italiane avevano cominciato le ostilità in uno stato di vera e propria disgregazione.

Non contribuì certo a migliorare la situazione il fatto che il re, conformemente a quelle ch’egli considerava le tradizioni della sua casa, si recò immediatamente al fronte per rimanervi quasi ininterrottamente fino al termine del conflitto.

Lo stesso Cadorna non aveva mai esercitato prima di allora un comando operazionale, e le sue principali benemerenze consistevano nel fatto che suo padre aveva liberato Roma nel 1870 e che il suo manuale sull’addestramento dell’esercito era diventato un testo fondamentale.

Egli era un buon organizzatore, ma sia lui che i suoi principali colleghi mancavano d’ingegno, d’inventiva e di elasticità mentale, ed ispiravano d’altra parte scarsa fiducia ed affetto nei loro uomini.

Cadorna non poteva sopportare l’interferenza degli uomini politici e fece sostituire il ministro della Guerra in carica con il generale Zupelli,  da lui stesso designato. Non era disposto ad accettare troppi consigli dai comandi militari alleati, e non volle che il principio del comando alleato unico venisse esteso all’Italia; egli venne così a trovarsi libero da ogni adeguato controllo, cosa questa che doveva rivelarsi fatale.

Fonte:  “STORIA D’ITALIA 1861 – 1969”-  vol. II  di Denis Mack Smith

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