Siamo nel 2015 o nel 1250? Il dubbio, seppur paradossale, è legittimo, perché il caso in questione, accaduto qualche giorno fa, la sera del venerdì 11 per l’esattezza, nella piazzetta di Cellomaio ad Albano Laziale, sembra riportarci indietro di mille anni. O di qualche secolo di meno, se pensiamo ai tempi ancor più bui della Controriforma, quando poteri religiosi e poteri politici erano coalizzati per schiacciare ogni forma di libertà d’espressione.
Questi i fatti. Mentre si svolgeva, regolarmente autorizzato, lo spettacolo teatrale comico-satirico Il Mercante di Monologhi, autore-attore Matthias Martelli, accompagnamento musicale del maestro Matteo Castellan, all’interno delle manifestazioni del Bajocco Festival, ecco nelle ombre della sera irrompere sulla scena un manipolo di strani individui come improvvisamente calati da un altro mondo. Erano forse figuranti, comparse, parte dello spettacolo, reincarnazione del vecchio deus ex machina caro al teatro greco? No, al contrario: decisi e imperterriti, lo spettacolo volevano interromperlo, chiuderlo. Erano quindi vigili urbani o carabinieri o poliziotti con tanto di mandato? O teppisti prepotenti e intolleranti di estrema destra, adusi a bravate del genere? No, risposta sbagliata.
Si trattava, incredibile dictu, di un gruppetto di preti cattolici e seminaristi della vicina chiesa parrocchiale, determinati e discretamente inferociti, saltati sul palcoscenico all’eroicomico urlo di battaglia: «Basta, facciamola finita, è una blasfemia!», riuscendo così a interrompere di colpo la recitazione del monologo Don Iphone. Per gli increduli e i curiosi, la scena dell’interruzione, ripresa con un cellulare da uno spettatore, è su youtube:

dove si può trovare anche il monologo:

Da notare che gli inediti contestatori hanno preso palesemente un abbaglio: Don Iphoneè, in tutta evidenza, la satira non della religione cristiana, ma della sacralizzazione del web, e usa il rituale religioso della messa solo per meglio porre in risalto l’assurdità, questa sì blasfema (per i tradizionalisti religiosi), del nuovo culto del «signore dio web». A nulla comunque sono valse le composte reazioni dell’attore e del musicista, e il coro di proteste indignate degli spettatori, tra cui, pare, un’arzilla vecchietta che brandiva in mano un respiratore.
Se l’Italia fosse stato un paese normale (ma purtroppo non lo è, come va ripetendo instancabilmente Marco Travaglio), l’arcivescovo Semeraro, il giorno dopo, avrebbe severamente rimbrottato i preti del disturbo, invitandoli a chiedere pubbliche scuse agli attori e agli spettatori. Altrettanto avrebbe fatto Marini, il sindaco di Albano, del Pd, ricordando che la libertà d’espressione è garantita dalla Costituzione (art. 21, comma 1, per gli eventuali smemorati). Anche se lo sanno tutti, e i preti timorosi del diavolo più di tutti, che errare humanum, perseverare diabolicum, il sindaco, giustamente diffidente, avrebbe spedito per i due giorni successivi le forze dell’ordine a presidio della piazza, contro altri eventuali disturbatori.
E invece no. Lo spettacolo si rifà, sì, ma spostato in un’altra piazza, poco adatta al teatro, lontano da chiese e sacerdoti poco inclini alla satira.
Di chi la responsabilità degli eventi? Ecco il piccolo giallo, una ridda di voci contraddittorie: chi ha allertato chi? I preti la curia, o la curia i preti? O tutto è avvenuto per uno scherzo del caso? E il sindaco, come ha pubblicamente sostenuto egli stesso intervenendo poi in terza serata allo spettacolo, non ne sapeva nulla? Eppure, a detta degli organizzatori, sarebbe intervenuto telefonicamente «un referente dell’amministrazione comunale». Ha agito come un cane sciolto? Domande senza risposte. Non verrebbe la tentazione di dire: nessun responsabile, tutti responsabili?
Resta la triste gravità dell’episodio, di integralisti religiosi che, seppure per un abbaglio (la satira del monologo in realtà desacralizza la nuova «religione mondana del web», il che dovrebbe tutt’altro che dispiacere a qualsiasi esponente della chiesa, progressista o retrogrado che sia), hanno rinverdito nel loro piccolo lo spirito di censura e repressione premoderne, che, a riprova di un passato che non passa, si è scatenato contro poeti, liberi pensatori, artisti e giullari non solo in altri tempi. Ne sa qualcosa anche Dario Fo.
A smentita del fanatismo religioso, non si può che concludere con una famosa citazione del cardinale Borromeo: «La parola dei letterati è morta, quella dei teatranti è viva».
Fonte: http://temi.repubblica.it/micromega-online/%E2%80%9Cblasfemia%E2%80%9D-albano-laziale-preti-sul-palco-contro-la-satira…/
Foto web