Eolico selvaggio: la speculazione territoriale più estesa dopo quella edilizia degli anni ’60

eolico selvaggio

L’eolico selvaggio nasce grazie a un peccato originale: la programmazione di incentivi spropositati prima ancora di qualsivoglia informazione, confronto, regole o pianificazione.

Tutto ciò è stato impedito e ostacolato nel tempo grazie all’auto-alimentazione della lobby eolica, che ha “reinvestito” quote degli enormi profitti derivati dagli incentivi in azioni di condizionamento delle istituzioni, trasformando quella che era una opzione di energia pulita – ma con tutti i limiti di produzione e di sostenibilità da valutare – inuna colossale speculazione territoriale, la più estesa dopo quella edilizia degli anni ’60. Inoltre, di fronte alla mancanza di regole, si è proceduto all’emanazione di norme quadro nazionali strumentalmente tardive – solo nel 2010 – e per di più con ulteriori, ampi margini di deregolamentazione del settore, arrivando a consolidare l’attribuzione di “pubblica utilità” per i progetti autorizzati a dei privati, con la possibilità di contemplare procedure di esproprio tipiche, appunto, delle opere pubbliche. Paradossalmente ciò ha comportato il condizionamento al contrario delle regole urbanistiche: ad esempio, l’aborto di vincoli e pianificazione o perfino di aree protette, i parchi veri, per fare posto ai parchi finti, quelli eolici, disseminati nel Mezzogiorno.

Anche i Piani paesaggistici sono rimasti in ostaggio e malgrado i danni già prodotti su vasta scala, la lobby continua a invocare altri sussidi che si tradurrebbero in un nuovo disastro con altre centinaia e centinaia di macchine eoliche.

Un processo ingovernato e riferito a null’altro che non alla libera iniziativa di “prenditori” che per quasi un quindicennio hanno presentato progetti a raffica ingolfando gli uffici competenti, del tutto inadeguati e incapaci, e con la perenne minaccia del ricorso al TAR in caso di rigetto. Come se non bastasse hanno poi inventato il mini eolico – che in realtà tanto “mini” non è – con la possibilità di realizzare macchine eoliche singole di qualche centinaio di KW e fino a 1 MW (macchine prossime ai 100 metri di altezza complessiva) con semplice Dichiarazione di Inizio Attività (oggi PAS, Procedura Abilitativa Semplificata). Questa è un’ulteriore sciagura, con lo strumentale spacchettamento di potenze sottratte alla pur blanda verifica ambientale precedente e alle convenzioni con i Comuni.

In sostanza, invece di realizzare 2 macchine da 2,5 MW, con qualche prestanome ne realizzi 5 da 1 MW o 10 da 0,5 MW.

La prima vittima della frenesia eolica nelle regioni meridionali è stata la trasparenza dei procedimenti, con tutto quello che ne consegue per la valutazione di progetti lucrosissimi e privi di rischio di impresa che valgono milioni di euro all’anno. In tutto il Mezzogiorno e nelle isole sono nate improvvisamente come funghi centinaia di srl, spesso con sedi legali estere, per mimetizzarsi con opacità negli intrecci societari. Perfino le mafie hanno avuto partita facile nel business eolico privo di regole, in contesti territoriali dove per altri lavori irrisori si applicano formule di controllo ben più rigide. Le conseguenze sono quelle che la LIPU e altre associazioni o comitati sensibili alle sorti del territorio denunciano da anni. Ecosistemi agricoli e pastorali umiliati e trasformati in piantagioni di acciaio con la frammentazione del territorio a cui hanno contribuito anche le cosiddette opere accessorie: elettrodotti, piste, stazioni elettriche e relativo degrado territoriale. Mega elettrodotti, come il Bisaccia-Deliceto, sono stati proposti o realizzati nel tentativo di compensare una produzione elettrica imprevedibile, e quindi di scarsa qualità, allocata in aree prima ben conservate, con una magliatura elettrica quasi inesistente e per giunta distante dai centri di domanda energetica.

La biodiversità è stata duramente colpita addirittura nei suoi santuari: popolazioni di nibbio reale sono state azzerate, progetti eolici vergognosamente proposti o realizzati a ridosso di importanti siti di nidificazione di cicogna nera, aquila reale, falco lanario e altre specie rare senza contare le conseguenze su vasta scala per uccelli migratori, pipistrelli e altre specie tipiche dei sistemi pastorali. Si assiste cosi alla follia tutta italica: grazie all’eolico, ad Aquilonia (il cui nome è già un programma) scompare un sito di svernamento di nibbi reali più importanti d’Italia che contava un centinaio di esemplari. E invece, mentre in Irpinia come in Basilicata si distruggono le roccaforti di nidificazione di questa specie, in Toscana e nelle Marche, si cerca di salvarle con la reintroduzione di esemplari e con programmi di promozione turistica legati ad animali simbolo di grande bellezza.

Le aree archeologiche o storiche e i piccoli centri urbani con i loro paesaggi rurali vengono profanati e assediati perdendo il loro contesto identitario trasformato in accozzaglia di macchine industriali. Il celebrato paesaggio italiano e quello del centro sud in particolare, primario bene collettivo e valore inalienabile, che nessun cinese avrebbe mai potuto comprare o copiare,spazzato via e ridotto meschinamente a mero contenitore di speculazioni a vantaggio dei soliti noti. Fiumi di denaro hanno in gran parte favorito “investitori” e brevetti esteri, anche cinesi, con buona pace della vera green economy fatta di piccoli artigiani o agricoltori ormai al collasso. Perfino sul piano sociale, le vulnerabili democrazie dei piccoli centri rurali sono state soggiogate e condizionate dall’abbaglio di royalties che poi si sono tradotte in briciole e, con la normativa odierna, azzerate.

Infine, l’analisi energetica è impietosa: malgrado il tappezzare di eolico ovunque, a costi altissimi, il contributo di questa fonte non arriva nemmeno al 5% del fabbisogno elettrico. Ma se lo andiamo a rapportare all’intero fabbisogno energetico (comprensivo di trasporti, riscaldamento, eccetera) l’eolico consegue un misero 1,4%! E questo pur in presenza di una situazione favorevole di depressione della domanda energetica e quindi di maggiore penetrazione delle rinnovabili nel mix complessivo. Valeva la pena una riflessione preventiva prima di devastare molte delle aree più delicate e preziose del Paese? E ancor più oggi, alla luce di questo scandalo, perché si vuole silenziosamente continuare a foraggiare questa immane speculazione e devastare quello che rimane di un bene cosi prezioso?

Dopo l’era dei Certificati Verdi della durata di 15 anni, nel 2012 il Governo Monti aveva cambiato il sistema di sussidi alle rinnovabili elettriche non fotovoltaiche – eolico, biomasse, solare termodinamico e mini idro, che pure sta sfasciando tanti corsi d’acqua – introducendo le aste annuali per i tre anni successivi, onde accedere a sussidi di durata addirittura ventennale, quindi con una base suscettibile di possibile riduzione in base alle offerte delle società partecipanti sulla scorta dei progetti candidati già autorizzati. Con lo scorso anno, l’ultimo previsto, tale processo sembrava ormai chiuso, sia per l’esaurimento delle risorse programmate, per altro in periodo di crisi, che per il caotico superamento degli obiettivi comunitari di contributo rinnovabile elettrico al 2020 già nel 2012, con 8 anni di anticipo. Infatti era previsto il 17% di rinnovabile nel sistema energetico, con il 26% nel solo comparto elettrico. Non è un caso che, proprio per giustificare il superamento di tale obiettivo comunitario,l’Italia ha fatto finta di dotarsi di una cosiddetta “strategia energetica nazionale” con il semplice intento di fornire un assist giustificativo ed elevare, di propria sponte, tale soglia al 36-38% che però è stato anch’esso superato per mera inerzia nel caos energetico, per la crisi che si riverbera sui consumi e per la fuga all’estero di produzioni energivore. Lo scorso anno tutte le rinnovabili elettriche hanno contribuito per oltre il 37% ma grazie soprattutto ai grandi bacini idroelettrici, che da un secolo caratterizzano l’Italia e che da tempi immemorabili non sono più sussidiati. Nel 2014 il sistema idroelettrico, nonostante la trascuratezza della sua manutenzione, ha contribuito – da solo – a metà di questa produzione nazionale da FER. E, scandalosamente ma silenziosamente, non è parimenti un caso che quest’anno, in presenza di bacini idroelettrici pieni, si stia tenendo la produzione da tale fonte con il “freno a mano tirato” a un meno 20%, in nome di una prontezza di intervento per compensare le erratiche produzioni eoliche ma, di fatto, mantenendo una soglia di rinnovabile più bassa a giustificazione di altro eolico!

Non ci sarebbe più territorio da perdere. Intanto, però, è stato approvato il Decreto Ministeriale per nuovi incentivi alle rinnovabili elettriche non fotovoltaiche, da assegnare in larga parte ai grandi impianti eolici. 

Provocatoriamente, di fronte a questa truffa legalizzata, i soldi dovrebbero essere impegnati per smantellarle, le torri eoliche.

Ora invece il nuovo Decreto è stato impacchettato dal Governo ed è pronto per sovvenzionare ulteriori nuovi impianti, soprattutto eolici ma anche biomasse ed altro con ulteriori due aste annuali. Il Decreto Ministeriale Rinnovabili è stato invocato dall’ANEV – associazione di categoria che incredibilmente fu riconosciuta anche come associazione ambientalista – e predisposto da quella politica ormai genuflessa a tali istanze, allo scopo di riaprire i cordoni della borsa per i sussidi a nuovi impianti industriali rinnovabili.

Non rimaneva che l’ultimo passaggio, l’approvazione in Conferenza Stato Regioni, dove i rappresentanti delle Regioni, soprattutto quelle più martoriate e che rischiano di subire ulteriori aggressioni, avrebbero dovuto respingerlo senza appello, se davvero avessero avuto a cuore la propria terra, magari invocando un dirottamento di quelle risorse verso opzioni non impattanti, ad esempio nel trasporto pubblico. Invece, il 5 novembre scorso il provvedimento ha avuto l’ok delle Regioni e la moltitudine di impianti eolici, grandi e meno grandi, già autorizzati – o che, non a caso, hanno intrapreso i procedimenti autorizzativi farsa – continueranno a seppellire i nostri territori e ad arricchire i notabili di sempre, mentre le stesse Regioni continueranno a versare lacrime di coccodrillo. Ci sono solo blande speranze che in sede comunitaria, dove è richiesta una approvazione, vengano mossi dei rilievi per la palese violazione della legislazione comunitaria sugli aiuti alle imprese o che i tempi dilatati favoriscano l’esaurimento delle risorse residue.

Oggi in Italia sono disseminati oltre 9.000 MW, ma non si riescono a conteggiare le potenze installate con impianti “singoli” da 1 MW o meno.

Questa potenza di targa è installata con un numero di macchine anch’esso scandalosamente occulto, ma sono stimabili circa 7000 macchine. Infatti l’anagrafe degli impianti rinnovabili, in primis eolico e fotovoltaico, da sempre invocata dalla LIPU, è rimasta lettera morta e non è un caso: nella mancanza di informazioni e nell’occulto si possono perpetrare meglio le peggiori nefandezze. Con una anagrafe di tali impianti si permetterebbe anche un controllo sociale di tali insediamenti da parte della popolazione che, con qualche semplice click al computer, potrebbe accedere a informazioni relative a una centrale energetica e alla coerenza tra ciò che vede realizzato e ciò che è stato autorizzato e da chi! Questo è doppiamente valido in un periodo in cui le istituzioni preposte al governo e controllo del territorio arretrano sempre di più afflitte da tagli di risorse. Una cosa è certa: il dato, qualunque esso sia, sarà destinato a peggiorare con il nuovo Decreto Ministeriale. Sarebbe possibile ricostruire una banale situazione di ciò che è stato autorizzato o di ciò che è in procinto di esserlo, andando a verificare le istanze presentate in tal senso o le autorizzazioni rilasciate tramite il BURC o semplicemente tramite gli archivi delle istanze regionali; ma chi farebbe questo lavoro? E come potrebbero essere ricercati gli impianti autorizzati con semplice DIA dalla miriade di Comuni? Ci vorrebbero degli obblighi normativi che però nessuno vuole emanare, perfino per una necessità cosi oggettiva.

Bisogna poi essere consapevoli che le rinnovabili odierne hanno grandi limiti, in termini di capacità produttiva e di qualità (continuità e programmabilità) della stessa. Non prendere atto di ciò significa solo sprecare preziose risorse nel tentativo di “fare qualcosa” che però si rivela scarsamente incisivo nella lotta ai gas climalteranti. Appare utile in proposito volgere uno sguardo alla decantata Germania, Paese paragonabile all’Italia per estensione e popolazione e per di più con effetti della crisi meno evidenti, anche sulla domanda energetica, e quindi con relative conseguenze sulla penetrazione delle rinnovabili nei bilanci energetici. La “ventosa” Germania, dopo aver saturato il territorio con oltre 23.000 mega pale ovunque per una capacità di oltre 31.000 MW, consegue con il solo eolico un apporto rinnovabile modesto: 7,7% del contributo elettrico, pari all’1,8% sul fabbisogno energetico totale. Per il suo fabbisogno energetico complessivo (elettrico, trasporti, riscaldamento) la nazione tedesca si basa per oltre il 90% su fossile e nucleare.

Proprio perché le rinnovabili oggi si caratterizzano per una bassa densità produttiva, che va compensata con ampi spazi, e per immaturità tecnologica, bisogna puntare su alcuni principi:

privilegiare solo quelle fonti che riescono ad associarsi allo sfruttamento di territori già compromessi e urbanizzati;

puntare non solo sulla produzione ma anche e soprattutto su efficientamento in settori trascurati e dall’alto valore aggiunto per l’economia del Paese (ad esempio pompe di calore in cui la tecnologia italiana è leader) e per gli interessi sociali (trasporto pubblico, trasporto merci via mare, eccetera);

valorizzare la ricerca con un approccio multidisciplinare, che non contempli solo aspetti energetici ma anche aspetti sociali, ambientali, territoriali.

Sul primo punto faccio notare che dall’indagine dell’urbanista Berdini emergono 750.000 ettari di superfici urbanizzate con il consumo di suolo, solo dal 1995 al 2005, senza nemmeno considerare gli altri decenni di urbanizzazioni e scempi urbanistici. Per contro, in Italia, con il “tutto e subito” invocato da una parte dell’ambientalismo, sono stati insediati quasi 18.000 MW di fotovoltaico in gran parte su suoli agropastorali. Si tenga conto che mediamente 1 MW di potenza da fotovoltaico occupa 2 ettari di superficie. Per avere una cognizione dei numeri in gioco, pur in via assolutamente teorica, con la resa odierna e tutti i limiti finanziari e di intermittenza, in evoluzione, per ottenere il 100% di apporto elettrico dal fotovoltaico (solo del comparto elettrico), sarebbero necessari circa 250.000 MW pari a 500.000 ettari. Insomma, basterebbe sacrificare l’equivalente del Molise o poco più e il gioco sarebbe fatto, oppure cercare spazio in quei 750.000 ettari già compromessi senza oltraggiare i suoli agricoli.

Enzo Cripezzi (LIPU)

Fonte: http://www.salviamoilpaesaggio.it/blog/2015/12/eolico-selvaggio-la-speculazione-territoriale-piu-estesa-dopo-quella-edilizia-degli-anni-60/

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