Calabria, dove i treni non arrivano più

Stazione di Sambiase

Stazione di Sambiase

Capostazione di una stazione senza treni. È Caterina Furfaro, ‘operatore di stazione in funzione di capo stazione’ a Cittanova, una delle ‘porte’ dell’Aspromonte, lungo la linea Gioia Tauro-Cinquefrondi delle Ferrovie della Calabria (ex Calabro Lucane), dove da cinque anni non passano più treni. Linea a scartamento ridotto, 32 chilometri tra il mare e la montagna, 5 stazioni, aperta tra il 1924 e il 1929. Caterina, giovane mamma di un bimbo di 3 anni, ci lavora dal 2007, assunta dopo il pensionamento del papà ferroviere. «All’inizio non volevo, mi stavo per laureare in Giurisprudenza a Messina. Ma poi ho accettato, rinunciando alla laurea. Ed è stata una fortuna perché da ‘dottoressa’ mi avrebbero trasferita a Catanzaro», ricorda.

Caterina Furfaro

Caterina Furfaro

Nel 2008 è andato in pensione il capostazione e da allora è toccato a lei guidare la struttura. «Facevo anche le manovre anche se era un po’ pesante», ci spiega facendo vedere le due grandi leve coi contrappesi che comandano gli scambi prima e dopo la stazione. Ma qui ora non passa più alcun convoglio. «L’ultimo lo ricordo bene, era il 6 giugno 2011. Quel giorno scattò la ‘sospensione del servizio’». Ma lei è rimasta lì, unica presenza umana nella stazione. A vendere i biglietti delle corse sostitutive in pullman. Oggi avrebbe dovuto abbandonare la stazione, un po’ fortezza del deserto dei Tartari, dove i treni, come i nemici, non arrivano mai. «Il 4 dicembre 2015 è arrivato l’ordine di trasferimento temporaneo a Catanzaro per esigenze di servizio, fino alla riapertura della linea.

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Così era scritto. Ma davvero la vogliono riaprire? », ci racconta. Trasferimento ora ‘congelato’, almeno fino al termine del corso che dovrebbe abilitare lei e altri colleghi alla qualifica di dirigente al movimento. «Meglio così – commenta Caterina –. Non so come avrei fatto con 1.000 euro al mese a permettermi una casa a Catanzaro. Ne ho una qui nel mio paese, dove oltretutto lavora mio marito». La incontriamo nell’unica stanzetta rimasta indenne da danneggiamenti e vandalismi. Il primo piano dove c’era l’abitazione del capostazione è sbarrato. La sala d’attesa e le altre stanze al piano terra hanno muri sfondati e ‘istoriati’ di graffiti di ogni tipo. Tutto sa di abbandono, come le piante cresciute tra i binari o sulle banchine. Perfino l’albergo a fianco, un tempo un gioiellino, è desolatamente in rovina. Si dice che sia luogo di ‘riti satanici’ e in effetti all’interno troviamo simboli sospetti, foto di persone morte, macchie di sangue. Nella stanzetta di Caterina i ricordi di un passato glorioso, le foto del convoglio bianco e rosso a gasolio (la linea non è elettrificata), un telefono a manovella, le vecchie tariffe. «C’erano 23 corse dall’alba alle 20,10, mentre quelle dei pullman sono solo 12, dalle 6,46 alle 15,30».

E la differenza si legge anche negli incassi. «Prima, col treno, facevo un fatturato di 3mila euro al mese, ora coi pullman solo 1.000». Una linea ferroviaria molto utilizzata da studenti e pendolari, anche per il bassissimo costo. Da Cittanova a Gioia Tauro il biglietto costava appena 1 euro e 34 centesimi, ora su gomma è quasi raddoppiato, arrivando a 2,40. Un’ulteriore immagine delle occasioni perse in Calabria. Una linea che attraversa paesaggi straordinari, che potrebbe portare i turisti in pochi minuti dalle spiagge ai boschi dell’Aspromonte. Ma anche metropolitana di superficie per i cittadini dell’area, risparmiando spostamenti in auto più costosi e inquinanti. Ma servono progetti concreti. Per ora Caterina continua a presidiare da sola la stazione dove i treni non fermano più.

Fonte: http://www.avvenire.it/Cronaca/Pagine/Calabria-dove-i-treni-non-arrivano-pi-.aspx

 

Stazioni senza treni, treni senza stazioni; paesi senza gente, gente senza paese…strade provinciali che fanno rimpiangere le mulattiere, strade statali ridotte a cimitero; opere incompiute e macerie, abbandono e desertificazione, devastazioni e frane; isolamento e solitudine.
Intanto il governo nazionale e quello locale fanno a gara per ricordarci le “magnifiche sorti progressive” che ci aspettano: inaugurazione di nuove strade e grandi opere, con un mai sopito pensierino al Ponte.
Speriamo che la colpa di questi disastri (che per alcuni è una fortuna) non venga data ai giornalisti che ce li ricordano o a quegli impenitenti disfattisti e pessimisti che non sanno convincersi di vivere nel migliore dei mondi possibile e che, magari, continuano a illudersi che il peggio possa finire e sperano di essere smentiti dai professionisti del “fare” (che ancora sono bravi solo nelle chiacchiere e nelle lamentele).

Vito Teti

Fonte: dalla pagina Facebook dell’autore

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