U pagghjaro era un evento particolarmente sentito dai ragazzini degli anni ’50 e ’60.
Era una delle tante manifestazioni della civiltà contadina. Riproponeva riti che erano appartenuti al mondo pagano. Si preparavano (e in alcuni paesi ancora si preparano) in tutta Europa, in date però diverse: in alcune zone nel solstizio di giugno, in altre il giorno dell’Epifania, in altre ancora a marzo, nell’equinozio di primavera, quando lo facevamo noi.
In alcune regioni nel fuoco veniva bruciato un fantoccio, “la vecchia”. Si bruciava l’anno vecchio con tutti i suoi affanni e ci si preparava, con qualche segreta speranza, alla nascita del nuovo con l’arrivo della primavera.
I ragazzi cominciavano già ai primi di febbraio la questua. Andavano casa per casa: “San Giseppe!”. Le signore davano na punta ri linno o un po’ di olio, oppure, in rari casi, 5 o 10 lire. La legna veniva conservata e serviva poi per preparare u pagghjaro.
Anche gli adulti sentivano l’evento e facevano la loro parte: andavano a prendere a ‘ntinna, tagliavano ed aiutavano i ragazzi a portare le frasche, lo armavano.
In paese se ne preparavano diversi e c’era una tacita gara tra i diversi vicinati per vedere chi aveva a ‘ntinna più alta, chi riusciva a preparare quello più grande, chi sapeva abbellirlo in modo più originale.
Alla vigilia di San Giuseppe si accendevano. Ed era una festa. Qualcuno portava qualche fiasco di vino, altri qualcosa da mangiare e il mantacetto rendeva dolcissime quelle ore.
A notte fonda, quando il fuoco era quasi spento, si tornava a casa.
Oggi, grazie all’azione di pochi volenterosi, si fanno solo quello del Palazzotto e quello sulla sponda dell’Argentino, sotto via Castello. Ma è un’altra cosa.
Con la fine della civiltà contadina è finito anche il piacere di fare u pagghjaro.
In questa foto del 1958 vedete, dietro i ragazzi, quello già ultimato preparato sotto la Fontana del 26.
I due signori sono Diego Paolino e Mario Forestieri.
I bambini? Mi arrendo. E chi si ricorda i nomi di tutti quei “quatrari”!
One Reply to “U pagghjaro di san Giseppe”
bella storia….mio padre ha sempre raccontato tutto di Orsomarso ma questo mai….qui aveva 18 anni chissà se c’è lui nella foto…l’anno dopo se ne andò in Francia con altri paesani…