“La lettera di Ramesse”, esilarante quadretto degli equivoci di A. Campanile

 

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Dolce era la sera sulle rive del sacro Nilo. I colori del tramonto indugiavano sulle acque, che si vedevano scintillare e tremolar fra le palme, dietro il tempio di Anubi. Si levò un sommesso canto di sacerdoti. Poi tutto tacque.

Ramesse passeggiava pensieroso e la solitudine del luogo, che pareva fatto per i convegni d’amore, aumentava la sua tristezza.

Coppie scivolavan tra le ombre, poco lontano. Egli soltanto non aveva una compagna. Qui  l’aveva vista la prima volta, qualche giorno prima e qui tornava ogni sera in amoroso pellegrinaggio, con la speranza d’incontrarla di nuovo e palesarle l’amor suo.

Ma la ragazza non s’era rivista.

“L’amo”, diceva a se stesso il giovine egizio “l’amo appassionatamente. Ma come farglielo sapere? Ecco, le scriverò una lettera”.

Corse a casa, si fece portate un papiro e s’accinse a buttar giù la dichiarazione d’amore, imprecando contro lo strano modo di scrivere degli egizi, che obbligava lui, poco forte in disegno, a esprimersi per mezzo di pupazzetti.

“Vedo con piacere che ti sei dato alla pittura” gli disse il padre, quando lo vide all’opera.

“No, sto scrivendo una lettera”, spiegò Ramesse.

E si mise al lavoro pieno di buona volontà.


“Le dirò” fece: “Soave fanciulla…”.

(E disegnò alla meno peggio una fanciulla cercando di darle un ‘aria quanto più fosse possibile soave).

…dal primo istante in cui vi ho vista…

(Cercò di disegnare un occhio aperto e appassionato).

… il mio pensiero vola a voi…

(Come esprimere questo concetto poetico? Ecco: tracciò sul papiro un uccello).

…Se non siete insensibile ai miei dardi d’amore…

(E disegnò una freccia scagliata).

… trovatevi fra sette mesi…

(Sette piccole lune s’allinearono sul papiro).

…lì dove il sacro Nilo fa un gomito…

(Questo era molto facile: all’inamorato bastò tracciare un fiumicello a zig-zag).

..e precisamente vicino al tempio di Anubi…

(Anche questo era piuttosto facile, l’immagine del dio dal corpo d’uomo e dalla testa di cane essendo nota a tutti).

.. perché possa esternarvi i sensi di una rispettosa ammirazione…

(Disegnò se stesso che s’ inginocchiava).

…Mi creda, con perfetta osservanza, eccetera, eccetera.


Terminata l’improba fatica il giovine e intraprendente egizio consegnò la lettera al servitore:”Portala alla figlia di Psammetico” disse. “E’ urgente”.

“Oh”, fece il vecchio analfabeta “il grazioso cannocchiale!”.

“E’ un papiro, asino. C’è risposta”.

Dopo poco, la soave figlia di Psammetico decifrava i disegni non troppo riusciti del giovine Ramesse, dando ad essi la seguente interpretazione:


Detestabile zoppa…

…ho mangiato un uovo al tegamino…

…voi siete un’oca perfetta…

…ma, nel fisico, somigliate piuttosto a una lisca di pesce…

…Vi piglierò a sassate…

…Siete un ignobile vermiciattolo…

…e avete bisogno della protezione di Anubi…

(“Mascalzone!” pensò la fanciulla. “Anubi è il protettore delle mummie!”).

…Ora smetto perché debbo pulirmi le scarpe.

Saluti, eccetera, eccetera.


“Grandissimo vigliacco” strillò la ragazza. “Ora ti accomodo io!”.Prese lo stilo e sotto la stessa lettera scrisse:


Se io sono un ‘oca…

…ma non mai una mummia…

…lei è un beccaccione…

…e io la prenderò a pugni.

Frase che ottenne disegnando con grande perizia un’oca, Anubi cancellato, un animale cornuto e un pugno chiuso.


Restituì la lettera al servitore di Ramesse, che tornò dal padrone.

Figurarsi la gioia di questi, quando credé di decifrare – sempre per la sua scarsa pratica di disegno – come segue i geroglifici della ragazza:


Anche il mio pensiero vola costantemente a voi…

…ma ritengo che non è prudente vedersi presso il tempio di Anubi;

…piuttosto; un buon posticino tranquillo credo si possa trovare nei paraggi del tempio del bue Api…

…dove vi concederò la mia mano.


Quattromila anni sono passati. Il papiro di Ramesse è stato tratto alla luce da un grande egittologo, il quale dopo due lustri di profondissimi studi è riuscito a ridare all’ammirazione degli uomini il brano di sublime poesia contenuto in esso.

Eccolo, nella traduzione integrale che ne ha fatto lo scienziato:


O Osiride che danzi stancamente

sul fiore del loto,

seguita dall’lbis, uccello a te sacro,

io t’offro la spiga del grano

e sette piccoli fagiuoli di fresco sgranati,

acciocché tu tenga lontano da me il serpente dell’invidia,

al sommo Anubi,

a cui mi prostro,

seguito anch’io dall’Ibis sacro,

sacrificando; un grasso vitello

che abbatterò di mio pugno.

Da “In campagna è un’altra cosa“, di Achille Campanile

Foto RETE

 

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