La lingua greca della comunicazione filosofica e scientifica: Archimede

Archimede

Archimede

Colonia in greco antico si dice apoikia che letteralmente significa “casa fuori”; la diaspora dei Greci, che li portò alla fondazione di poleis (quindi di colonie) in tutto il Mediterraneo, si verificò in due fasi: in un primo momento, verso il 1044 a.C. (secondo Eratostene di Cirene, III sec. a.C.), si ebbe una vera e propria fuga, a causa delle invasioni, specialmente quella dorica. Nell’VIII sec. a. C. cominciò invece un flusso migratorio organizzato, provocato dal forte incremento demografico delle poleis.
Il termine apoikia indica con estrema precisione il significato di una colonizzazione: all’atto della partenza, infatti, la città-madre forniva ai coloni ogni genere di aiuti: navi, mezzi, informazioni; quando però la spedizione prendeva possesso delle nuove terre, formando dunque una nuova comunità, la polis che nasceva era del tutto autonoma rispetto alla madrepatria. Certamente erano molti i legami che restavano, come la lingua, la cultura, la religione, i rapporti commerciali, ma cessavano completamente quelli politici; la colonia era libera di espandersi, di seguire un suo sviluppo originale, stipulava trattati, fondava a sua volta altre colonie, si dava leggi, sceglieva i propri magistrati; tutta questa serie di scelte e ordinamenti senza alcuna interferenza della madrepatria.

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La prima colonizzazione (vd. immagine in alto) ebbe come meta l’Asia Minore e come punto di partenza tre aree greche: la Tessaglia e l’isola di Lesbo, da cui mossero coloro i quali fondarono la dodecapoli eolica; l’Attica, l’Eubea e le Cicladi, da cui partirono i fondatori della dodecapoli ionica; da Rodi mossero infine i coloni dell’esapoli dorica. Con la colonizzazione di queste tre aree si ebbe l’affermazione della struttura della polis, cioè della città-stato, e la formazione delle grandi aristocrazie che presero il posto delle monarchie, caratteristiche dei regni micenei preesitenti. Con questa prima colonizzazione ebbe anche fine il cosiddetto Medioevo Ellenico, l’”età buia” che va dal XII al VIII sec. a.C., così definita per la totale assenza di scrittura.

Ma l’evento che più ci interessa per spiegare la presenza di elementi dorici nella lingua utilizzata da Archimede è la seconda colonizzazione (vd. immagine in basso), che si verificò a partire dall’VIII sec. a.C.; questa, dovuta a un forte incremento demografico e ai problemi socio-economici che derivano da esso, ebbe come meta la Magna Grecia e la Sicilia. Le colonie greche più importanti sorte in questo periodo in territorio italiano, furono: Cuma, Napoli, Paestum in Campania; Sibari, Crotone, Locri, Reggio in Calabria; Naxos, Catania, Siracusa, Messina, Agrigento in Sicilia.

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Siracusa
Siracusa fu fondata nel 733 a.C. dai Corinzi, (quindi una popolazione dorica) e qui fiorirono due famosissime tirannidi, quella di Gelone (V sec. a.C.) e quella di suo fratello Ierone (478-466). E’ in questa colonia che visse Archimede durante tutta la sua vita, circa dal 287 al 212 a.C., e questo spiega gli elementi dorici presenti nel suo linguaggio. Archimede, uno dei massimi scienziati della storia, è stato un matematico, astronomo, fisico, e inventore.

L’Arenario
Archimede riferisce la teoria eliocentrica di Aristarco di Samo nell’Arenario, un’opera dedicata a Gelone II (308-216 a.C.), nella quale si propone di quantificare il numero di granelli di sabbia che potrebbero riempire la sfera delle stelle fisse. Il problema nasceva dal sistema greco di numerazione, che non permetteva di esprimere numeri così grandi. L’opera, pur essendo la più semplice tra quelle di Archimede dal punto di vista delle tecniche matematiche, è interessante innanzitutto perchè introduce un nuovo sistema numerico, che virtualmente permette di quantificare numeri grandi. Il contesto astronomico giustifica poi due importanti digressioni: la prima è appunto la teoria di Aristarco ed è la principale fonte sull’argomento, mentre la seconda descrive un’accurata misura della grandezza apparente del Sole.

Le ‘peripezie filologiche’ delle opere di Archimede
Il “massimo ingegno sovrumano” di colui che Galileo chiama “il mio maestro” e ch’egli scrive “aver superato tutti”, eccelle in modo particolare nelle opere matematiche, le quali non sono compilazioni o raccolte; infatti egli è principalmente un inventore, ed i lavori da lui lasciati contengono idee nuove, per la massima parte escogitate e trovate esclusivamente da lui. Gli scritti di Archimede ci sono pervenuti nel testo originale greco e sono redatti in dialetto dorico, o, più esattamente, in dialetto siculo-dorico, ma, ad eccezione dell’Arenario, vi furono varie aggiunte e variazioni “per parte di un primo interpolatore che apparisce perito nel dialetto dorico; un secondo interpolatore, e precisamente dopo Eutocio (1), ha completamente rimaneggiata una delle scritture, annullando quasi in essa le traccie del dialetto originale” (come scrive Antonio Favaro nel 1923 (2)). In epoca rinascimentale le opere di Archimede furono tradotte e commentate dai matematici, ma non da filologi puri, dunque le modifiche linguistiche non furono rilevate; esse furono approfondite invece agli inizi del ‘900, quando i legami della filologia classica con la storia delle scienze divennero oggetto di studio.
Nella seconda metà del XIII secolo si conservava il testo greco di tutti i trattati di Archimede allora conosciuti, e nel 1269 esso pervenne nelle mani d’uno studioso il quale, essendo stato lungamente a Tebe al tempo dell’ impero latino di Costantinopoli (1204-1261), tornato in Italia, a Viterbo, ne curò una versione latina; dopo di che la scrittura originale sui galleggianti scomparve e la memoria fu affidata alla traduzione, che fu certamente nota a Leonardo da Vinci. Pervenuta nelle mani di Tartaglia, egli ne curò la prima pubblicazione. Fortunatamente di questa pubblicazione latina venne a conoscenza Federico Commandino (1509–1575), un matematico ed umanista italiano, uno dei maggiori traduttori delle opere dei grandi matematici dell’antichità, il quale ne fece una trascrizione chiara e corretta. Servirono ancora altri studi e traduzioni posteriori prima di recuperare quell’antica versione nella quale era stato fedelmente conservato il carattere greco dell’originale.

(1) Eutocio di Ascalona(480-540 d.C. circa) fu un matematico greco vissuto nella prima età bizantina.
(2) “Archimede”, di Antonio Favaro; Collana Profili, 21 – Seconda edizione; A. F. Formiggini Editore; Roma, 1923.

Il ‘Palinsesto di Archimede’

Il 'Palinsesto di Archimede'

Il ‘Palinsesto di Archimede’

È interessante anche la storia del cosiddetto ‘Palinsesto di Archimede’; formato da 174 fogli di pergamena, esso contiene una serie di preghiere scritte su un libro che conteneva le seguenti opere di Archimede: ‘Equilibrio dei piani’; ‘Spirali’; ‘La misura del cerchio’; ‘Sfera e il cilindro’; ‘I corpi galleggianti’; ‘Stomachion’; ‘Il metodo’.
Mentre il testo greco delle prime quattro opere è trasmesso anche da altri manoscritti, del trattato ‘I corpi galleggianti’, prima del ritrovamento del palinsesto, si aveva solo una traduzione latina, mentre ‘Il metodo’ era del tutto sconosciuto e dello ‘Stomachion’ si aveva solo un frammento in traduzione araba. Il palinsesto contiene anche opere di altri autori.
Questo codice fu scritto durante la prima metà del X secolo, probabilmente a Costantinopoli. Nei secoli successivi il manoscritto fu trasferito a Gerusalemme, probabilmente a seguito del sacco di Costantinopoli del 1204 ad opera dei crociati; qui nel XIII secolo il libro fu scomposto e la pergamena ottenuta, cui si aggiunsero ulteriori fogli provenienti da altri libri, fu grattata per cancellarne il contenuto e sovrascrivervi un testo di preghiere.
All’inizio degli anni Quaranta dell’Ottocento lo studioso Constantine Tischendorf scoprì a Costantinopoli un palinsesto contenente delle opere matematiche, da cui prese un foglio poi venduto alla Cambridge University Library nel 1879; solo nel 1968 il foglio fu riconosciuto come parte del Palinsesto di Archimede.
Nel 1899 Papadopoulos Kerameus scoprì il palinsesto nel Metochion del Santo Sepolcro a Costantinopoli, sebbene fosse di proprietà del patriarca greco di Gerusalemme. Egli notò che il palinsesto aveva contenuto originariamente un testo di natura matematica, ancora parzialmente leggibile; basandosi su tale testimonianza dal 1906 al 1908 il filologo Johan Ludvig Heiberg esaminò il palinsesto scoprendovi opere di Archimede ancora leggibili. La notizia fece immediatamente il giro del mondo destando subito stupore in quanto Heiberg aveva scoperto anche un’opera di Archimede sconosciuta ossia ‘Il metodo’. Il palinsesto fu poi sottratto dalla biblioteca del Santo Sepolcro finendo a Parigi nella collezione di un privato, ricevendo nel frattempo molti danni, la perdita di alcuni fogli e persino la copertura di quattro pagine con false miniature antiche.
Nel 1998 il palinsesto fu venduto all’asta presso Christie’s e acquistato da un anonimo americano. Da allora è iniziato un lungo lavoro di recupero del testo delle opere archimedee con l’uso di moderne tecniche di rilevazione con i raggi X e la luce di sincrotrone. Tali tecniche stanno permettendo di leggere porzioni di testo rimaste inaccessibili a Heiberg, nonostante le condizioni del palinsesto siano gravemente peggiorate nel secolo trascorso.
Il Palinsesto attualmente è custodito presso il Walters Art Museum di Baltimora, in attesa che si completi il suo restauro.

Di GIUDITTA FULLONE

Fonte: http://www.beic.it/project_galileogalilei/giuditta_fullone_archimede.php

Bibliografia e sitografia:
Bibliografia e sitografia:
1. L. E. Rossi e R. Nicolai, Corso integrato di letteratura greca, Le Monnier, Firenze, 2006
2. The Archimedes Palimpsest, http://www.archimedespalimpsest.org/.

Foto RETE

 

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