I MONTI DELL’ORSOMARSO: l’ambiente e la storia

MONTI DI ORSOMARSO - In primo piano la valle dei Milari, poi la cresta di Cristodero, sulla destra Minzinaro, in fondo la Serra,, più a sinistra Rajone e poi le cime di Costantino

MONTI DI ORSOMARSO – In primo piano la valle dei Milari, poi la cresta di Cristodero, sulla destra Minzinaro, in fondo la Serra, più a sinistra Rajone e poi le cime di Costantino

 

Il toponimo “Orsomarso” si deve a Franco Tassi che nei primi anni ’60 ribattezzò quest’area con il nome di uno dei borghi più caratteristici, appunto Orsomarso. Il nome è quindi attribuito dall’esterno e imposto dalla pubblicistica nazionale, mentre prima di quella data non è mai esistito un nome unitario, ma ciascuna zona aveva il suo specifico nome (montagna di San Sosti, montagna di Saracena, montagna di S.Agata d’Esaro e così via). Alcuni studiosi, perfetti e appassionati conoscitori dell’area, come Francesco Bevilacqua, propongono di chiamare il massiccio come “Gruppo del Pellegrino“, dal nome della cima più alta (appunto il Cozzo del Pellegrino, con i suoi 1987 metri). 

I monti dell’Orsomarso sono fisicamente separati dalla catena del Pollino dalla piana di Campotenese e rispetto al massiccio più celebre del Pollino quest’area si presenta come ancora più ricca, più variegata e più selvaggia.

Valle dell’Argentino

Le cime che compongono questo gruppo sono per lo più sconosciute: a nord il gruppo del Monte Ciagola (metri 1462), inciso dalla valle del fiume Lao (che nel tratto compreso tra Laino e Papasidero assume i caratteri di vero e proprio canyon, stretto tra pareti di roccia verticali) e caratterizzato da cime ampie e per lo più spoglie di vegetazione; più a sud il gruppo del Monte Palanuda (metri 1632) con la valle del torrente Argentino, affluente del Lao, forse l’area naturalisticamente più interessante dell’intero massiccio; il gruppo del Monte Caramolo (metri 1827), insieme di brevi dorsali ricoperte da foreste e intervallate da vasti pianori come per esempio il Piano di Novacco; il gruppo del Cozzo del Pellegrino (con metri 1987 la cima più alta di tutta l’area), che forma un grandioso anfiteatro montuoso sulla testata della valle del fiume Abatemarco; il gruppo del Monte La Mula (metri 1935); infine all’estremità sud, il gruppo della Montea (metri 1825), forse il più selvaggio e impervio e quello dai caratteri maggiormente alpini, compreso tra la gola del Rosa e la forra dell’Esaro, con lo spettacolo inusuale della Pietra Portusata, un’imponente formazione calcarea ai piedi del massiccio e svettante nel fitto della foresta.

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Cascate del Deogratias

Numerosissimi e differenziati sono quindi i paesaggi che strutturano l’area dell’Orsomarso e contribuiscono ad articolare e caratterizzare questo territorio: dai monti con profilo dolce e arrotondato alle cime aspre e svettanti, dalle gole profondamente incise, segnate da pareti di roccia sub – verticali a valli ampie, dalle foreste fitte e intricate alle rocce nude, dalle aree coperte a macchia ai boschi di conifere, dagli orizzonti ristretti ai panorami a trecentosessanta gradi. 

Da un punto di vista geologico i monti dell’Orsomarso, assimilabili al massiccio del Pollino, rappresentato l’ultima parte dell’Appennino, dal momento che più a sud le rocce calcaree lasciano il posto al blocco granitico – cristallino che si spinge fino all’Aspromonte. La diffusa presenza delle rocce calcaree determina la conseguente frequenza dei fenomeni carsici, quali doline, grotte, fiumi sotterranei, inghiottitoi e spettacolari incisioni a mo’ di canyon. 

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Bos Primigenius nella Grotta del Romito

Alcune delle grotte presenti in quest’area, ed in particolare la grotta del Romito nell’alta valle del Lao, hanno restituito interessantissimo materiale archeologico (sepolture e straordinari graffiti rappresentanti un Bos primigenius) risalente al Paleolitico superiore, da cui è stato possibile ricostruire uno scenario abbastanza attendibile di quello che doveva essere il paesaggio dell’area, quali le principali specie vegetali e faunistiche presenti e quale l’originario rapporto tra uomo e ambiente.

L’integrità e l’aspetto selvaggio di vasta parte di quest’area è legata anche ad una ridotta frequentazione antropica dell’area nel corso dei secoli, a causa dell’isolamento dell’area rispetto alle vie di comunicazione di antica origine.

Ruderi a Santo Noceto

Ruderi a Santo Noceto

Storicamente infatti l’unica zona del massiccio frequentata fin dall’antichità è la valle del Lao, che rappresentava il collegamento più facile tra la costa ionica e la costa tirrenica: questa via istmica, tracciata a mezza costa seguendo il corso del fiume, consentiva cioè il trasporto via terra, già in epoca magnogreca, delle merci che arrivavano dalla Grecia nei porti sullo Ionio e da qui venivano smistate nelle colonie della costa tirrenica. Il percorso, dopo vari secoli di abbandono, divenne intorno al 1000 sede privilegiata di eremiti e di comunità monastiche. La valle del Lao costituì però più un passaggio che una via di penetrazione verso le aree interne del massiccio, che rimasero infatti quasi del tutto disabitate.

La restante parte del territorio dell’Orsomarso rimase intatto almeno fino alla fine dell’Ottocento, ignorata da tutti i viaggiatori stranieri che tra il Settecento e l’Ottocento si cimentarono nel grand Tour. Un ufficiale francese nel 1810 così descriveva questi monti: “… attraversammo delle montagne terribili, valli profonde dove, a ogni passo, c’era da temere un’imboscata” o ancora “… questa parte della Calabria è una vasta landa abbandonata agli uccelli predatori, ai lupi e ai cinghiali e attraversata da sentieri coperti da un fogliame che non permette ai raggi del sole di penetrarvi“.

MONTI DI ORSOMARSO - In primo piano Santo Noceto, sullo sfondo Carrola

MONTI DI ORSOMARSO – In primo piano Santo Noceto, sullo sfondo Carrola

Solo verso la fine del secolo XIX infatti i fitti boschi del Palanuda, del Cozzo del Pellegrino e del Montea subirono l’assalto delle industrie di legname, la cui azione aveva già drammaticamente interessato tutte le altre catene montuose calabresi. Tali imprese forestali realizzarono appositamente teleferiche e ferrovie a scartamento ridotto per rendere più agevoli le operazioni di taglio e di trasporto a valle del legname. L’industria del legname distrusse vaste aree di questo territorio ma intorno al 1930 gli alti costi necessari allo sfruttamento di un territorio così aspro e accidentato allontanarono le imprese e permisero la salvaguardia di questi ricchissimi ambienti. Alcune zone sono comunque sfuggite agli interventi distruttivi di quei decenni e oggi rappresentano uno dei pochi casi italiani di boschi integri, molto vicini allo stadio climax.

fungo

Merita una particolare attenzione la residua presenza del pino loricato nell’area dell’Orsomarso, pianta che colonizza le zone culminali di tutto il gruppo di Montea e alcuni altri ristretti siti del massiccio. Mentre sul vicino massiccio del Pollino tale rara pianta si rinviene in formazioni rade, con alberi maturi e scarsissima o nessuna rinnovazione, nell’area dell’Orsomarso, oltre a maturi esemplari colossali, si trovano vere e proprie foreste pure di pino loricato e interessantissimi e preziosi casi di rinnovazione.

La presenza delle estese e fitte foreste e di aree a bassa antropizzazione rappresentano fattori rari e importanti, che potrebbero permettere la presenza di tre importanti specie animali purtroppo oggi scomparse nell’area dell’Orsomarso, ossia l’orso, il cervo e la lince, mentre i corsi d’acqua che attraversano il massiccio possono rappresentare l’habitat ideale per la lontra, scomparsa da quest’area da circa vent’anni.

Fonte: http://www.terredelmediterraneo.org/itinerari/orsomarso.htm

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