Basta!

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Proviamo a immaginare un’astronave aliena che circumnavighi il guscio annerito della Terra fra qualche secolo: i piloti si spaventerebbero a morte, venendo a sapere che i suoi abitanti si erano così impegnati nel ricavare il massimo dalla produzione e dal consumo di ogni ben di Dio, che alla fine erano riusciti a distruggere tutto il pianeta.

«Che coglioni!», sbotterebbero i nostri extraterrestri, scrollando la loro testolina argentea. Se poi quegli alieni venissero a sapere che eravamo anche diventati più scorbutici, malaticci e stressati man mano che la nostra ricerca di tutto e di più raggiungeva l’apice, si gratterebbero la zucca, domandandosi: «Ma cosa gli passava per la testa?». Il saggio del gruppo magari arriverebbe a chiedersi: «Com’è che non si sono evoluti, quei fessacchiotti?».

Sarebbe altrettanto triste se, in un altro scenario, quei visitatori intergalattici fossero i nostri discendenti e, scampati al collasso del pianeta poco prima dell’ecocidio, stessero descrivendo un’orbita intorno alla Terra, a distanza di secoli, su una navicella luccicante che, viaggiando alla velocità della luce, riuscisse ad appagare ogni bisogno materiale di cui una creatura dovrebbe sentire il desiderio.

In cabina i piloti borbotterebbero l’uno rivoltoall’altro: «Questa carretta col cavolo che è veloce come il nuovo Mkll92a». «Idem quei moduli lunari telecinetici. Fanno tanto secolo scorso». «Lo senti quel ronzio nel cruscotto tutte le volte che acceleriamo? È una vera rottura di scatole».

Dobbiamo fare passi avanti nell’evoluzione. E di corsa, anche.

Occorre sviluppare un senso del “quanto basta” o, se vogliamo, una “teoria del q.b.”. Abbiamo creato una cultura dove domina un messaggio del tipo: non abbiamo ancora tutto quello che occorre per essere soddisfatti. E ci sentiamo ripetere che la soluzione è avere, vedere, esistere e darsi da fare ancora di più. Sempre di più. Ma questo produce un frutto avvelenato: i livelli dì stress, depressione, logoramento stanno tutti salendo all’impazzata, anche se viviamo in mezzo a un’abbondanza mai vista prima.

E il nostro pianeta non sembra passarsela tanto meglio.

Dobbiamo subito smettere di sollecitare i formidabili istinti che da sempre ci rendono così insoddisfatti. E coltivare, invece, le nostre capacità di apprezzare le meraviglie senza precedenti ora alla nostra portata. Ormai nel mondo occidentale abbiamo davvero tutto quello di cui possiamo avere bisogno. Dobbiamo imparare ad accontentarci e a vivere nell’epoca della post-abbondanza.

Questo non significa riportare indietro l’orologio della storia o fare chissà quali rinunce. Ma capire che siamo arrivati al capolinea (era ora!). La pratica del q.b. è la strada obbligata per arrivare all’appagamento. Si tratta di un’ecologia individuale: ognuno di noi deve trovare il proprio equilibrio sostenibile.

Il  q.b. è il punto critico, oltre il quale avere tutto e di più peggiora la vita invece di migliorarla.

Semplice, no? Purtroppo, la strada che porta al q.b. non è così facile da imboccare. Colpa dell’evoluzione, la spinta grazie alla quale siamo arrivati fin qui. La nostra struttura evolutiva ci ha strappato agli alberi e portato in giro per il mondo, attraverso ere glaciali, carestie, pestilenze e disastri naturali, fino a farci piombare in quest’epoca di abbondanza tecnologica e materiale.

E quella vecchia struttura continua a bisbigliarci: «Io. Voglio.Altro. Adesso».

Finora, il successo è stato strepitoso. Siamo diventati i padroni del pianeta. Ma ora stiamo per essere buttati in una discarica cosmica, in uno scatolone con su scritto:

«Ottima idea, peccato che…».

Se non altro abbiamo messo a fuoco il problema di fondo. […]

Ho scoperto che è impossibile presenziare a una riunione di psicologi, economisti o politici senza che qualcuno ti metta subito in guardia: metà di noi occidentali ricchi è sicuramente infelice, e il fatto di diventare sempre più ricchi non aumenta la nostra felicità.

Questi santoni si lamentano anche che stiamo soffocando per colpa dei nostri tubi di scappamento. Ma poi mettono in croce l’economia.

O i governi. O la “società” (cioè, «l’imbecille consumista della porta accanto, io no di certo»). O arrivano a dire che è una malattia. Intanto, il mondo continua a preoccuparsi del surriscaldamento globale, a brontolare per il troppo lavoro e a lamentarsi di non essere felice mentre si sbatte e consuma sempre di più nella speranza di tirare su il morale a tutti.

Finché questo rimane sempre il problema di qualcun altro, cioè del vicino di casa, il ciclo continuerà inesorabile e alla fine il pianeta sarà adatto solo agli scarafaggi. L’evoluzione ci ha portati a questa crisi di abbondanza con le meraviglie del riscaldamento, dell’illuminazione e dell’assistenza medica tecnologicamente all’avanguardia che si porta dietro. Ora spetta a ognuno

di noi cominciare a far uscire la nostra specie da questa crisi (se siamo fortunati riusciremo anche a conservare il riscaldamento, l’illuminazione e tante altre cose utilissime).

È ora di gettare alle ortiche le nostre vecchie abitudini e tutte le cose che ci legano a esse.

 

Fonte: “BASTA!” , di J. Naish, Fazi Editore

 

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