Considerazione a margine di una sconfitta

 

Mi sono preso qualche settimana di vacanza dalla Voce e da internet e l’attualità in generale. Un po’ perché ero stanco: le cazzate dei giornali e dei social avevano cominciato a pesarmi, non più solo a irritarmi. Un po’ perché questo periodo l’ho passato in Europa e in Italia, lontano da casa e dalle mie abitudini, anche mentali, e ho preferito osservare, accumulare sensazioni e impressioni, piuttosto che provare ad analizzarle; ogni tanto è necessario, a evitare che l’ideologia (che pure ritengo assolutamente indispensabile per dare senso alle pratiche sociali e consentire di opporsi al potere) si sostituisca alla realtà.

Ma lo stacco mi serviva anche, e forse soprattutto, per marcare simbolicamente il passaggio da una fase storica, politica e culturale ormai esaurita a una nuova.

Il 2016 l’ho vissuto come se fosse stato connesso ai precedenti, in un continuum temporale che avrebbe consentito, volendolo, ripensamenti e ritorni a posizioni precedenti. Per esempio votando no al referendum, per conservare la Costituzione. Lo abbiamo fatto e non è successo nulla. Lo stesso con Brexit e con l’elezione di Trump: lo shock c’è stato solo a livello mediatico, virtuale, non nelle nostre esistenze reali. Le nostre esistenze reali continuano e continueranno a essere caratterizzate dal degrado ambientale, dalla sovrappopolazione, dal desiderio indotto e compulsivo di inutili prodotti e di ancor più inutili tecnologie, dalla disinformazione e dalle emozioni a telecomando, dalla deregulation morale e culturale, dalla marginalizzazione della democrazia e delle comunità, dal declino degli Stati e della classe media; in una parola dal liberismo. Noi crediamo di decidere e ci appassioniamo (alcuni di noi, almeno) per questioni politiche, civili, etiche; e invece non facciamo altro che scegliere fra le opzioni che il neocapitalismo e i suoi media ci offrono, preconfezionate e con precise istruzioni per l’uso, come fra smartphone che fanno esattamente le stesse cose ma hanno marchi e prezzi diversi. Ecco, alla fine dell’anno mi sono conto con dolorosa evidenza che abbiamo superato un punto di non ritorno. I padroni del mondo sono riusciti a far saltare i ponti alle nostre spalle e stanno provando a convincerci (anzi, stanno riuscendo a convincerci) che le uniche alternative siano l’andare avanti sulla loro strada o il restare fermi.

Alla gente non piace restare ferma; è innaturale in un universo in cui, come già aveva compreso Eraclito, tutto scorre. Il liberismo ha trivializzato questa grande, tragica legge naturale: ha trasformato la dialettica della vita e della morte in consumismo e vertigine del nuovo. È un processo iniziato due secoli fa e subito compreso e denunciato da vari pensatori, incluso Marx; i grandi movimenti sociali e sindacali, il comunismo, il fascismo, le guerre mondiali, sono stati tentativi di resistenza che hanno rallentato la deriva senza riuscire ad arrestarla. Dobbiamo prendere atto di questa sconfitta epocale.

Ma dobbiamo anche costruire su di essa il nostro riscatto. Farne quello che i sociologi chiamano un chosen trauma, ossia un evento catastrofico che invece di essere rimosso viene posto a fondamento della nostra identità, come nel caso del cristianesimo la derisione e crocifissione del figlio di Dio. Usare insomma la sconfitta per riconoscerci, noi che siamo caduti o che sappiamo di poter cadere, e fare gruppo, in opposizione radicale a coloro che si uniscono per imporsi agli altri e sopraffarli – i vincenti cari alla retorica della destra globalista come a quella della destra nazionalista.

A me pare il punto fondamentale. Finché chi si sente di sinistra continuerà a predicare moderazione e tolleranza, finché continuerà a preoccuparsi del PIL e dello spread e della crescita economica come se fossero gli unici valori, finché continuerà a ragionare in termini di meritocrazia e di successo e non di eguaglianza, rigore, sostenibilità e coscienza, il neocapitalismo non farà che rafforzarsi, malgrado i visibili e forse irreversibili danni che sta provocando al pianeta e alla civiltà. Il 2016 ci ha confermato in maniera definitiva quello che già avrebbe dovuto essere chiaro da tempo: non è possibile negoziare con le multinazionali, i loro governi, i loro giornali: quando prevalgono si prendono tutto, quando falliscono non concedono niente e ci riprovano. Il 2017 deve essere l’anno zero della sinistra, in cui invece di ostinarsi nella difesa di posizioni ormai compromesse e di strategie palesemente inefficaci, passa all’offensiva, con la forza e la disperazione di chi non ha niente da perdere; non dunque per salvare il mondo dagli eccessi del liberismo ma per distruggere il mondo in cui il liberismo è possibile e crearne uno migliore.

Di Francesco Erspamer

Fonte: http://www.lavocedinewyork.com/news/politica/2017/01/11/2017-anno-zero-della-sinistra/

Foto RETE

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