La GRANDE GUERRA: le fucilazioni

 

La maggioranza degli italiani la guerra non la voleva. Una minoranza la impose al paese con metodi truffaldini.

I soldati che andavano all’attacco si trovavano tra due fuochi: davanti tedeschi ed austriaci, alle spalle i carabinieri, per costringere ad avanzare.

Molti, pur di non tornare al fronte, si procuravano ferite gravi. Spesso le conseguenze furono tragiche.

C. F. è un contadino toscano di 26 anni, soldato nel 139° fanteria. L’11 luglio 1916 è in una trincea da poco occupata, di fronte alle posizioni nemiche. Scoppia una granata e il contadino, dichiarando di essere rimasto colpito da un sasso alla spalla, si allontana dalla trincea per recarsi al posto di medicazione.

Durante il tragitto si rende conto che non basta una contusione per essere inviato all’ospedale. Allora si spara un colpo di fucile all’indice della mano sinistra.

« È chiaro il dolo specifico  dell’accusato — osservano i giudici del Tribunale — poiché pensatamente e consciamente si produceva la lesione allo scopo di abbandonare il posto di combattimento».

È chiaro altresì che i precedenti del C. F. non consigliano alcuna clemenza; come risulta dai rapporti dei superiori fu sempre un soldato cattivo e codardo tanto da essere altre volte costretto all’avanzata con colpi di moschetto.

Il contadino autolesionista è condannato a morte, mediante fucilazione nel petto. La sentenza viene eseguita due giorni dopo il verdetto.

 

Da E. Forcella – A. Monticone, “Plotone di esecuzione”,  Laterza

 

Nella foto Antonio Barletta al tempo della Grande Guerra. Scrive Nunzia, nipote di Antonio:

“Questa foto di mio nonno Antonio Barletta,  di origine di Papasidero, ma dopo sposato con Fortunato Annunziata  vissuto a Scorpari. Questa foto cartolina  fatta durante la guerra del 15/18  spedita a sua mamma, Concetta De Marco, e a Francesco Candia.”

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