Vocaboli del nostro dialetto che derivano dal greco
Garramiddo:
località nella zona della Vadda u Palazzo, particolarmente scoscesa.
Da cháragma spaccatura, fenditura; con passaggio dalla gutturale aspirata ch alla gutturale media g e assimilazione del g dell’ultima sillaba alla m seguente.
Lágane, laganiddi:
Pasta a sfoglia sottile; tagliatelle.
Dal latino làganum e dal greco antico làganon, λάγανον nel significato di floscio, molle
C’è da dire, però, che il termine era usato anche nel latino, donde potrebbe essere venuto nei nostri dialetti. Io usa anche Orazio (Sat. I, 6, 115) “… inde domum me – ad porri et ciceris refero laganique catinum” che il Romagnoli (45) traduce “… poi torno – a casa, dove un piatto m’aspetta di ceci, di porri – e di frittelle”. Come si vede, per il celebre traduttore, come per molti altri, le “lágane” non sono altro che “frittelle”. Non potrebbe, invece, nel caso specifico (essendo Orazio di Venosa) trattarsi di un piatto di “lagane e ceci”, ancora oggi tanto apprezzato come tipico della più antica cucina lucana?
Anche se, in verità, nel testo oraziano il termine “ciceris” è separato dal termine “lagani”.
Lippa
E’ quel tappeto verde che si forma sulle rocce umide.
Da lipos = grasso.
Mara:
Nell’espressione “Mara mia!” che vuol dire “me infelice!”, ma può esprimere anche meraviglia.
Potrebbe essere semplicemente una forma dialettale di “amara me!” ma il Racioppi suggerisce un amóirema che non so dove abbia trovato (forse dal verbo amoiréo che vuol dire “mancare di qualcosa”) e che significherebbe “disgrazia”. Ma se il vocabolo deriva veramente dal greco, si potrebbe pensare, con più probabilità, ad amauròs che vuol dire “privo di luce” e, quindi, “infelice”; in questo significato il vocabolo amauròs fu già usato da Sofocle (Ed. Col., 1018) amauròs fos = uomo infelice, senza difesa.
Masuno:
Nell’espressione “allu masuno detta delle galline che, a sera, rientrano nel pollaio.
Fino a qualche tempo fa, nei paesi di Basilicata, in quasi tutte le case, le galline si “ammasonovano” nella stessa unica stanza ove dormivano tutti i membri della famiglia: in un angolo del grande vano c’erano delle lunghe canne o delle pertiche messe trasversalmente da una parete all’altra e lì, alle prime ombre della sera, “all’ora delle galline”, come si diceva, si appollaiavano i bipedi allevati da ogni massaia.
In genere per la parola “masune” si pensa al termine francese “maison” che vuol dire “casa”, ma, forse, è più giusto pensare al termine greco mossun che vuol dire “torre di legno, casa di legno, capanna”, tanto più che, in molte zone dell’Italia meridionale, la parola si pronuncia “masúne”. C’è da ricordare, inoltre, che, nel greco moderno, “radunare” si dice mazéuo e che nel greco bizantino c’era il verbo mazónein per indicare il “radunarsi”; e non è un radunarsi quello delle galline che, a sera, rientrano nel pollaio? Questa etimologia sarebbe un’altra prova, se ce ne fosse bisogno, dell’origine bizantina di quasi tutte le parole greche ancora in uso nell’Italia meridionale.
Si deve notare, inoltre, che la parola in questione potrebbe derivare anche dal latino “mansio-mansionis” che vuol dire “dimora, fermata ecc.”.
Il termine è comune a tutta l’Italia meridionale; ecco un “sunette” (strambotto) che si cantava, una volta, nelle Puglie:
La turtura ci perse la cumpagna,
nu’ sse ‘mmasuna (52) cchiù sou verde locu,
ma se nde vola subra alla muntagna,
suspiri mina e lagreme de focu.
Oh quantu lu mmiu core sse travaglia,
mo’ ci lu bene mmiu mutau de locu.
52 Il Pasolini, sbagliando, traduce questa parola con “s’aggira”.
Tutto il materiale che trovate in questa “categoria” è frutto del lavoro e dell’intelligenza di don Luigi Branco, un prete di Sant’Arcangelo di Lucania.
Io mi sono limitato a prendere ed integrare quanto serve a spiegare l’origine greca di alcuni vocaboli del dialetto orsomarsese.
A don Luigi ed ai giovani che l’aiutano nel suo lavoro tutta la mia gratitudine.
Nota: le parole greche sono scritte in caratteri latini.
(Continua)