“Sud e magia” –  La tempesta

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Le pratiche magiche connesse con la fatica contadina e col lavoro dei campi sono ormai praticamente scomparse in Lucania.

Ed è del tutto naturale che proprio nel dominio dove il rapporto con la natura è meglio controllato con tecniche agricole realisticamente orientate, le tecniche magiche siano destinate a scomparire più rapidamente che altrove. Tuttavia la grande possibilità negativa dello stesso lavoro contadino è la tempesta distruggitrice dei seminati: in rapporto a ciò si conserva memoria di incantesimi magici ancora impiegati in Lucania in un passato prossimo o anche recentissimo.

All’arte di precettare il tempo, cioè di disfare la tempesta che si avvicina e che minaccia il raccolto, accennò già il Riviello nel suo lavoro sul folklore potentino; e basterà qui qualche altro dato. Il vecchio arciprete di Viggiano, Don Pellettieri, ci ha cortesemente riferito che agli inizi di questo secolo viveva ancora in Marsico Nuovo un contadino, soprannominato Piè di Porco, il quale conosceva, e con ogni probabilità ancora praticava, lo scongiuro da recitare contro la tempesta.

Lo scongiuro si apre con una  formuletta mnemonica elaborata originariamente da qualche parroco o monaco per facilitare presso il volgo l’apprendimento dei rudimenti del catechismo e della storia sacra:

Uno: lu Die lu monde mantene;

ruie: lu sole e la luna;

tre: le tre patriarche

Abramo, Jsacco e Giacobbe;

quattro: le quattre evangeliste

Matteo, Marco, Luca e Giovanni

cantere ‘o vangele dinanzi a Criste.

E tu nuvola brutta oscura

ca sé venut’à ffa?

Ristuccia ristuccià.

No! Vattenne a quelle parte oscure

addò non canta lu gadde

non vegeta ciampa de cavadde!

(Uno: Dio il mondo mantiene;

due: il sole la luna;

tre: i tre patriarchi

Abramo, Isacco e Giacobbe;

quattro: i quattro evangelisti

Matteo, Marco, Luca e Giovanni

cantarono il Vangelo davanti a Cristo.

E tu nuvola brutta oscura

Che sei venuta a fare?

Ristuccia ristuccià.

No! Vattene da quelle parti oscure

dove non canta gallo

e non venga “zampa di cavallo.”)

 

Dopo questa solenne apertura, si traccia con la falce un cerchio magico sul terreno e dopo aver sollevato in alto la falce, in direzione del nembo temporalesco avanzante, si recita lo scongiuro vero e proprio.

Segue di nuovo a compimento: “Uno: lu ddie lu monde mantene etc. ” e la ingiunzione ” Cale, cale, cale! Caaale!!! “ L’ultimo ” cale ! ” era pronunziato con voce vibrante e collerica, prolungando intenzionalmente e minacciosamente la a: e chi doveva “calare” cioè scendere dal nembo, era il supposto ente maligno che lo pilotava, e che ora, dopo la recitazione di un cosi potente scongiuro, doveva rovinosamente precipitare ai piedi dello scongiurante, proprio dentro il cerchio magico tracciato con la falce.

E il tema magico degli enti maligni che suscitano e guidano la tempesta  fu in passato utilizzato dal clero. Lo stesso Riviello ricorda come in Potenza e dintorni si credesse un tempo che certi frati per costringere i contadini riluttanti a pagare le dovute decime ai conventi, avevano fatto credere al volgo di possedere una formula magica per librarsi nell’aria e farsi piloti di nembi temporaleschi,in guisa di scaricarli sui campi e  distruggere il raccolto.

La formula era: “monaco saglie, monaco scinne, monaco saglie, monaco scinne… ” Accadeva così che, dapprima un po’ salendo e un po’ scendendo nell’aria, e volitando come uccelletti ancora inesperti, questi frati riuscivano alfine mediante la efficacia della loro formula a diventare signori dello scendere e salire nell’aria, e se. ne volavano in cielo ad esercitare vendetta.

Naturalmente occorre appena avvertire che la credenza in geni e numi della tempesta e in pratiche magiche per aver ragione di loro ha una estensione amplissima fra i popoli primitivi e nel mondo antico, così come in epoca cristiana le tempeste furono messe fra le manifestazioni diaboliche. A proposito di monaci e parroci “facitori di tempeste. ” Don Pellettieri ci ha riferito che una trentina di anni fa viveva a Marsico Vetere un parroco, a nome Don Rafele, il quale aveva appunto fatto credere ai contadini di essere capace di volare in nubi temporalesche e di pilotare sui seminati. Questo Don Rafele aveva l’abitudine, malgrado gli anni, di dedicarsi a un po’ di ginnastica mattutina, forse per mantenersi agile e svelto nel servire il Signore; una rudimentale ginnastica, come poteva farla un parroco del mezzogiorno d’Italia trent’anni fa: qualche flessione sulle gambe, qualche lancio delle braccia in alto o in avanti, e al massimo una specie di volteggio, appoggiandosi alle spalliere di due sedie, che fungevano da parallele. Una mattina si scatenò una tempesta, a grandine e vento: e anche quella mattina Don Rafele non volle rinunziare alla sua abitudine, e mentre fuori diluviava e grandinava e tuonava, il nostro bravo parroco tentava di volteggiare fra due sedie, tenendosi come poteva alle spalliere. Proprio in questo suo volteggiare lo vide dalla finestra una contadina alla quale dovette subito passare “per la testa il “monaco sale, monaco scinne” della tradizione, e il potere sinistro che altre volte Don Rafele aveva millantato. Visto e accertato, la contadina non mise tempo in mezzo e subito corse in paese, affacciandosi di casa in casa, e dando l’allarme : col risultato che dopo poco faceva ressa davanti alla casa di Don Rafele, una folla di contadini con le intenzioni che è facile immaginare. Don Rafele ebbe quella volta una paura grandissima, e da allora in poi — ci raccontava divertito Don Pellettieri — prese le sue precauzioni e ogni volta che il tempo dava segni di mettersi al brutto usciva in paese a passeggio sorridendo amabilmente ai parrocchiani, come per dire:

“Ecco, vedete, sono tra voi, io nella sciagura che si annunzia non c’entro.”

Ernesto De Martino e Muzi Epifani, 1956, durante una missione in Lucania

La ideologia dei “chierici volanti” nei nembi temporaleschi trova conferma nella narrazione di una decrepita informatrice di Viggiano, Margherita d’Armento di novantacinque anni, soprannominata “pezze i’ case” (pezzo di cacio) perché per circa trent’anni della sua lunghissima vita allattò i figli di altri. Una volta — narra Margherita — un sacerdote prese a insidiare una nipote vedova, ma ne ebbe un fermo rifiuto. Per vendetta, si recò al fiume, cominciò a battere il pelo d’acqua con un mestolo, e infine si tramutò in nembo temporalesco, dirigendosi sui campi della vedova.

Ogni anno, alla vigilia del raccolto, l’implacabile sacerdote ripeteva il suo complotto magico, con grande disperazione della onesta vedova che vedeva andare in rovina i suoi raccolti.

Un anno, durante la mietitura, i contadini videro avanzare un nembo temporalesco, che altro non era se non il solito prete metamorfosato. Per fortuna quella volta c’era fra i contadini un ” precettatore del tempo,” che recitò la formula: “Lunedì santo, martedì santo… sabato santo, Domenica è Pasqua e tu casca, e se non caschi vàttene fume fume, più innanzi, o sulla montagna.”

Questa formula è una contaminazione del noto scongiuro per i vermi e del tema di andarsi a scaricare in luoghi solitari, che è tradizionale negli scongiuri della tempesta: è stato sufficiente il comune risultato finale che si vuol ottenere, cioè il far cadere qualcuno o qualcosa per terra, per giustificare — nella coerenza tecnica della magia — il riadattamento e la contaminazione.

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Fonte: “Sud e magia”, di E. De Martino, Feltrinelli

Foto RETE

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