Mitologia: NARCISO

John William Waterhouse -_Echo_and Narcissus

 

Figlio della ninfa Liriope e di Cefiso, dio-fiume che scorre nella Focide e nella Beozia (vi era un altro fiume chiamato Cefiso, in Attica).

Quando Narciso nacque, l’indovino Tiresia disse che sarebbe vissuto a lungo se non avesse conosciuto se stesso. Narciso divenne un giovane bellissimo che respingeva quanti, maschi e femmine, s’innamoravano di lui. Anche la ninfa Eco «s’infiammò» d’amore; Eco era solita intrattenere Giunone per dar tempo alle altre Ninfe, che avevano convegni amorosi con Giove, di fuggire. Quando Giunone se ne accorse, le disse che della lingua con la quale l’aveva ingannata avrebbe potuto disporre solo in parte; «i fatti confermarono le minacce: solo alla fine di un discorso Eco duplica i suoni ripetendo le parole che ha udito». Eco, come si è detto, s’innamorò di Narciso, ma fu respinta; la Ninfa continuò ad amarlo e si strusse di dolore, finché il suo corpo si disperse nell’aria e di lei rimase soltanto la voce.

Narcissus Caravaggio (1594-96) edited

Un giorno una delle fanciulle respinte si rivolse a Nemesi, la dea della vendetta. Nemesi l’accontentò: Narciso si chinò sull’acqua, vide la propria immagine riflessa, se ne innamorò e mori consumato d’amore. Le Naiadi lo piansero e alla sua memoria dedicarono le loro chiome recise. Prima di essere posto sul rogo, il corpo di Narciso scomparve e al suo posto spuntò un fiore «giallo nel mezzo e circondato di petali bianchi» (Ovidio, Met, ni 341-510).

« Nella terra dei Tespi c’è una località chiamata Donacon; lì c’è la fonte di Narciso, il quale, dicono, guardò nell’acqua, e non rendendosi conto che si trattava della sua immagine riflessa, senza saperlo s’innamorò di sé e morì d’amore presso la fonte» Pausania avanza dubbi che un giovane possa essere così stupido da non distinguere tra un uomo e un’immagine riflessa, e narra un’altra storia. Narciso aveva una sorella gemella del tutto simile a lui, della quale s’innamorò. Quando la fanciulla mori, Narciso, guardandosi nell’acqua, immaginò di vedere l’amata sorella.

“Narcisse” (1771), di Nicolas Bernard Lépicié

Il fiore narciso sarebbe esistito prima della morte di Narciso, dice Pausania, rifacendosi a un antico mito secondo il quale i narcisi, e non le viole,” erano i fiori che stava raccogliendo Persefone, quando fu rapita da Ade (IX 31, 7-9).

Plinio parla di due tipi di narcisi: uno purpureo e uno che chiama « erbaceo.Quest’ultimo non è di alcuna utilità per lo stomaco ed è usato per vomitare e per liberare l’intestino; nuoce

ai legamenti e dà pesantezza alla testa; narciso deriva il nome da narke» che significa ‘torpore’, «e non dal mitico giovinetto» (Nat. Hist. xxi 128)

LUISA BIONDETTI

Da “Dizionario di mitologia classica” – Baldini & Castoldi

Narciso e la psicoanalisi

Ma di chi è che Narciso si innamora? Non certo di se stesso. Non è infatti propriamente se stesso ch’egli incontra nella fonte, ma il proprio doppio, l’immagine di sé che può essere anche fatta coincidere, come nella versione di Pausania, con l’altro da sé. Aveva quindi ragione Freud a pensare che di fronte a Narciso non poteva esserci alcun “se stesso”. Secondo il padre della psicoanalisi, infatti, c’è una fase della vita in cui ciascuno di noi si trova ad essere Narciso, e in questa fase la personalità individuale non si è ancora formata: l’io non esiste se non come abbozzo e immagine unificata del proprio corpo priva però qualsiasi compiuta coscienza di sé. Di fatto il giovane che si specchia nella fonte e che cerca di afferrare la sua immagine non è ancora un “Io” e non ha ancora assunto un’identità propria. Ciò che tenta disperatamente di afferrare non è l’io ma un riflesso, che peraltro non può neppure essere riconosciuto come proprio. Narciso, quindi, s’innamora della propria immagine non sapendo che si tratta dell’immagine di sé. E neppure che si tratta di un’immagine. Tanto è vero che, come lascia intravvedere un dipinto di Waterhouse, non solo il proprio riflesso, ma anche quello di Eco genera in lui dubbi ed incertezze. In termini psicologici potremmo tradurre che il giovane non soltanto non è in grado di distinguere tra sé e non sé, ma neppure tra mondo reale e mondo immaginario. La sua è insomma una condizione di doppia ignoranza e per uscirne deve attraversare i diversi stadi di ciò che Lacan ha teorizzato come la fase dello specchio: acquisizione della capacità di distinguere tra il reale esterno e la sua immagine, e acquisizione della capacità di riconoscersi come un sé unitario: come il narcisismo primario di Freud, anche la fase dello specchio di Lacan allude ad uno stadio in cui i confini tra io e mondo, e tra realtà ed immaginazione sono ancora in fase di costruzione. Su questo punto il mito può ancora insegnarci qualcosa. Nella descrizione lacaniana delle diverse fasi dello sviluppo di sé, infatti, protagonista è uno specchio che nulla ha a che fare con il processo generativo. Nella leggenda di Narciso, invece, l’acqua della fonte in cui il fanciullo si riflette rimanda proprio all’atto della generazione. Il giovane reticente a ogni lusinga d’amore, abbiamo detto, nasce dunque dalle acque, e proprio nelle acque scopre per la prima volta la propria immagine e arriva così a poco a poco a riconoscersi. Nel mito, quindi, il riconoscimento di sé passa attraverso un ritorno alle origini: per poter scoprire il proprio volto, per riuscire ad avere un’immagine di sé, Narciso deve rivolgersi all’elemento da cui è stato generato. Ritroviamo qui il fondamento stesso della pratica psicoanalitica: il processo che porta all’autocoscienza e all’autoconsapevolezza è sempre anche una riappropriazione delle proprie radici.

GIOVANNI FIORITI

FONTE: https://centrostudipsicologiaeletteratura.org/2014/01/narciso/#:~:text=Secondo%20il%20padre%20della%20psicoanalisi,qualsiasi%20compiuta%20coscienza%20di%20s%C3%A9.

Foto: Rete

 

 

 

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