TUTTA COLPA DEL POPULISMO? Luciano Canfora e Gustavo Zagrebelsky

Cosa rimane della democrazia se all’opera ci sono oligarchie molto potenti, molto remote, sempre più decisive? 

Vi proponiamo qui un brano tratto daLa maschera democratica dell’oligarchia, libro che raccoglie diversi dialoghi sul tema tra Luciano Canfora Gustavo Zagrebelsky nel corso dell’ultimo anno.

Preterossi  Ernesto Laclau sostiene che il leader populista sia un «significante vuoto» – nel senso che di per sé è vuoto –, che però dà significato e crea delle catene di equivalenze, cioè mette insieme domande diverse, escluse dal processo politico (anche da quello democratico) ordinario, dando quindi, in qualche modo, rappresentazione agli esclusi.

Zagrebelsky Cioè dà corpo, solidità a malesseri che di per sé sono informi, non riescono a trovare forme di rappresentanza attiva. Sotto certi aspetti, quindi, il populismo può perfino apparire come il massimo della democrazia, come l’incorporazione dei tanti in uno solo e dell’uno solo in tanti. Il messaggio del vero populista è: non sono l’illuminato, non sono il condottiero che ha la sua strada, non sono il salvatore, ma sto percorrendo la vostra strada, quella che è già in voi e ha solo bisogno d’essere messa in chiaro. Io ve la indico, ma è la vostra. Su questa incorporazione, che fa sembrare tutto semplice, facile e naturale e che addita i dissenzienti come nemici del popolo, non è impossibile, anzi è piuttosto facile, che nasca un «culto della personalità»: non nel senso dell’adorazione popolare di un capo alieno, ma nel senso dell’adorazione autoriflessiva del popolo. Il populismo nega la dialettica maggioranza-opposizione, perché nell’incorporazione dei tutti in uno ci deve essere identità. Quello populista è un regime identitario, nel senso dell’annullamento delle distanze. Anche gli stili di vita devono coincidere, almeno apparentemente. Insomma abolisce l’idea dei governanti, della classe dirigente. Nel populismo non pare esistere una classe dirigente. Quando poi si scopre che non è così, che i vertici del «movimento» vivono come satrapi, si scatena la rabbia. Ricordiamo la fine dei coniugi Ceausescu, che è stata una fine tipicamente populista.

Canfora Mi faccio delle domande: il peronismo è una forma di populismo? Sì. E fra il peronismo e il bonapartismo di Luigi Napoleone che stravince le elezioni nel ’51, sconfiggendo gli artefici della Repubblica francese, c’è differenza? Anche quello di Luigi Bonaparte è populismo?

Zagrebelsky All’inizio, poi diventa cesarismo.

Canfora Però il cesarismo, se ci rifacciamo alla persona di Giulio Cesare, è il prodotto di una mente aristocratica di altissimo lignaggio. Insomma, ci porta da un’altra parte. Ma atteniamoci al tempo relativamente più vicino a noi. Quindi Perón è populista e il peronismo è populismo. Sotto Perón c’è un partito unico in Argentina? Direi di sì. Bene: il fascismo mussoliniano è populista? Forse sì. Quindi si comincia a dilatare l’ambito di questo concetto in modi senza dubbio interessanti, ma anche inquietanti, perché la definizione comincia a slabbrarsi un po’: questo è il problema.

Allora la domanda è: quali sono le peculiarità? Parlavate del processo di identificazione: a rigore Perón si presenta così: sono uno dei vostri. Ma anche Mussolini, istrionico quanto si vuole, proteiforme, capace di avere il cappello duro e il frac quando va dal re, ma il torso nudo quando si improvvisa trebbiatore. Indubbiamente l’identificazione è totale. Nel caso suo, ma forse pure in quello di Perón, c’è anche un elemento «erotico». Le masse femminili che stravedono per il duce. Qualcosa di simile si è determinato anche nel successo, indiscutibile, del hitlerismo.

Alle dittature di sinistra, più o meno comunistiche, si rimproverava invece di essere guidate da intellettuali fastidiosi, antipatici, un po’ pedanti, molto convinti di essere l’incarnazione di un grande disegno della storia. Eppure lo stalinismo, che è sicuramente la forma più interessante, ha puntato molto su elementi che poi ritroviamo in quegli altri esperimenti. Stalin parla in modo semplice, tale che chiunque lo può comprendere, ama farsi notare in contesti popolari (ironicamente, si diceva, come san Giuseppe, con i bambini che lo vanno a omaggiare con mazzi di fiori). Mentre Trotskij è un intellettuale, per giunta di origine ebraica, quindi aristocratico. E poi l’enorme spazio dato alle manifestazioni di massa, alle parate, allo sport. Lo sport è un elemento populista? Sì, certamente. Quindi si conferma che «populismo» alla fine è una parola inutile (se non nella discussione politica come arma, si capisce), perché il suo contenuto concettuale è straripante, ramificato.

A rigore, se il senso del populismo consiste nello stabilire un rapporto diretto con la massa e mostrare di assecondarla, o tentare di assecondarla, assumendone certi valori, esso è una forma di democrazia molto accentuata, se per democrazia si intende il predominio popolare. Noi però usiamo la parola democrazia con vari significati, uno diverso dall’altro, tendiamo addirittura a identificarla con il sistema rappresentativo pluripartitico, che è tutt’altra cosa, e qui i conti non tornano più. Si gira in tondo, le parole si inseguono e i concetti sembrano rassomigliarsi. Ecco perché alla fine bandirei la parola populismo da un lessico, oso dire, scientifico della politica, perché la definizione non regge. Comunque la si consideri, questa parola non regge. È meglio tentare altre carte, come per esempio cesarismo, fascismo. A sua volta, fascismo è contemporaneamente un fenomeno storico delimitato, ma anche un modello diacronico che va molto oltre il suo tempo storico, che può riapparire in forme diverse, e già al tempo suo appariva in tante forme diverse, coeve e sicuramente non identiche l’una all’altra.

Certo, la definizione più generica di tutte e alla fine insignificante è «totalitarismo»; il totalitarismo è un contenitore talmente lato e multiforme da non essere utile. Il populismo viene,dai suoi avversari un po’ strumentali, tacciato di avere non solo ambizioni, ma pratiche totalitarie. Quindi si torna a quella definizione di De Felice:«fascismo come democrazia di massa». Mi torna sempre in mente, perché è un tentativo di dire una cosa fastidiosissima, e cioè che la democrazia in quanto potere popolare, in senso indistinto, potere del popolo senza classificazioni interne e distinzioni, può benissimo assumere quella forma. Lo stesso concetto di volonté générale, che tanto ha fatto soffrire perché non si è mai capito cosa fosse davvero, può benissimo cospirare con situazioni di questo genere. Esso assume che ogni singolo individuo ha una sua volontà, che però esiste una volontà che li unifica tutti quanti come una sorta di laico Spirito Santo che sovrasta le singole volontà.

Preterossi Che è tale, generale nel senso di universale, solo perché contrasta gli interessi privati, superando faide e particolarismi.

Canfora Questi elementi, che un po’ disordinatamente ho messo in fila, mi inducono per l’appunto a interrogarmi sul problema di partenza: qual è la ragione per la quale noi siamo convinti che il potere popolare, nel senso di tutto il popolo, sia un valore positivo?

Zagrebelsky Bella domanda. Aristotele diceva che se i cuochi sono tanti è probabile che il pranzo sia migliore. A parte gli scherzi, io non trovo altra risposta che questa: nemmeno la democrazia, di per sé, è una garanzia; e infatti la si circonda di cautele (le Costituzioni «rigide», che le semplici maggioranze non possono cambiare). Ma è l’unico regime politico che riconosce a tutti la dignità di soggetti morali, cioè capaci di autodeterminazione. Che poi questa capacità sia usata per il bene o per il male, è questione sulla quale dobbiamo tacere e invece, come taluni affermano, dobbiamo «fare».

Ritorniamo al populismo. Abbiamo appurato di non averne una nozione scientifica chiara, univoca, uniforme. Vediamo di scomporre ulteriormente gli elementi in presenza dei quali si usa la parola, cioè partiamo dal basso, non dalla definizione. Prima si diceva che il populismo è il regime della identità-identicità o della identificazione. Aggiungerei qualche altro elemento: ci sono regimi in cui non c’è una partecipazione ma c’è una mobilitazione, ed è una bella differenza. Poi ci sono regimi che si rivolgono a masse indifferenziate e regimi che si reggono su individui, o singoli gruppi (cioè individui organizzati in gruppi: per esempio partiti politici, sindacati, Chiese). Questi ultimi sono individualisti e pluralisti, e infatti prevedono la libertà di coscienza che porta alla pluralità delle Chiese, delle ideologie e così via. Normalmente i regimi populisti hanno «una» religione o un equivalente della religione, «una» ideologia. Poi, in alcuni regimi c’è informazione, in altri c’è propaganda. Ci sono regimi che vivono su elezioni e altri su investiture. C’è una certa qual differenza. Regimi in cui il consenso si dà sulla base di un progetto o di un programma e altri in cui il consenso si dà per una investitura in bianco. In questi ultimi, i leader si presentano come risolutori dei malesseri sociali, facendo leva sul disagio.

Canfora Come Renzi. È una battuta, ma resta il fatto che quest’uomo si presenta come colui che risolverà ciò che anni e anni di tentativi vani non hanno risolto.

Preterossi Posso fare una domanda provocatoria? Se la democrazia è il regime che non prevede nemici (a parte i nemici della democrazia, ma intesi come nemici delle regole democratiche), non c’è il rischio che perda di contenuto, di sostanza, e soprattutto che neutralizzi troppo il conflitto come fattore vivificante della vita politica? Forse anche così si spiega la fortuna del populismo: a un certo punto viene utilizzato per mettere in campo un po’ di agonismo, di vitalità. Una democrazia in cui tutti sono amici, perché sono già tutti convinti, tutti più o meno omogenei, rischia di diventare una formula vuota, un’impalcatura che non coinvolge e per di più occulta le disuguaglianze nella distribuzione del potere e della ricchezza.

Canfora La parola populismo viene usata assumendo, come sottinteso, che sappiamo in modo chiaro e distinto che cos’è la democrazia, ma non è così: usiamo questo concetto surrettiziamente, come sinonimo di sistema rappresentativo pluripartitico. «Democrazia» è invece un meccanismo che per certi aspetti rassomiglia al populismo: c’è un gruppo sociale molto in difficoltà che tramite strumenti di pressione, che sono la piazza, i dirigenti, i sindacalisti carismatici, impone all’attenzione certe istanze, e forse addirittura conquista qualche cosa, al di là dei numeri parlamentari che gli sarebbero contro. Questo è populismo? Sì. Il problema è che è anche definibile come democrazia. O perlomeno è molto vicino al concetto di democrazia reale, che non si riduce al gioco della maggioranza e alle elezioni dei deputati in Parlamento, ma implica che il popolo conti e si imponga, anche non essendo in quel momento maggioranza numerica, per le sue proprie esigenze, che trovano interpreti capaci di attuarle. Ecco, la vicinanza fra questi due fenomeni mi colpisce, perché conferma che la democrazia è «il governo dei poveri», come dice Aristotele, cioè di una parte della società disagiata. E oligarchia è «il governo dei ricchi», anche se numericamente prevalenti. Noi continuiamo a usare democrazia in un senso ambiguo e perciò ci avvitiamo in una disputa senza soluzione.

Zagrebelsky Ma perché dici ambiguo? Io sto usando la parola democrazia nel senso della liberaldemocrazia.

Canfora Nel lessico corrente democrazia viene usata come sinonimo di sistema rappresentativo parlamentare pluripartitico, magari lasciando persino in ombra se il suffragio sia veramente universale o no, perché lo si può intaccare in vari modi, con le leggi elettorali per esempio, ma anche con limitazioni varie. Inoltre, che cos’è il popolo soggetto cosciente dei regimi democratici? Gramsci se la cava distinguendo fra l’elettore vero, che è quello che «si impegna su un programma politico concreto», e il «semplice cittadino legale». A che cosa sta pensando? Sta pensando al tipo di elezioni che si svolgevano in quegli anni in Unione Sovietica, dove al proletario veniva riconosciuto un peso elettorale superiore. Queste sono manifestazioni del concetto di democrazia, giuste o sbagliate che siano; hanno alle spalle come remoto ascendente Aristotele, che ha fatto quella scoperta, quella tipizzazione dei sistemi, molto interessante. Allora, nel momento in cui noi oggi mescoliamo il concetto di sistema rappresentativo con quello di democrazia, facciamo anche un’operazione gradevole, filantropica, però creiamo una confusione terminologica fortissima, perché a quel punto la maggioranza – la maggioranza numerica – diventa l’unico soggetto della democrazia. Se invece democrazia è ciò che Aristotele definisce nel modo che ho più volte ripetuto, finisce col rassomigliare a fenomeni populistici.

Zagrebelsky Ma a partire da un certo periodo la democrazia non è più definita come la definisce Aristotele, ma come il governo di tutti: diventa un regime che mira all’universalizzazione. Sarà anche una finzione, ma è così.

Canfora È così perché per larga parte del secolo XIX l’idea era che il suffragio universale desse automaticamente il potere ai poveri, che erano la stragrande maggioranza della popolazione.

Zagrebelsky Sì, ma i poveri non avrebbero dovuto agire in quanto poveri contro i ricchi: quello era il timore di coloro che erano contrari all’allargamento del suffragio universale. Il modello generale era il potere che ha di fronte a sé la generalità dei cittadini, senza più distinzione. Poveri e ricchi erano annullati nel concetto di cittadinanza.

Canfora Lo so benissimo. Sto solo cercando di dire che quell’equivoco sussiste nella testa delle concrete persone che hanno animato la lotta politica per un secolo e mezzo. Otto Bauer, nel 1936, in un bellissimo saggio intitolato La crisi della democrazia (compreso nel volume Tra le due guerre mondiali?) dimostra che il suffragio universale è stato concesso quando non era più pericoloso. E dice il vero. Perché l’equilibrio delle classi, lo sviluppo dei ceti medi, la nascita di grandi partiti moderati di massa hanno fatto sì che il movimento socialista e il movimento democratico (che pensavano, come pensava Marx, suffragio universale uguale rivoluzione) scoprissero di essere in realtà soltanto una forte minoranza. E a quel punto cambia tutto. Però la cultura che ha continuato a ritenere che democrazia vuol dire potere delle classi non abbienti è una cultura che ha la sua dignità e che ha continuato a usare quel lessico, mentre altri ricorrevano all’ircocervo – per dirla con Croce – della «liberaldemocrazia», avendo ormai capito che ci si poteva arrischiare a concedere il suffragio universale. Giolitti lo capì prima di Mosca e prima di Croce, che non era più pericoloso. Dopo di che il cosiddetto populismo risorge ogniqualvolta quella parte della società inquieta, incapace di diventare maggioranza numerica, trova chi se ne fa portatore.

Zagrebelsky La tua tesi sarebbe dunque che i populismi odierni rimettono in evidenza il conflitto poveri-ricchi. Ho l’impressione che questo non ci porti molto lontano, perché uno potrebbe risponderti che la parola populismo si utilizza per indicare il protagonismo politico fintamente attribuito o realmente attribuito alle maggioranze silenziose, il che è un’altra cosa. Quando diciamo che il berlusconismo è una forma di populismo, non usiamo certo la parola populista nel senso tuo.

Canfora Beh, le masse lo votano nella gran parte del paese: la classe operaia a Nord vota per la Lega, o per Grillo. A Sud la classe operaia non c’è, ma il voto per Berlusconi nel Meridione è un voto per lo più popolare. Se vai in giro per le città della Campania, della Calabria, della stessa Sicilia chiedendoti chi abbia votato per Berlusconi, ebbene incroci il «popolo-popolo», che non ha più fiducia alcuna nei partiti per i quali votavano i loro padri. Il Pd aveva la Melandri, ha delle signore «bene», ma non ha «il popolo» dietro. È inutile nasconderselo, la bravura di Berlusconi e la sua durata politica discendono da questo.

Zagrebelsky È una cosa che m’inquieta profondamente, perché la mia passione per la giustizia mi porterebbe, seguendo il maestro Canfora, a schierarmi per il populismo. Si può modificare quella definizione – «regime dei poveri» – con quella di «regime dei non garantiti»? Di coloro che temono per la vita quotidiana o per l’avvenire?

Canfora Non vorrei passare per il press agent di Berlusconi. Sto cercando di dire come funziona e perché, ponendomi in un punto di osservazione puramente scientifico.

Preterossi Forse non c’è un movimento politico che tra i suoi ingredienti non abbia una certa dose di populismo.

Canfora Sì, persino la Thatcher. Ha avuto il colpo di genio di capire prima degli altri che i minatori inglesi erano una minoranza. Li ha schiacciati e ha soddisfatto una maggioranza che non urlava, che non aveva una proiezione pubblica così efficace; dei minatori inglesi invece si parlava in tutto il mondo (sull’«Unità» erano in prima pagina, eppure era un fatto che riguardava l’Inghilterra). La Thatcher lo ha capito, e ha cavalcato l’insoddisfazione della middle class, perché tanto sapeva che, una volta isolati, i minatori sarebbero stati eternamente una minoranza. Era populista nel senso che le sue scelte facevano comodo a una massa che si riconosceva in esse, che la mettevano nella condizione di esserne la vera interprete.

Certo, si può anche dire che le maggioranze silenziose non sono fatte di privilegiati, ma di una classe media ostile ad una sinistra che si disinteressa della sua specificità, sospettosa verso i veri ricchi che alla fine se la cavano sempre e non hanno mai niente da perdere. E quindi cerca il terzo uomo. La fortuna di Berlusconi viene da lì, dal fatto che dà sicurezza; tutto poi ovviamente prospera sulla discrasia fra parole e fatti, tipica delle altre formazioni politiche. Le quali però si riempiono la bocca della taccia di populismo contro colui che dimostra di essere più abile.

Preterossi Allora il nodo è quella discrasia: il populismo prospera se gli viene lasciato spazio.

Zagrebelsky E poi, il potere assunto in nome del popolo e del populismo ha dentro di sé questo veleno, che al potere non c’è mai limite. Alla fine diventa una forma di autocrazia.

Canfora Non solo: i privilegiati intorno al leader populista ci sono eccome, restano bene nell’ombra, ma di fatto occupano le posizioni giuste, godono di vantaggi. Se poi sono troppo scandalosi vengono mandati a casa, e se ne prendono altri in sostituzione. Non è che il capo è solo dinanzi a questa massa, anche lui funziona con la sua élite.

Zagrebelsky Un’altra differenza, rispetto alla democrazia come la intendiamo, alla liberaldemocrazia, è che si basa su procedure, mentre nel populismo c’è la piazza, magari televisiva, c’è il sondaggio più o meno credibile.

Canfora È la domanda del celebre processo agli strateghi delle Arginuse: cos’è al di sopra, la legge o il popolo? I garantisti cercano disperatamente di far prevalere la legge, ma l’assemblea popolare proclama che al di sopra di tutto c’è il popolo. Per venire all’oggi, il più importante leader populista italiano, cioè Berlusconi, ha ripetutamente affermato (e i suoi seguaci, Alfano incluso, finché è rimasto al suo seguito, proclamavano con lui) che la condanna definitiva nei suoi confronti era «un attentato alla democrazia». Quindi egli usava «democrazia» come una parola utile per calpestare le regole, perché i tre gradi di giudizio sono le regole.

Zagrebelsky Se stia sopra il diritto o stia sopra il popolo mi sembra una domanda davvero capitale, perché tutti i discorsi berlusconiani, questi sì populisti, sono improntati all’idea della prevalenza del «popolo» sul diritto. La nostra Costituzione, nell’articolo 1, cerca un compromesso: attribuisce la sovranità al popolo, aggiungendo però che esso la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione stessa. Nella liberaldemocrazia ci sono le Costituzioni, le regole procedurali che producono politica. Viceversa, nel populismo c’è la politica che produce «ispirazione».

Canfora Per completare il quadro, potremmo anche chiederci: tutta la teorizzazione di matrice schematicamente marxista consistente nel dire che le leggi, le Costituzioni sono convenzioni che rispecchiano l’equilibrio dei rapporti di forza tra le classi, rassomiglia o no alla teoria che il popolo è al di sopra della legge? Sì. E quindi anche tale tradizione, o in quanto teoria, o in quanto prassi politica o in quanto realizzazione statuale, è parte della storia del populismo.

Zagrebelsky Il problema è che la parola democrazia, come dicevamo prima, è diventata ambigua, proprio come la parola populismo: nei secoli, e anche recentemente, è stata la parola degli esclusi, che attraverso l’invocazione della democrazia chiedevano di entrare e avere diritti: nell’esercito, nella scuola, nella fabbrica, non solo nelle istituzioni politiche. Oggi è diventata la parola di coloro che stanno in alto, degli inclusi, per garantirsi contro gli esclusi. Ribadisco: la gran parte delle parole del lessico politico assume un significato diverso, se non ribaltato, a seconda di chi le usa. Ad esempio la parola libertà.

Canfora Sono totalmente d’accordo.

Preterossi Insomma, tutti i concetti politici sono concetti polemici, come sosteneva Carl Schmitt.

Zagrebelsky In un certo senso, sì. Anche sulla parola diritti in rapporto a democrazia bisognerebbe chiarirsi. I disperati che approdano a Lampedusa non chiedono democrazia; chiedono il diritto di ricevere un minimo di trattamento umano. Mentre c’è tra noi chi, dicendosi democratico, vuole cacciarli via perché turbano la tranquillità di «casa nostra».

Un’ultima osservazione sul populismo. Non è detto che l’osservanza della legge sia sempre una buona cosa, però l’illegalità sistematica è certamente una cattiva cosa, o no?

[…]E qui il discorso si fa serio perché questa categoria del populismo ha ricominciato di recente a circolare in relazione all’esperienza berlusconiana. Collegata all’idea che Berlusconi è legittimato a governare da una maggioranza, ma anche da un rapporto quasi carnale di complicità con tutto il paese. A Berlusconi le regole, compresa la Costituzione, stanno strette. Ora, le Costituzioni dei regimi populisti non sono le Costituzioni come le concepiamo noi. Quando si prende il potere, si scrive la Costituzione a proprio uso e consumo. Ci si fa l’abito adatto al corpo, non si modella il corpo per farlo entrare nell’abito. Allora la Costituzione non è più limite del potere a garanzia di tutti, ma strumento del potere: sempre Costituzioni si chiamano, ma sono due cose completamente diverse.

Uno dei rischi del populismo, almeno nelle condizioni del nostro paese, è proprio questa tendenza: in nome della consonanza con il sentimento popolare, per il capo populista le regole comuni non valgono. Oppure, valgono solo le regole che piacciono al capo. Ed è la rovina del principio di eguaglianza di fronte alla legge.

Canfora È vero; ma è vero pure che coloro che non sono stati capaci di sconfiggerlo politicamente in tanti anni, hanno pensato fosse più facile cucirgli addosso la definizione di populista. Occorre conquistare il popolo che lui si è tirato dietro. Questo è il problema vero.

Zagrebelsky Ma non con gli stessi strumenti.

Canfora Certo che no. Si può conquistare il popolo in altro modo.

Zagrebelsky Il rischio è che la valorizzazione del populismo porti a dire: sii anche tu populista come l’altro, ma cerca di essere più efficace di lui. No, noi abbiamo un’idea diversa della democrazia.

Preterossi Però bisogna avere ancora l’idea che occorre non divorziare dal popolo. Su questo sarete, credo, d’accordo tutti e due.

Luciano Canfora è professore emerito dell’Università di Bari. Dirige i “Quaderni di storia” e collabora con il “Corriere della Sera”. 

Gustavo Zagrebelsky è professore emerito dell’Università di Torino.

Geminello Preterossi è ordinario di Filosofia del diritto e Storia delle dottrine politiche all’Università di Salerno.

Fonte: – https://www.laterza.it/index.php?option=com_content&view=article&id=1420&Itemid=101

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