Alla scuola del silenzio

Noi abbiamo paura del silenzio, paura che ci riveli fino in fondo a noi stessi, paura che ci riveli agli altri da noi. È alla scuola del silenzio, e solo a questa, che le parole assumono il loro valore, o si inaridiscono nella loro inconsistenza. Se non amiamo il silenzio è perché non sappiamo cosa dire, cosa domandare, cosa ascoltare di quello che si agita nel nostro cuore, cosa rispondere alla voce che chiama dalle misteriose e azzurre lontananze della nostra anima.

Ogni giorno siamo pieni di infiniti pensieri, di infinite distrazioni, di infinite dimenticanze, di infinite emozioni, di infiniti progetti: e non abbiamo tempo, o consideriamo la cosa del tutto inutile, di interrompere questo flusso senza fine di esperienze: immergendoci, almeno per qualche attimo, nelle oasi talora dolorose, talora laceranti del silenzio che ci consentano di rimettere in discussione il senso di quella che è la nostra vita divorata dalle azioni, e non dalla contemplazione che si nutre di silenzio e che ci apre i sentieri della interiorità.

Cosa è, cosa significa, il silenzio in ciascuno di noi, quale importanza ha nella nostra vita, e quali risonanze ridesta nella nostra memoria e nella nostra coscienza, nella nostra immaginazione e nella nostra solitudine? Cosa ci può dire, a sua volta, il silenzio degli altri, e come ci è possibile interpretarlo al di là delle maschere dietro alle quali si nasconda? Come decifrare il silenzio in chi chieda aiuto solo guardandoci e senza parlare?

Il silenzio, certo, ha mille volti, mille modi di manifestarsi e di nascondersi, di indicare e di alludere, di comparire e di scomparire, di avvicinarsi e di allontanarsi, di affascinare e di atterrire; ma il silenzio ha anche a che fare con il dolore che, quando è il dolore dell’anima, si rivela solo nel silenzio: nelle sue metamorfosi e nelle sue interne lacerazioni.

La fenomenologia del silenzio ci confronta, in ogni caso, con contenuti che non dovremmo dimenticare. Il silenzio che crea relazioni e le rende vive, e il silenzio che frantuma e congela le relazioni umane. Il silenzio delle cattedrali e della natura, il silenzio dell’oblio e della morte, il silenzio solcato dalla traccia invisibile del sorriso, il silenzio della solitudine e della timidezza. Il silenzio che è una offerta di relazione alle anime ferite dalla cascata delle parole inutili. Il silenzio nella malinconia che nasce dalla infinitudine della nostalgia e del passato insalvabile, e che anela ad una parola intessuta di silenzio che possa essere un balsamo per le molte ferite della vita. Il silenzio febbrile dell’angoscia nella quale si legga l’alta tensione della parola infranta e cancellata, e dei volti smangiati dal dolore che sono nell’attesa di qualcosa nemmeno immaginato e nemmeno più sperato.

Alla scuola del silenzio, e come frequentarla se non sulle scie di una intuizione eidetica (fenomenologica) che sia radente e sismografica, è forse possibile imparare a distinguere le parole intessute di silenzio, come quelle leopardiane e dickinsoniane, quelle trakliaiie e rilkiane, quelle bachmanniane e ungarettiane, quelle anche solo divorate dalla sofferenza, dalle parole che siano invece logorate e imbalsamate dal nonsenso della chiacchiera.

Gli orizzonti del silenzio sono così vasti e così enigmatici che non è facile conoscerli, o almeno intravederli. Ma alla scuola del silenzio (all’ascolto dei modi di essere del silenzio) si possono cogliere altre dimensioni, altre immagini del silenzio, che si intravedano nel solco delle pascaliane ragioni del cuore che sono l’altra immagine della intuizione fenomenologica. Non si parla, ci si affida al silenzio, quando si è incrinati dalla timidezza, dal timore di essere feriti dalle parole e dai gesti degli altri, dalla interna percezione di non-potere-essere-capiti e di non-potere-sentirsi-ascoltati.

La tristezza, che è l’anima di ogni timidezza, rende sensibilissima la nostra anima, e le parole degli altri possono facilmente graffiarla e lacerarla. Si tace, e si fa silenzio (il silenzio può nascondersi anche nelle parole ma non è facile allora riconoscerlo), al fine di non esporsi al rischio fatale e crudele della indifferenza e della noncuranza che lampeggiano dalle parole vuote di passione.

Nel silenzio si nascondono, insomma, le aree sconfinate delle emozioni: silenziose e incandescenti, tumultuose e ghiacciate, palpitanti e inaridite. Nel silenzio, nella cittadella fragile e vulnerabile del silenzio, ci è possibile scandagliare meglio cosa ci sia, al di là delle parole, nei volti e negli sguardi: nelle lacrime e nel sorriso.

Da LE EMOZIONI FERITE, di E. Borgna – Feltrinelli

Foto RETE

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