Cartella al portatore 1934

Nella foto, che devo alla cortesia di Alfonso Papa, una Cartella al portatore di 500 lire del 1934, “regnante” Mussolini.



Le origini del debito pubblico italiano

L’origine del debito pubblico italiano risale all’epoca dell’unificazione politica del paese, avvenuta il 17 marzo del 1861, data in cui fu proclamato il Regno d’Italia; la prima delle leggi unificatrici riguardò proprio l’istituzione del Gran Libro del debito pubblico, che consentì il riconoscimento dei titoli di debito degli Stati che erano entrati a fare parte del nuovo Regno. L’emanazione delle leggi scaturì essenzialmente da esigenze sia di ordine economico-finanziario, poiché il nuovo Stato avendo un bilancio in dissesto necessitava di credito proveniente dai suoi cittadini, sia di ordine politico, poiché il riconoscimento del nuovo Stato dei debiti dei cessati Stati favorì l’unificazione nazionale e aumentò la fiducia degli Stati esteri, sia infine di ordine tecnico amministrativo poiché i debiti dei vecchi Stati, essendo molteplici, comportavano importanti spese da parte della loro amministrazione. Subito dopo l’istituzione del Gran Libro del debito pubblico, le condizioni critiche di bilancio obbligarono il Governo ad emettere il primo prestito di ben 500 milioni. Nel corso della storia i deficit di bilancio sono stati sempre una caratteristica importante della finanza pubblica italiana, per i quali si è sempre fatto affidamento all’indebitamento per coprirli.

Retro

  1. Il debito pubblico post-unitario

Nel periodo dell’unificazione, i debiti consolidati e redimibili dei vecchi Stati preunitari, dei quali fu decisa la registrazione nel Gran Libro del debito pubblico, derivavano dal Regno di Sardegna per il 57,22%, dal Regno di Napoli e Sicilia per il 29,40%, e da tutti gli altri Stati per il residuo. Questi debiti erano, complessivamente, pari a 69 lire pro-capite, però le quote pro-capite erano ben differenziate tra gli Stati preunitari; in particolare in Piemonte ammontavano a 142 lire, in Toscana a 67 lire, a Napoli a 63 lire, in Lombardia a 56 lire, in Sicilia a 49 lire, e negli altri Stati unificati a 13 lire.

I cittadini meridionali, in buona sostanza, si fecero carico degli oneri di debiti contratti dal Regno di Sardegna. Nitti in merito a questo problema affermò che “senza l’unificazione dei vari Stati, il Regno di Sardegna per l’abuso delle spese e per la povertà delle sue risorse era condannato al fallimento. La depressione finanziaria, del 1848, aveva determinato uno scenario dal quale si poteva uscire soltanto in due modi: con il fallimento, oppure confondendo le finanze piemontesi a quelle di un altro Stato più grande”(1) .

 Con ciò che pensava Nitti, Einaudi non era d’accordo e affermava che

“la finanza   borbonica provvedeva alle opere pubbliche atte a dare un incremento all’economia del paese entro i limiti dell’andamento spontaneo delle entrate al di sopra delle esigenze delle spese ordinarie, così da far credere che l’opera fosse dovuta a generosità del sovrano; la finanza cavourriana non temeva di anticipare con prestiti l’incremento del gettito tributario o lo provocava con opere di ferrovie di canali di navigazione atte ad accrescere la produttività del lavoro nazionale”(2) .

L’argomentazione di Einaudi può essere oggetto di discussione. Senza dubbio la finanza cavourriana era migliore di quella borbonica, però è anche vero che fu il Sud quello chiamato a pagare i debiti contratti e la situazione critica del Sud non fu originata dall’unificazione, però questa la peggiorò. Dopo l’unificazione di fatto gli ordinamenti piemontesi si sostituirono a quelli borbonici. […]

Annamaria Salvo

 

Il massacro di Debre Libanos in Etiopia



Buona parte dei soldi di questo prestito furono impiegati per la guerra d’Etiopia che si svolse tra il 1935 ed il 1936.

“La guerra fu la campagna coloniale più grande della storia: la mobilitazione italiana assunse dimensioni straordinarie, impegnando un numero di uomini, una modernità di mezzi e una rapidità di approntamento mai visti fino ad allora. Fu un conflitto altamente simbolico, nel quale il regime fascista impiegò una grande quantità di mezzi propagandistici con lo scopo di impostare e condurre una guerra in linea con le esigenze di prestigio internazionale […]”  (Wikipedia.org)

NOTE

1 F.S. NITTI, Il bilancio dello Stato dal 1862 al 1896-97, Laterza, Bari, 1958, p. 37.

2 L. EINAUDI, Miti e paradossi della giustizia tributaria, Einaudi, Torino, 1959, p. 274.

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