Li chiamavano « Pandurioti senza sangue », perché avevano fama di essere gente pacifica, modesta, frugale, e un pochino anche povera di spirito; ma i Pandurioti senza sangue, una volta tanto, avrebbero insegnato a tutti come si fa a farsi rendere giustizia, anche dal Governo; e avrebbero impartita una lezione memorabile ai galantuomini. I quali, in definitiva, non erano neppure del loro paese. Grossi proprietari di Piatì, di S. Ilario e di Siderno erano, che avevano, in altri tempi, con l’inganno, la violenza, e valendosi delle magistrature e delle influenze politiche, usurpate quasi tutte le terre demaniali del Comune, e per colmo del dispetto si servivano ora di braccia forestiere per coltivarle.
Ancone, il Carruso, i piani di Angelica, Flavia, i Baronali: tutta terra usurpata, sangue dei poveri, beni collettivi del Comune, che poteva essere il più ricco della provincia e invece era tra i più poveri, e doveva mandare i suoi figli in America, in un altro mondo, a procacciarsi un tozzo di pane.
Il paese, chiuso in un cerchio di ferro da quei vasti latifondi, passati, non si sapeva come, nelle mani dei signori forestieri, non respirava se non per quel tanto che piacesse ai padroni di farlo respirare. Per far legna, per pascolare, per coltivare un po’ d’ortaglia, per seminare un pugno di grano bisognava passare il lustrissimo ai signori, i quali si davano l’aria di proteggere e beneficare il Comune, mentre si nutrivano del suo sangue e si godevano i suoi beni. E ciò senza contare qualche acconto in natura, prelevato di quando in quando tra le ragazze più belle del paese.
Altre volte si era tentato di rivendicare quei benedetti terreni demaniali, e molti erano stati gli agenti delegati a risolvere l’annosa quistione; ma alla resa dei conti non si era mai concluso nulla. I signori avevano sempre trovato il modo di eludere la legge, se pure qualcuno si era mai proposto veramente di applicarla : perché, a guardarci bene in fondo, tutti quei magistrati che venivano da lontano, e dimostravano, a parole, tante buone intenzioni verso gli interessi del popolo, erano poi d’accordo con gli usurpatori per gabbarlo. E il Governo, beato lui! teneva mano.
Quella volta però la cosa era impostata diversamente. Prima di tutto alla testa del popolo vi era il Sindaco, un avvocato giovane, che sapeva dove mettere le mani, e insieme a lui vi era il maestro elementare, Don Michelino Fazzolari, un giovanotto anche lui che aveva studiato a Messina quattro anni, e sapeva leggere e scrivere come un padreterno. Erano loro questa volta che avevano presa l’iniziativa, e avevano scovato nell’archivio municipale dei documenti veramente definitivi. In quei documenti i diritti del Comune vi erano esposti chiaramente, come in un testamento scritto dal notaio. Don Michelino aveva copiato, in un foglio di carta protocollo, con la sua bella calligrafia a svolazzi, i passi più importanti di quei documenti, e li andava leggendo a tutti, perché si persuadessero e s’incoraggiassero ad agire. Non tutti i documenti erano stati ritrovati, veramente. I più antichi e importanti erano stati distrutti dai vecchi amministratori, pagati dai galantuomini forestieri. Mancavano, per esempio, quelli relativi alle operazioni demaniali eseguite dal generale Colletta, lo storico. Ciò non di meno quelli che erano stati ritrovati, bastavano a provare i diritti del Comune.
Da EMIGRANTI, di Francesco Perri – Garzanti
Un romanzo intenso che è bello leggere
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