La triste storia della Faini

Interno della Faini

Tra gli anni Cinquanta e Settanta l’Alto Tirreno sembra voltare pagina. Industriali del centro nord, spinti da contributi statali, agevolazioni locali e abbondanza di manodopera, delocalizzano parte delle loro attività. Rivetti a Praia, Colombo a Scalea e Faini a Cetraro creano centri produttivi che segnano la vita del comprensorio.

Oggi di quella esperienza rimane poco. Purtroppo.

Il testo che segue, pubblicato nel 2001, racconta la storia della Faini. 

Da molti anni ormai, il territorio comunale di Cetraro registra la presenza di una piccola e operosa comunità di laboratori dediti alla fabbricazione di maglie e dì articoli di maglieria.

La storia eli questi micro-insediamenti produttivi parte dalla metà del secolo appena concluso, precisamente nel 1951, quando un imprenditore veneto Faini, già titolare di una impresa di maglieria e costumi, decide di avviare un’attività produttiva in Calabria. Sembra siano state la bellezza dei luoghi e la possibilità dì disporre a costo zero di un terreno industriale a spingere l’imprenditore a decentrate parte delle sue lavorazioni a Cetraro, dove venne accolto come un “benefattore”. Già nella metà degli anni ‘50 le strategie aziendali della Faini furono improntate verso il decentramento dì parte delle lavorazioni e per questa ragione la direzione aziendale incentivò alcuni capi reparto ad avviare iniziative autonome in attività complementari a quelle dell’impresa madre. In ragione di questa, politica in pochi anni Cetraro sperimenta una crescita delle iniziative produttive nella maglieria: i dati di fonte Istat (1998) registrano nel 1961 la presenza di 5 unità locali con 548 addetti, a fronte delle 2 imprese con 165 unità lavorative rilevate dal censimento nel decennio precedente. Dati dì fonte sindacale stimano che intorno alla fine degli ami ’50, il perìodo di massimo boom della fabbrica dell’imprenditore veneto, gli operai tessili nella cittadina calabrese fossero più dì 600.

L’avventura della Faini ebbe termine nel 1971 a seguito del suicidio dell’imprenditore, pare connesso ad una forte e insanabile crisi dì liquidità finanziaria. Infatti, da alcuni anni, l’altro stabilimento del Gruppo localizzato a Vercelli, versava in profonda, crisi e le buone performance dell’impianto di Cetraro non riuscivano a colmare le perdite accumulate. Così, nel 1972, sotto la pressione delle forze sindacali e politiche locali è la Gepi la finanziaria pubblica, specializzata nel salvataggio delle imprese in crisi, che rileva l’azienda di Cetraro diventando la protagonista delle alterne vicende che da quel momento si susseguono nell’ambito del comparto della maglieria cetrarese.

L’obiettivo della finanziaria pubblica era quello di rilanciare il polo della maglieria locale – dove intanto 207 lavoratori venivano poste in Cassa integrazione – instaurando rapporti di co-partnership con imprenditori privati. Inizialmente la scelta della Gepi ricadde sull’Andrea  e C. Spa con la quale venne firmato nel 1974 un accordo, inserito in un più ampio programma di investimenti, che coinvolgeva siti industriali calabresi, per la riapertura della fabbrica Faini e per la realizzazione di un altro stabilimento che avrebbe dovuto produrre fibre chimiche. L’investimento stimato era di 9 miliardi di lire con un incremento occupazionale previsto di 360 unità (compresi i 207 cassintegrati che avrebbero dovuto essere, riassorbiti a scaglioni).

Posa della prima pietra, alla presenza del senatore Giuseppe Mario Militerni, il Ministro Medici, l’on. Giuseppe Reale e il vescovo del tempo

Tuttavia soltanto tre anni dopo l’esperimento fallì e la Gepi ritornò a gestire in solitudine la fabbrica ex Faini dando vita alla Tessile di Cetraro.

La storia che si sviluppa a cavallo tra la fine degli anni ‘70 e l’inizio degli anni ‘80 vede il nuovo polo tessile confrontarsi con problemi di sovrapproduzione, di rivendicazioni sindacali e dì liquidità. Si arriva così, tra perdite finanziarie e cambi di amministratori, fino al 1987 quando la Tessile di Cetraro viene smembrata, in tre distinte unità produttive: la Tessile, la Conca srl, e la LCM, con l’obiettivo di rendere più “appetibile” la fabbrica per un eventuale acquisto da parte di privati. Ma tale opzione strategica risulta inadatta al rilancio del complesso produttivo tant’è che gli stabilimenti vengono chiusi nel 1991 e gli operai posti in Cassa integrazione.

A metà anni novanta, dopo un triennio dì stasi, che coincide con la chiusura dello stabilimento, la Tessile di Cetraro è dì nuovo al centro dell’attenzione. Le trattative avviate tra Gepi, sindacato e privati portano nel 1.997 alla creazione di tre distinti stabilimenti: il pantalonificio  Se.ta (entrato in produzione nell’aprile del 2000), il calzaturificio Cesare Firrao (in produzione dal 1999) e l’Emiliana Tessile (in attività dal maggio 2000) che produce costumi.

Accanto a questo turbinio di sigle, fondi e istituzioni pubbliche, scioperi, mobilità di lavoratori, ecc., nascono, a partire dalla fine degli ’70, una serie di piccolissime unità produttive ad opera di imprenditori locali. Già verso la fine degli anni ’50, come già sottolineato, alcuni capi reparto della Faini avevano dato vita a minuscoli laboratori produttivi, legati all’impresa madre, che furono spinti a specializzarsi nelle forniture militari e nella produzione di articoli in maglia per enti morali. Tuttavia queste prime forme dì spill-over imprenditoriale scemarono rapidamente con la crisi dell’impresa committente.

Manifestazione degli operai della Faini

I muovi Iaboratori, ossia quelli sorti alla fine degli anni ’70, si differenziano dalle prime esperienze di aziende locali satelliti della Faini, in primo luogo perché costituiti per lo più sotto la forma giuridica di cooperative, in secondo luogo per il di il fatto di essere il frutto di un disegno imprenditoriale preciso: essere parte integrante del progetto dì rilancio della Tessile.

Col passare degli anni, queste micro-unità produttive, con l’aiuto di intermediari locali che procurano le commesse, cominciano ad emanciparsi dal vincolo della monocommessa della Tessile e iniziano a lavorare per imprese della maglieria interna ed esterna del Centro-nord.

Le imprese cetraresi ricevono le materie prime (pezze di maglie) e i semilavorati (filati) dai committenti, i quali forniscono anche i macchinari rivalendosi sui compensi dovuti alle imprese terziste in proporzione del conto lavorazione maturato. Le pezze vengono assemblate/cucite, vengono inserite le maniche e, eventualmente, gli elastici. Le maglie così create vengono rispedite ai committenti per essere colorate, stirate, imbustate e avviate ai mercati finali.

Negli anni più recenti siassiste ad una qualche tracimazione territoriale del sistema produttivo locale verso alcuni comuni confinanti con Cetraro, soprattutto Fagnano Castello e Malvito, dove l’abbondante presenza di forza lavoro femminile a basso costo e l’inconsistenza assoluta di occasioni occupazionali, consentono una straordinaria compressione dei costi del lavoro.

I laboratori della maglieria sorgono in locali atipici: garage, seminterrati, magazzini dotati di poca illuminazione, angusti e non rispondenti alte più basilari norme in materia di sicurezza. Inoltre, i laboratori sono difficilmente individuabili: l’unico indizio della loro esistenza è spesso rappresentato dai “covoni** di pezze e filati accatastati all’esterno. Le imprese preferiscono non “venire alla luce” per evitare controlli da parte dei vari enti amministrativi e

finanziari (ispettorato del lavoro, finanza, ecc.), ma anche per sfuggire ai “tentacoli” della criminalità organizzata, Le varie situazioni di illegalità, inoltre, spingono gli imprenditori ad effettuare frequenti cambi di ragione sociale e smembramenti delle imprese tra diversi componenti della stessa famiglia in modo da far “perdere le tracce”.

II sommerso si presenta sotto diverse forme: i) imprese che vivono nella più totale illegalità, cioè senza partita IVA; ii) aziende regolari che ricorrono in maniera più o meno massiccia al lavoro nero; iii) imprese regolari che utilizzano lavoratrici regolari ai quali, però, viene erogato un salario più basso di quello contrattuale. In riferimento alla prima forma di sommerso, la consistenza del fenomeno viene da un confronto tra i dati rilevali dall’Istat nel

1996 con il censimento intermedio che contano nel comune di Cetraro 23 unità locali con 255 addetti, e quelli derivanti da una indagine diretta e da informazioni presso interlocutori locali, che fanno registrare, invece, 42 imprese con almeno 600 addetti.

Nel 1996, si è stimato che il micro-sistema locale della maglieria abbia prodotto in volume oltre 400.000 maglie per un valore complessivo superiore ai 2 miliardi di lire.

Da SCELTE PUBBLICHE, STRATEGIE PRIVATE E SVILUPPO ECONOMICO IN CALABRIA, a cura di Giovanni Anania – Rubbettino 2001

FOTO: Rete

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