Italiani pigri. La nascita di un pregiudizio

Le tipizzazioni negative degli italiani, che già alla fine del Medioevo si diffondono in Europa, sono rivolte inizialmente a banchieri e mercanti fiorentini e lombardi che vengono accusati di avarizia, irreligiosità e disonestà. Queste immagini segnalano i difetti di ceti che mirano ad ogni costo al guadagno e che non hanno più un senso religioso del tempo. La critica non riguarda ancora l’ozio ma, se mai, l’abbandono di un tempo religioso e l’affermazione esclusiva di pratiche e ritmi tesi al guadagno e all’ arricchimento.

L’Umanesimo e il Rinascimento collocano in una posizione privilegiata le élite di diverse zone della penisola la cui considerazione positiva è legata proprio al loro non essere oziose, ma attive, dinamiche, innovative. Soltanto alla fine del XVII secolo e all’inizio del XVIII, quando l’Italia conosce un declino economico e culturale, all’interno della polemica dei paesi protestanti contro la superstizione cattolica, le immagini negative degli italiani vengono basate sul loro carattere indolente, effeminato, apatico, proprio di popolazioni che vivono in un clima meridionale.

La critica all’ozio coinvolge sia l’universo settentrionale che quello meridionale. La distinzione tra Settentrionali (i paesi dell’Europa continentale) e Meridionali, di cui fanno parte tutte le regioni e le province italiane, basata soprattutto su fattori climatici, diventa sempre più elaborata ed è una vulgata con la quale vengono spiegati il temperamento ozioso e indolente degli italiani e l’arretratezza economica, civile, morale di molte aree della penisola. Il metro di giudizio è quello che si afferma nella nuova realtà economica e commerciale dei paesi protestanti, calvinisti e giansenisti: lo sguardo è quello di intellettuali viaggiatori e intraprendenti, che cominciano a trasformare diversità storiche e geografiche, o climatiche, in differenze di tipo etnico. Il clima caldo rendeva, secondo queste concezioni, i meridionali (gli italiani) poltroni, viziosi, superstiziosi, apatici. Con tali giudizi negativi e analisi pessimistiche si debbono confrontare le élite italiane, che a volte confutano o attenuano gli stereotipi esterni, altre volte partecipano alla loro elaborazione, diventano creatrici di autostereotipi, con la dichiarata intenzione di spingere le popolazioni ad abbandonare gli antichi vizi.

L’idea che l’Italia debba rigenerarsi e risollevarsi dal suo declino e dal suo torpore, per tornare ai livelli di civiltà del passato, si afferma quasi dovunque. Gli illuministi prima e i patrioti risorgimentali italiani dopo, da un lato rifiutano le rappresentazioni negative esterne, dall’altro le riproducono e le amplificano per criticare i ceti dominanti e per auspicare una rigenerazione. All’interno del variegato movimento risorgimentale, che vede nell’unificazione nazionale l’unica via per l’uscita dal declino che consenta all’Italia di non essere più oggetto di scherno per gli altri paesi europei, i vizi – l’ozio è uno dei più devastanti e frequenti – vengono segnalati come espressione di una decadenza imputata ai ceti dominanti e considerati un riflesso del loro modo apatico di governare.

La critica della società e dei ceti più elevati viene avanzata con riferimento ai luoghi in cui si sta affermando la modernità, dove la borghesia introduce nuovi concetti del tempo e dello spazio e dove l’ozio viene ormai considerato disdicevole da un punto di vista morale, sociale e civile. Una sorta di accettazione degli stereotipi esterni da parte delle élite locali s’inscrive così in un progetto di critica dell’esistente e di rinnovamento, che a inizio Ottocento ha ormai come centro i paesi del Settentrione.

L’ozio e l’effeminatezza – riproponendo un accostamento che gli scrittori risorgimentali operavano per rappresentare il declino e l’inadeguatezza degli italiani – sono considerati il vero male dell’indebolimento della volontà delle popolazioni, un tempo virile, e dell’incapacità di coltivare gli studi. Il termine ozio ormai assumeva una connotazione esclusivamente negativa e indicava, come scrive Silvana Patriarca in Italianità (2010), non soltanto pigrizia, ma «un modo di essere caratterizzato da un’inattività passiva» e una «debolezza morale che ben si prestava a descrivere un popolo che aveva perduto l’indipendenza ed era caduto in uno stato di soggezione degradante che alcuni paragonavano alla schiavitù».

Il Risorgimento e il risveglio della nazione comportavano un recupero totale del posto che all’Italia spettava nell’Europa cristiana e industriosa. Non siamo più al contrasto tra tempo dei chierici e dei mercanti, ma a un’idea di sviluppo economico e della modernità in cui convergono i successi economici dell’Europa, le sue tradizioni liberali e il cristianesimo. L’ozio era connotato come categoria sessuale e di genere ed era all’origine della scomparsa della virtù militare, della mollezza, dell’amore per la lussuria, che si traduceva in effeminatezza. Vincenzo Gioberti e Cesare Balbo sembravano accusare di oziosità tutta la popolazione italiana, in realtà la difendevano dagli stereotipi esterni e chiamavano in causa le élite che erano responsabili dell’avvilimento dell’Italia e a cui spettava il compito della rigenerazione. I meridionali non venivano ancora contrapposti ai piemontesi e ai settentrionali.

Da MALEDETTO SUD, di Vito Teti – Einaudi

FOTO: Rete

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