MITI – Ades: «che non conosce dolcezza»

Luca Giordano, Il ratto di Proserpina

Ade, o Hades (in greco antico: ᾍδης, Hádēs), è un personaggio della mitologia greca, figlio di Crono e Rea

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Il suo nome significa probabilmente «l’invisibile» ed è il signore del mondo delle tenebre, abitatore di un triste palazzo con porte di marmo e soglie di bronzo, non più superabili una volta che siano state varcate. Relegato nel suo dominio non accede mai alla terra, salvo nel caso del rapimento della figlia di Demetra. Come dio dei morti e del mondo sotterraneo, assume presto caratteri di numinosità fecondante, collegata all’abbondanza e al ritmo stagionale. Sua sposa è Persefone o Persefassa, la fanciulla Kore rapita a Demetra.

BERNINI – Il Ratto di Proserpina esposto nella Galleria Borghese

Dopo la deposizione di Crono, i suoi tre figli maschi si divisero l’universo. Estrassero da un elmo i simboli dei vari possedimenti, ripromettendosi di considerare insindacabili i risultati. L’estrazione stabilì che la Terra rimanesse di dominio di tutti, mentre a Zeus spettò il ciclo, a Posidone il mare e ad Ades il mondo infero. Ades era dunque signore senza pietà del regno «della terra oscura», luogo di dolore e tristezza senza vegetazione e senza luce. La sua dimora era avvolta nell’eterna notte, tra fiumi terrificanti e misteriosi acquitrini, ai confini della terra. Misteriosi corsi d’acqua attraversavano il mondo infero: Codito, il fiume dei gemiti, Acheronte, il grande fiume putrido e stagnante che Caronte attraversava con la sua barca, e Stige, le cui acque donavano l’immortalità.

Quando le anime dei morti scendevano nell’Ade erano sempre fornite di una moneta di due oboli che i parenti avevano avuto cura di mettere vicino alla salma. Giunte all’ingresso tartareo, difficile da varcare perché privo di qualsiasi speranza di ritorno, esse potevano pagare il triste nocchiero Caronte. Costui le traghettava al di là dello Stige, fiume che circondava il Tartaro a occidente, dove Cerbero, il cane a tre teste divorava implacabile, sia i vivi che tentavano di entrare, sia i morti che cercavano la fuga. Arrivate, quindi, nel Tartaro le ombre erano suddivise per provenienza. Quelle asiatiche venivano giudicate da Radamante, che era stato re di Cnosso, mentre le europee erano sottoposte a Eaco. I casi incerti più difficili venivano invece mandati a Minosse, re e legislatore di Creta e fratello di Radamante. Infine, tre erano le destinazioni possibili per i giudicati. La malinconica prateria degli Asfodeli accoglieva coloro i quali avevano agito in mediocrità, sia nel bene che nel male. Ai malvagi era riservato il Tartaro «fosco di nebbie», mentre per i giusti e i virtuosi c’erano i campi Elisi, luogo di gioia eterna, posto sotto il governo di Crono.

Persefone e Ade, part. del Cratere di Altamura, vaso funerario a figure rosse con scene del mondo infero, realizzato a Taranto e attribuito alla bottega del Pittore di Licurgo, 360-340 a.C. – Museo Archeologico Nazionale di Napoli

Fra strani mostri e potenze infernali, Adoneo l’«invisibile» regnava sui sudditi invisibili: le anime dei morti. Solenne e fosca figura regale, egli era detto Zeus Katachthonios («il Sotterraneo») e la poca cura che dedicava al suo aspetto — barba incolta, chioma arruffata — accentuava la durezza della sua espressione. Orgoglioso, crucciato e geloso dei propri poteri, non sopportava interferenze. Una volta divenne furibondo perché Asclepio, dio della medicina, aveva resuscitato un uomo, togliendogli, in questo modo, un suddito. Si lamentò rudemente con Zeus che dovette folgorare il buon medico, provocando l’ira di Apollo, suo padre.

Ades non era solito partecipare ai concili divini e raramente saliva sulla terra, quasi sempre per questioni d’amore. Innamoratosi di sua nipote Persefone, la rapì mentre giocava con le sue compagne. Zeus, padre della fanciulla (kore) non aveva potuto impedire il ratto, ma non potè reggere alla vendetta di Demetra che, in lutto per la perdita della figlia, non faceva germogliare alcun seme! Zeus ordinò ad Ades di restituire Persefone alla madre. Egli obbedì, ma le offrì un chicco di melograno, obbligandola, in questo modo a ritornare in Averno. La Regina degli inferi trascorreva un terzo dell’anno con il suo sposo. Dalla loro unione non nacquero figli.

Un’altra volta, Ades stava per sedurre la Ninfa Minta, quando Persefone apparve e immediatamente tramutò la fanciulla nell’erba menta delicatamente profumata. Un altro successo fu il caso della Ninfa Leuce, che il Signore degli Inferi tentò di violentare. Ella venne trasformata nel bianco pioppo che cresceva vicino alla fonte della memoria.

Benché scontroso, Ades partecipò alla Titanomachia e i Ciclopi gli fornirono il magico casco che rendeva invisibile chiunque lo indossava. Non partecipò alla Gigantomachia. Figura indistinta e crudele, egli provava gioia dal dolore altrui. Scontratosi con Eracle ne ebbe la peggio. L’eroe lo ferì con una freccia, alla spalla e lo costrinse a rifugiarsi in Olimpo. Qui Peone, medico degli dei, guarì il dolorante nume con il balsamo prodigioso. La regina Persefone che sapeva essere benigna, ma che non era meno crudele del suo sposo, fece conferire ad Ades l’appellativo di Pluton (da Plutos, la ricchezza).

In effetti la divina coppia infera univa la fecondità della terra — kore — a quella del sottosuolo — Ades — che incamerava preziosi e misteriosi metalli.

Da MITI E LEGGENDE DELL’ANTICA GRECIA, di Rosa Agizza – Newton & Compton

FOTO: Rete

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