DIAMANTE

Corso Vittorio Emanuele

Diamante ha davvero un bel nome. È un bel paese di mare, di quelli col mare sotto. Si dice che ai tempi della Belle Époque nostrana da queste parti venissero in gita D’Annunzio e Matilde Serao, palati fini, strana coppia a volerci credere. Oggi è decisamente un altro paesaggio. Una selva di villette standardizzate stile immobiliarista alla Cetto La Qualunque assiepate sui bordi sbaraccati della statale… Pare invece che la definizione di “Perla del Tirreno” attribuita a Diamante sia una stima d’affezione proprio dalla spiritosa Matilde Serao (come, un ‘diamante’ che diventa una perla?). Lei che durante una visita su questi tratti di costa restò davvero stupita che ci fosse spargimento di tanta bellezza anche più giù di Sorrento, scendendo in basso nelle vecchie Calabrie. Era vero. Allora potevano esserci pezzi di paradiso anche più giù di Sorrento. La scrittrice si innamorò di Diamante… Meglio dire di quel Tirreno d’altri tempi, limpido e profumato che allora si vedeva sotto la balaustra della vecchia passeggiata a mare, a riparo del borgo marinaro. Un mare di cristallo. Ai tempi della scrittrice napoletana c’era solo una bellissima scogliera, ampia come un enorme acquario, che si stendeva sotto di lei. Dal costone affacciato al mare, a due passi dagli usci delle case dei pescatori della marina… Una volta dall’affaccio sul mare di Diamante era possibile vedere “pesci di ogni genere, ricci di mare, patelle, capelli di mare”; ghiottonerie e un vero spettacolo all’aperto. Una peschiera naturale. I polpi che avevano le tane nella scogliera si pescavano con il coccio. Raccontano che bastava immergere in mare una vecchia “lancella”, la brocca di terracotta che teneva in fresco l’acqua da bere. Un pesca elementare. Poteva farla anche uno scugnizzo, che da sopra gli scogli tirava con lo spago il coccio con il polipo già pronto per andare in pentola. Alla giunonica Matilde Serao la Diamante limpida, cenciosa e odorosa di pesce degli anni della Belle Époque dovette sembrare un posto più saporoso e bello della solita riviera, una varietà marinara del suo paese di cuccagna napoletano. Non c’era ancora il chiasso del turismo, l’inquinamento, la mania di apparire. Tutti questi sfessati vestiti col completino Henry Lloyd, che adesso vogliono, fortissimamente vogliono, il posto-barca a Diamante.

L’acquario della Serao è morto da un pezzo. Pescatori non ce ne sono più. E tutto quello che restava dell’originaria scogliera con l’acqua bassa e trasparente ancora fino a qualche anno fa, tra poco non ci sarà più. Un altro scempio. Le ruspe, i camion con le pietre, gli escavatori sono già al lavoro. Si sta sbancando per interrare e fare di quello che resta della scogliera di Diamante l’ennesimo porto turistico; una rastrelliera di acqua morta per lasciarci a mollo un po’ di barche da diporto e i motoscafi dell’upper class locale a caccia di status. Pochi mesi e la scogliera verrà coperta da un sarcofago di cemento. Al posto degli scogli e dei pesci e dei polpi, le barche e gli yacht che dovrebbero risolvere la crisi del turismo, le moria delle seconde e terze case vuote che gli immobiliaristi di qui non vendono più neanche se le danno via a prezzi d’inflazione. Se rivedesse Diamante pure Donna Matilde si dispererebbe. Invece gongolano il ricco farmacista cosentino, l’esotico diportista napoletano, il commercialista rampante e l’avvocaticchio con la barca a mare…

I turisti, il turismo che avanza: tra gli avanzi. Nessuno pensa a un parco marino, a un’area protetta. Nessuno vuole salvare quello che resta del mare, delle bellezze pubbliche, neanche qui a Diamante, la riviera dei cedri, la “perla del Tirreno”…

I monti aguzzi e seghettati che sovrastano Diamante all’imbrunire sono come le guglie e i pinnacoli di un solenne duomo di pietra. Per un attimo tolgono di mezzo gli spropositi del cemento, tutta la fatua noncuranza e la prepotenza che si agita di sotto, sulla strada delle vacanze. Vicinissime a Diamante e al suo prossimo porto, si stagliano le uniche due isole calabresi, quella di Dino e quella di Cirella. Per me sono ancora belle, sulla costa massacrata del Tirreno, davanti al mare di tutte le storie. Ma molto piccole e sparute per essere prese sul serio davvero come isole. Ormai vicine, vicinissime a questi paraggi di costa già incasinatissimi e trafficati, zeppi di discoteche, gelaterie, pizzerie e ipermercati. Semplicemente se ne stanno lì solitarie e tristi a poche bracciate dalle riva, tonde come pance al sole, come le carcasse rigonfie di due capodogli degli abissi che il mare ha disambientato e spiaggiato sin qui dopo un fortunale. Stanno sul mare come tranci inerti di materia sfinita. Due mucchietti di terra calabra ammonticchiati in acqua, un’ombra sotto la linea ininterrotta dell’orizzonte. Quando stanco del mio girovagare volto la macchina sulla statale per tornare indietro prima che si faccia sera, anche loro, le due vecchie isole spanciate, le immagino desiderose di rianimarsi. Di rimettersi in moto per abbandonare a nuoto e tra gli spruzzi questa costa soffocata dal cemento. Vorrei che Dino e Cirella, le due isolette sotto costa a Diamante, ritrovassero il respiro del mare, e nel mare il largo e la lontananza. Come i grandi cetacei che riprendono commiato dai lidi dopo una breve sosta. Di nuovo verso un mare benigno e dalle sponde più aperte. Salpate piccole isole. Prima dell’annessione, prima che arrivino altri palazzinari e diportisti della domenica a usurpare, a mettere sopra le mani.

Mauro F. Minervino

“Chi vive in Calabria / Chi ha scarsa memoria. Viaggio a Sud”, Doppiozero, Milano, 2013 (ed. in ebook, doppiozero.com/libreria; amazon), pp. 89 – 92.

Dalla pg Fb dell’autore

FOTO: Rete

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