NEBBIA

Nascondi le cose lontane,
tu nebbia impalpabile e scialba,
tu fumo che ancora rampolli,
su l’alba,
da’ lampi notturni e da’ crolli
d’aeree frane!

.

Nascondi le cose lontane,
nascondimi quello ch’è morto!
Ch’io veda soltanto la siepe
dell’orto,
la mura ch’ha piene le crepe
di valeriane.

.

Nascondi le cose lontane:
le cose che son ebbre di pianto!
Ch’io veda i due peschi, i due meli,
soltanto,
che danno i soavi lor mieli
pel nero mio pane.

.

GIOVANNI PASCOLI

.

Secondo l’interpretazione di Mario Pazzaglia la poesia è una preghiera rivolta alla nebbia, elemento naturale utile al poeta perché possa, come è sua natura, nascondere le cose lontane, le sue sofferenze passate, rendendole memorie nebbiose senza sofferenza. Pascoli prega affinché quei dolori della sua infanzia siano rimossi dalla sua mente e la sua invocazione si ripete all’inizio di ogni strofa. Il poeta, in opposizione alle sofferenze giovanili, desidera solo vedere le cose quotidiane dell’ambiente naturale, che ritrova, per esempio, nel muro dalla cui crepa esce la valeriana (arbusto non scelto a caso, perché sono noti i suoi effetti benefici e tranquillanti). Trova la pace nei due alberi da frutto che ha davanti, i quali producono frutti dolci da cui ricavare confetture per addolcire il pane nero, simbolo della sua vita difficile. Quei frutti, resi confetture, sono simbolo della semplicità tipica del mondo agreste, che lui riesce a ritrovare a Castelvecchio.Per Pazzaglia anche il numero pari delle piante da frutto è legato alla ricerca di perfezione e di pace. Sul finale della poesia parla di una strada bianca che lui desidera vedere: è la strada che lo condurrà al cimitero dove troverà la pace; il tutto è ribadito dal suono funereo delle campane. Pascoli presenta la morte come rifugio estremo per le sue sofferenze.

Il cane, che riposa pacifico nell’orto, è rappresentazione dello stato d’animo del poeta. Pascoli finalmente ha trovato un luogo dove può essere felice, dove nessuna sofferenza verrà a scuoterlo.

Le cose lontane, i ricordi del passato, che lui cerca di far nascondere dalla nebbia, sono traumi irrisolti che lo perseguitano, a cui cerca di fuggire aggrappandosi alle cose presenti, quotidiane. Il Pascoli di Nebbia è un uomo ormai arreso, che vuole cancellare quel passato ed è alla ricerca di serenità:  non vuole abbracciare l’infinito, vuole restringersi al finito. Dal suo nido sicuro di Castelvecchio vede l’ignoto come una minaccia, perché lo identifica con il dolore che non può controllare, differentemente da Leopardi che era grato di poter vivere ed assaporare quell’ignoto. L’infinito per il poeta è qualcosa che potrebbe distruggerlo, che potrebbe attaccarlo, da cui rifugge, rinchiudendosi nel suo nido a Castelvecchio, al sicuro, come notano Emilio Cecchi e Natalino Sapegno. (wikip.)

FOTO: Orsomarso

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