
La religiosità popolare
La religiosità popolare è un sistema di credenze e, soprattutto, di pratiche che configurano un modo con cui il popolo minuto si relaziona con il sacro attraverso una serie di riti che la religione ha stabilito lungo l’anno liturgico. E doveroso segnalare che la religiosità popolare, almeno da una prospettiva antropologica, è un insieme complesso di parti, alcune delle quali sono resti di manifestazioni religiose precristiane, altre sono riti con un livello cristiano più o meno profondo e la maggior parte sono frutto di una prassi evangelica nata nella cultura egemonica e trasmessa dal clero, soprattutto attraverso gli ordini religiosi. Per questo, dal punto di vista antropologico, non è facile parlare di religiosità popolare come di un aspetto anonimo che funziona al margine della cultura ufficiale. La religiosità popolare non nasce come contrapposizione alla ufficiale né si mantiene sempre contrapposta a questa, alcune volte, la maggior parte delle volte, è a essa complementare.
Senza dubbio alcuno una costante nelle pratiche della religiosità popolare è la presenza del gruppo che la rende pubblica e condivisa. In questa partecipazione appaiono multipli valori che sono inerenti a queste pratiche. I gruppi, nel rituale, pongono a loro volta pubbliche le ragioni profonde degli individui che partecipano in esso con la loro formazione e bagaglio culturale, con il loro vissuto lungo la propria esistenza, a differenti livelli: come originar! del luogo, per prima cosa, come membri di una comunità, dopo, come abitanti o come emigranti, sempre c’è una ragione in questa partecipazione che serve da base a tutte le altre. Nella religiosità popolare esistono una serie di livelli di esperienze personali, ma generalmente poggiano su una base comune di consenso.
Il ruolo della donna
Il ruolo della donna nella chiesa è, è stato e sarà, quello che la gerarchia le ha assegnato, le assegna e le assegnerà nel futuro. Sappiamo che non è stato sempre lo stesso, che ha avuto i suoi alti e bassi anche se il potere ecclesiastico ha giustificato la sua centralità o marginalità basato nelle costanti storiche e culturali di ogni momento. C’è una cosa, senza dubbio, che non si può negare, la donna è stata e sarà la chiave per il mantenimento della religiosità popolare. Questo obbedisce a quello che lei, la donna, ha esercitato ed esercita come base principale nei rituali della religiosità domestica.
Fino alla riforma della Liturgia con il Concilio Vaticano II, la donna era colei la quale si sobbarcava la funzione di mantenere vivo il ricordo dei defunti. Nel tempio, occupava un luogo ereditato per linea materna dove si prendeva cura delle candele che accendeva in onore dei defunti della famiglia. Erano bracieri comprati per illuminare
il giorno del funerale e che dopo ardevano in chiesa durante la messa domenicale. Insegnava le preghiere ai figli e ai nipoti, trasmetteva oralmente canti, preghiere, salmi e scongiuri protettori della casa e delle proprietà domestiche. Per tutto questo è inseparabile dalla religiosità popolare. Nel mio lavoro sul campo, ho constatato come nelle manifestazioni nelle quali non si richiede la presenza obbligatoria del sacerdote, ossia, la messa, e le celebrazioni dei sacramenti, il ruolo femminile è centrale e la sua figura è molto più predominante di quella dell’uomo.
La Settimana Santa
La Settimana Santa, soprattutto per la sua peculiarità rituale, è un tempo nel quale la presenza femminile è più che mai giustificata. La centralità di Maria, corredentrice con Cristo e la presenza delle sante donne nella Passione, è servita per legittimare il ruolo preponderante del femminile. Senza la sua assistenza e collaborazione non si praticherebbero devozioni come la Via Crucis, l’Ora Santa (di adorazione), e soprattutto le processioni devozionali. Tradizionalmente la donna dirigeva la voce cantante nei Calvari, era imprescindibile nella recita della «Corona del Santo Rosario» e, almeno nel mondo rurale spagnolo, la sua presenza nella processione dell’Incontro (Cumprunta/Affruntata/Ncrinata/Svelata e così via), la mattina di Pasqua è stata garanzia per la sopravvivenza e permanenza di questo rito.
I canti popolari della Settimana Santa si sono trasmessi di generazione in generazione grazie alla cura che hanno avuto le donne nel conservarli e preservarli. Per il loro studio, è importante conoscere l’origine, tenendo in considerazione se essi siano universali, nazionali o prettamente locali. Universale è quel canto che si può trovare in tutta la cristianità, in latino, nato nella Età Media e che si è mantenuto inalterato fino al presente. Un esempio isolato è costituito dallo Stabat Mater di Jacopone da Todi. Ci sono altri canti che sono internazionali perché sono nati in una lingua determinata e si sono diffusi nei paesi dove questa si parla. Con frequenza si creano variazioni regionali che finiscono col diventare indice di identità dentro le tradizioni pie di partecipazione nella religiosità popolare.
È inoltre necessario, per lo studio della religiosità popolare, sapere l’ordine religioso che la creò e diffuse. Gli ordini religiosi, attraverso le “missioni popolari” influirono nelle pratiche devozionali del mondo contadino e diffusero, in esso, preghiere e canti, alcune volte oralmente e altre attraverso alcuni libri di devozione. Molte preghiere e canti trovano la propria origine in questa tipologia di predicazione. Dai libri, si copiarono un infinito numero di quaderni che conservavano le donne nelle loro case e che riaprivano per i riti della Settimana Santa e della Pasqua. Oggi conserviamo autentici gioielli manoscritti dalle nostre madri e nonne, con uno stile molto lontano da quello accademico, però non esente da una meravigliosa freschezza che riflette lo spirito della gente semplice, senza manierismi e a volte con una ortografia sui generis, propria di una trasmissione che si muove tra l’orale e lo scritto. I quaderni, che difettavano di annotazioni musicali, superflue per gente di scarsa o nulla formazione musicale, servivano, soprattutto, come supporto per non sbagliarsi nelle lettere o per acclarare dubbi in caso di litigio sopra la veridicità di un testo determinato.
Le devozioni più importanti di questo periodo nella religiosità popolare sono: le Via Crucis, i canti, le storie della Passione e la processione dell’Incontro (Cumprunta/Affruntata). La popolare Cumprunta, che in Calabria, come ha studiato Martino Michele Battaglia, è un rituale apparentemente semplice, ma di una grande complessità simbolica e di grande ricchezza semantica, perché ci parla di storia, di arte, di musica, di religiosità e soprattutto di identità locale.[…]
Da CANTI DI DONNE NELLA SETTIMANA SANTA IN CALABRIA: TEOLOGIA E ANTROPOLOGIA – Di Rotundo – Battaglia – Pellegrini Editori