I MICENEI IN ITALIA

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L’Italia meridionale e la Sicilia sono teatro, durante l’età del Bronzo, di intensi contatti tra gruppi di indigeni e navigatori micenei, documentati dal rinvenimento di ceramiche e oggetti in metallo di produzione egea in numerosi contesti protostorici italiani, sia di abitato che di necropoli. È questo un fenomeno di lunga durata, attestato senza interruzioni dal XVI all’XI sec. a.C. Le relazioni micenee con l’Occidente e con l’Italia in particolare sono finalizzate all’approvvigionamento di materie prime, tra cui soprattutto i metalli, per soddisfare i bisogni e i consumi delle nuove aristocrazie peloponnesiache. I primi contatti sono documentati da ceramiche del Tardo Mesoelladico e del Miceneo I e II, di produzione peloponnesiaca, rinvenute nell’arcipelago flegreo (Vivara) e in quello eoliano (Lipari e Filicudi) e, più limitatamente, in Puglia (nel Gargano e a Porto Perone presso Taranto). La maggiore intensità dei contatti si è stabilita nei secoli XIV e XIII a.C., quando il dominio dei regni micenei si estende anche a Creta; ceramiche del Miceneo III A-B sono state rinvenute in varie aree della penisola e della Sicilia (in particolar modo si segnalano il Brindisino, il Golfo di Taranto, la Calabria ionica, le Eolie, Ustica, il Siracusano, l’Agrigentino) ed anche oltre (la Sardegna, la penisola iberica). Adesso il processo non è gestito dai soli centri micenei del Peloponneso, ma coinvolge anche le isole di Creta, Rodi e Cipro.

Alla rotta tirrenica tradizionale, che attraverso lo Stretto di Messina e le Eolie punta verso il Golfo di Napoli, se ne aggiunge ora una più meridionale, che collega i porti del Levante (ubicati nel Libano, a Cipro, a Rodi, lungo le coste meridionali di Creta) con la Sicilia orientale e meridionale e con la Sardegna meridionale attraverso gli scali intermedi del delta del Nilo, delle coste della Libia, di Malta e di Pantelleria. A partire dal XIII sec. a.C., nei punti più strategici di queste rotte, si vengono a costituire importanti centri emporici frequentati dai Micenei, come Thapsos e Cannatello in Sicilia, o Scoglio del Tonno presso Taranto, dove si sono rinvenuti anche idoletti fittili micenei. In passato si è spesso equivocato sulla reale natura di questi centri, talvolta interpretati come stanziamenti micenei veri e propri, quasi delle “colonie” ante litteram. Il progredire delle scoperte e degli studi consente, invece, di meglio inquadrarli come entità costiere dal carattere prevalentemente portuale, frequentati dai naviganti egeolevantini coinvolti nei traffici pan-mediterranei.

Il collasso della civiltà palaziale micenea, tra la fine del XIII e l’inizio del XII sec. a.C., determina un rallentamento nei rapporti tra Oriente ed Occidente; tuttavia, ancora per il XII sec. a.C. sono attestate ceramiche del Miceneo III C in Italia e in Sicilia. Con l’XI sec. a.C., in conseguenza di rivolgimenti sociali e di movimenti di popolazioni che coinvolgono il continente greco (calata dei Dori), le importazioni cessano del tutto ed ha inizio, tanto nel mondo egeo che in quello peninsulare e siciliano, una lunga fase di chiusura. Saranno i Fenici ad ereditare dai Micenei di Rodi e Cipro quel patrimonio di conoscenze sulle risorse e sugli approdi del lontano Occidente e sulle rotte per raggiungerlo.

Dal contatto col mondo egeo traggono origine importanti mutamenti che caratterizzano le società indigene dell’Italia meridionale e della Sicilia nella tarda età del Bronzo, quali la gerarchizzazione e la concentrazione degli abitati, la comparsa di capanne e di tombe emergenti e di edifici specializzati per l’immagazzinamento di derrate, l’accantonamento di ingenti quantità di metallo, la nascita di artigiani specializzati (ceramisti e metallurghi) ed il potenziamento degli scambi e dei commerci. Prodotto di questi fenomeni, indotti dal contatto coi Micenei, è l’avvio di un processo di stratificazione sociale che coinvolge, con diversa intensità, le principali aree dell’Italia meridionale e della Sicilia, tutte caratterizzate, fino al XIV sec. a.C., da una sostanziale indifferenziazione sociale. Alla fine del processo si pone la formazione, tra Bronzo recente e Bronzo finale, di piccole entità territoriali in qualche modo assimilabili al chiefdom semplice; si tratta di un modello, elaborato dall’archeologia anglosassone, per definire società guidate da capi, che caratterizza comunità dell’ordine di qualche migliaio di abitanti, già di carattere tendenzialmente “protourbano”, contraddistinte da una incipiente stratificazione sociale con riflessi percepibili archeologicamente nella differenziazione del livello delle abitazioni e delle sepolture e da una gestione centralizzata delle risorse, alla guida delle quali è un capo (chief) scelto tra pochi lignaggi “aristocratici”.

Questo modello, tuttavia, non può essere ancora assimilato ai regni micenei, chiefdom complessi, vista la mancanza di sepolture principesche e di residenze di rango regale e di una organizzazione politica molto più articolata che non può prescindere dall’uso della scrittura. Non è giustificato, quindi, il ricorso a termini come anàktoron (residenza del wanax, il re nel greco miceneo) per definire determinate architetture emergenti che non presentano alcun tratto che le possa avvicinare in qualche modo ai “palazzi” micenei. In particolare, il termine anàktoron è stato utilizzato per definire l’unico edificio noto dell’abitato di Pantalica, che, quand’anche se ne possa delineare l’originario aspetto (probabilmente del XIII sec. a.C.), prima della trasformazione di epoca bizantina in fattoria fortificata, presenta più i caratteri di un edificio per l’immagazzinamento di derrate che non di una residenza “regale”; non è possibile, infatti, che vi si svolgesse un “cerimoniale di corte”, dal momento che i vani rettangolari che lo caratterizzano (A,C-F) non sono comunicanti tra di loro, ma aperti tutti su un corridoio laterale (B), secondo uno schema maggiormente assimilabile ai complessi A e B di Thapsos.

Da SICILIA E MAGNA GRECIA, Di G.F. La Torre – Laterza

FOTO: Rete

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