CALABRIA – Risorgimento che non risorge e i contadini traditi

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Gli esponenti della grande proprietà silano-crotonese, pur facendo parte di un unico blocco di interessi, presentavano infatti punti di vista divergenti. Valutavano anche in maniera diversa il fenomeno delle occupazioni da parte dei contadini. Da alcuni proprietari era visto come effetto del diffuso malcontento sociale legato alla «fame » di terra, per altri era frutto di motivazioni prettamente politiche.

La maggior parte dei proprietari aveva scelto Maurizio Barracco come loro portavoce, visto il peso politico che questa famiglia esercitava nella politica nazionale e in Calabria. Secondo Barracco le occupazioni delle terre da parte dei contadini non erano dovute alla povertà di questa classe sociale, ma erano il frutto di «mene reazionarie», opinione condivisa anche da alcune autorità. Il tentativo dei proprietari di non presentare le invasioni delle terre come un disagio sociale, ma come un’insorgenza politica a favore del ritorno di Francesco II, aveva lo scopo di ottenere l’appoggio dello Stato liberale nella repressione dei contadini, accusati strumentalmente in blocco di legittimismo e brigantaggio.

Una spiegazione diversa del fenomeno delle occupazioni dava invece Vincenzo Sprovieri, deputato della sinistra garibaldina e anch’egli esponente di rilievo del blocco dei proprietari. Secondo il deputato garibaldino la reintegra dei beni demaniali usurpati dai proprietari e la loro successiva suddivisione alla classe indigente degli agricoltori erano le uniche soluzioni alle occupazioni e al fenomeno del brigantaggio, perché in questa maniera ognuno avrebbe avuto modo di lavorare. Il calabrese, concludeva Sprovieri, «quantunque suscettibile e ardente nelle passioni ciò nonostante [era] laborioso e frugale».[…]. Nel suo discorso Sprovieri subordinava la buona riuscita delle operazioni di «rivendica» alla nomina da parte del governo di sindaci che dovevano essere «persone oneste a tutta prova, non usurpatori e non legati con gli stessi in parentela». A differenza di Maurizio Barracco ammetteva quindi le usurpazioni fatte da parte dei proprietari nel corso dei decenni e come causa delle occupazioni elencava elementi diversi da quelli del legittimismo borbonico e reazionario. Lo scioglimento delle questioni demaniali unito all’aumento dei posti di lavoro avrebbe invece reso, sempre secondo Sprovieri, «la popolazione del Cosentino calma come questa Torinese». Nella lettera evidenziava anche quale sorta di intrecci legassero gli amministratori, soprattutto i sindaci, alle famiglie dei ricchi proprietari che esprimevano la maggior parte della classe dirigente locale. Infatti, anche se i sindaci venivano nominati dal governo centrale, rimanevano persone del luogo, legate da vincoli di parentela, di appartenenza politica e di interessi economici. Il suffragio censitario, con cui si erano svolte le elezioni nel 1861, comportava a livello di rappresentanza politica nazionale che per essere eletti al parlamento bastavano poche centinaia di voti. In questa maniera eletti ed elettori finirono con l’appartenere allo stesso orizzonte sociale, principalmente espressione delle famiglie dei possidenti terrieri, accomunati da identici interessi da difendere. […]

Le pressioni e le influenze esercitate dai proprietari per bloccare le quotizzazioni della terra non riguardavano esclusivamente gli esponenti delle cariche municipali, ma, come aveva sottolineato lo stesso prefetto, chiunque lavorasse in settori della vita amministrativa e che aveva conoscenza della questione: impiegati dei demani e del genio civile, commissari demaniali, guardaboschi, ecc.. Il blocco dei proprietari in molti casi si era assicurato di distruggere ogni documentazione che potesse permettere di verificare i terreni usurpati; in altri casi era tale il disordine in cui versavano gli archivi comunali da non rendere agevole nessuna ricerca in merito. Erano state talmente radicali le distruzioni che ancora nel 1863 le autorità militari per la repressione del brigantaggio non riuscivano a reperire piantine sul territorio della Sila. Il maggiore generale della Calabria Citeriore, Orsini, comunicava per queste ragioni al comando militare di Catanzaro che, nonostante le accurate ricerche, non era riuscito ad «ottenere una carta qualunque dimostrativa la Sila, imperochè né il Direttore del Genio Civile; né l’Amministrazione del Demanio» le possedevano. Padula, sulle colonne de «II Bruzio» ironicamente annotava che parte degli «incartamenti [era] stata involata; ma quando nell’incartamento si trovava un documento favorevole agli usurpatori, quel documento si [era] staccato ed [era] rimasto».

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Da IL PREFETTO E I BRIGANTI, di Giuseppe Ferraro – Le Monnier

FOTO: Rete

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