C’è da dubitare che l’uomo rinascimentale fosse felice

Antonello da Messina, “Ritratto d’uomo” anche detto “Il condottiero” (1475).

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II Rinascimento era la civiltà di una ricca e potente classe superiore, che si venne a trovare sulla cresta dell’onda creata dalla tempesta delle nuove forze economiche. Le masse, che non partecipavano alla ricchezza e al potere del gruppo dirigente avevano perduto la sicurezza della loro posizione precedente, ed erano diventate una massa informe, da adulare o da minacciare: ma sempre da manipolare e da sfruttare da parte di quelli che stavano al potere.

Un nuovo dispotismo sorse accanto al nuovo individualismo. La libertà e la tirannia, l’individualità e il disordine erano inestricabilmente intrecciati. Il Rinascimento non era una civiltà di bottegai e piccoli borghesi, ma di nobili e borghesi ricchi. La loro attività economica e la loro ricchezza gli davano un sentimento di libertà e il senso dell’individualità. Ma contemporaneamente queste persone avevano perduto qualcosa: la sicurezza e il sentimento di appartenenza, che la struttura sociale medioevale aveva dato agli individui. Erano più liberi, ma erano anche più soli. Usavano il loro potere e la loro ricchezza per estrarre dalla vita fin l’ultima oncia di piacere; ma per farlo dovevano impiegare spietatamente ogni mezzo, dalla tortura fisica alla manipolazione psicologica, per dominare le masse e neutralizzare i concorrenti della loro stessa classe. Tutti i rapporti umani erano avvelenati da questa feroce lotta mortale per la conservazione del potere e della ricchezza. La solidarietà con i propri simili — o almeno con i membri della propria classe — cedeva il passo ad un cinico atteggiamento di distacco; gli altri individui venivano considerati «oggetti» da usare e manipolare, oppure venivano spietatamente annientati se ciò giovava ai propri fini.

L’individuo era assorbito da un egocentrismo passionale, da un’insaziabile fame di ricchezza e di potere. Di conseguenza il rapporto dell’individuo con se stesso, il suo senso di sicurezza e di fiducia erano anch’essi avvelenati. Il suo stesso essere divenne per lui un oggetto di manipolazione allo stesso modo in cui lo erano le altre persone. C’è da dubitare che i potenti padroni del capitalismo rinascimentale fossero felici e sicuri come spesso li si rappresenta. Tutto fa credere che la nuova libertà gli abbia portato due cose: un accresciuto sentimento di forza e al tempo stesso un isolamento, un’incertezza, uno scetticismo crescenti e, come conseguenza di tutto questo, una maggiore ansietà. È la stessa contraddizione che ritroviamo negli scritti filosofici degli umanisti. Accanto all’insistenza sulla dignità, sull’individualità e sulla forza dell’uomo, essi manifestavano nella loro filosofia insicurezza e disperazione.

Questa fondamentale insicurezza derivante dalla posizione dell’individuo isolato in un mondo ostile può spiegare la genesi di un tratto di carattere che, come ha fatto notare Burckhardt, era caratteristico dell’individuo del Rinascimento, e non era presente, o almeno non lo era con la stessa intensità, nel membro della struttura sociale medioevale: la sua violenta sete di fama.

Se il significato della vita è diventato incerto, se i propri rapporti con gli altri e con se stessi non offrono sicurezza, allora la fama è un mezzo per far tacere i propri dubbi. Essa ha una funzione paragonabile a quella delle piramidi egiziane, o della fede cristiana nell’immortalità: eleva la vita dell’individuo dai suoi limiti e dall’instabilità al piano dell’indistruttibilità. Se il proprio nome è noto ai contemporanei, e se c’è la speranza che possa sfidare i secoli, allora la propria vita acquista significato e rilevanza dal suo stesso riflettersi nei giudizi degli altri. È ovvio che questa soluzione del problema dell’insicurezza individuale era possibile solo a un gruppo sociale i cui membri possedevano i mezzi concreti per conquistare la fama. Non era una soluzione accessibile alle masse impotenti di quell’epoca, e nemmeno la ritroveremo nella classe media urbana che è stata la spina dorsale della Riforma.

Da FUGA DALLA LIBERTA’, DI Erich Fromm – Edizioni di Comunità

FOTO: Rete

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