IL MERCURION 1 – Un faro di ascetismo

ORSOMARSO – Chiesa di Mircuro

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Alle anime assetate di perfezione ascetica che negli ultimi secoli dell’alto medioevo anelavano, nell’estrema parte del mezzogiorno d’Italia, ad un luogo di quiete e di profonda solitudine; a quelle schiere atterrite di monaci che nello stesso tempo cercavano disperatamente un asilo ove sfuggire alla morsa dei continui pericoli imminenti, brillava una vivida luce scaturiente da una regione permeata di pace e della più intensa pietà religiosa.

Quella regione era detta del Mercurion, e, pur non potendosi stabilire con esattezza quando essa divenne un faro di ascetismo celebre ed accorsato, come l’Olimpo in Asia minore e il monte Athos nella Grecia, è probabile che per primi accolse melkiti di lingua greca che, fugati dalla Siria e dalla Palestina dalla conquista araba del terzo decennio del secolo settimo, si sparsero dalla Sicilia fino a Rom, lasciando testimonianze del loro passaggio in Calabria in manoscritti come il Codice purpureo di Rossano, ed oreficerie quali alcuni reliquari e delle placchette del Museo Nazionale di Reggio e di quello comunale di Catanzaro. Essi dettero l’avvio a quella affinità di idee che sempre intercorse tra il Mercurion e l’Oriente cristiano e quasi sicuramente anche all’enorme interesse dei monaci italo-greci per la trascrizione dei codici.

In seguito, pur non esagerando l’influenza delle persecuzioni iconoclastiche del secondo decennio del secolo ottavo, altri asceti dovettero pervenire nella regione allorché i monaci ricercarono quei luoghi che per essere ai confini dell’impero, come la Calabria settentrionale saltuariamente e senza nette delimitazioni dominata dai Longobardi e dai Bizantini, risentirono poco o nulla delle persecuzioni che, se mai, contribuirono a sviluppare la tendenza monastica bizantina all’anacoretismo ed alla vita errante, fino a che, riconquistata la Calabria da Niceforo Foca ed organizzata una difesa bizantina dell’Italia meridionale, i monaci che emigrarono in massa dalla Sicilia innanzi agli stessi invasori che li avevano scacciati dall’Asia minore e dall’Egitto, invece di dirigersi come prima avveniva verso la Balcania, scelsero altre direttrici di marcia: in parte avviandosi verso la Terra d’Otranto, in parte risalendo da Reggio la penisola, secondo un movimento delineato e preciso nella cronologia e nella topografia fino a giungere così ad ingrossare le schiere dei penitenti del Mercurion. I monaci che nel decimo secolo arrivarono nella regione con questa ultima ondata, vi trovavano fiorenti istituzioni monastiche e, tra l’altro, già stabilite quelle tre tappe di esistenza per le quali il monachesimo bizantino è ovunque passato: eremitaggi, lauree e cenobi. Varie agiografie ci informano del fulgore ascetico del Mercurion in questo periodo, derivante dai suoi tanti monasteri ed eremi e dalla grande ricchezza interiore degli uomini che li abitavano; oltre che per la vita eroica fatta di obbedienza, macerazioni e contemplazione, per l’ospitalità e l’assistenza morale e materiale largite a piene mani, senza astrarsi dai dolori del mondo, alla popolazione locale misera e scarsa, per il lavoro che in conformità alla Regola codificata da S. Basilio non era mai trascurato e si applicava nei modi più vari ed adatti alle tendenze di ciascuno: dalle opere dell’agricoltura alla trascrizione dei codici, allo studio ed alle discussioni teologiche.

Frattanto, quasi preludendo alle confederazioni monastiche che poi i Normanni istituiranno e sull’esempio di quanto andava attuandosi sull’Olimpo e sul monte Athos vi appariva una unificazione nella direzione, per lo meno spirituale, dei monasteri ed un avvicinamento al monachesimo occidentale specialmente per l’attività di qualche grande capo, come S. Saba il Giovane che esercitava la sua missione non soltanto, come sarebbe stato normale, sui cenobi da lui fondati in varie località tra loro distanti, ma anche su quelli preesistenti dei Taorminesi e dei Siracusani” ed altri abitati da monaci siciliani riunitisi secondo i diversi luoghi di provenienza. (Continua)

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 Da “MEDIOEVO BIZANTINO NEL MEZZOGIORNO D’ITALIA” , di Biagio Cappelli – Il coscile

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