Le catacombe

Un affresco del sec. IV d.C. presso le catacombe
di Domitilla a Roma.

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La parola catacomba deriva dal latino coemeterium ad catacumbas (dal greco katà kombas, «presso le cavità»), espressione che dal sec. IV d.C, indicò il sepolcreto sotterraneo situato presso la basilica di san Sebastiano, sulla via Appia, e in seguito tutti i complessi cimiteriali dei primi secoli del cristianesimo.

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Le catacombe sono costituite da gallerie sotterranee – scavate per lo più nel tufo granulare, non molto larghe (ca. 80 cm), spesso a piani sovrapposti e collegati da scale – che giungono a una profondità che varia da 7 a 25 m sotto il suolo; all’aerazione e all’illuminazione provvedono cunicoli verticali sboccanti all’aperto.

Le pareti sono scavate da ambo i lati con serie di nicchie o loculi delle dimensioni del corpo, parallelamente alla direzione della galleria stessa.

La lunghezza e la sovrapposizione delle gallerie dipendevano dalla necessità di sfruttare al massimo l’area cimiteriale, di cui non si dovevano varcare i confini neppure nel sottosuolo.

Fra le opinioni tradizionali senza riscontro nella realtà vi è quella che le catacombe servissero da rifugio e di luogo di riunione per i cristiani. Ciò avvenne solo in casi eccezionali, anche se talora clamorosi, come l’arresto del papa Sisto II nel cimitero di Pretestato, a seguito dell’editto di Valeriano, del 257, che sospendeva per la nuova religione la tutela fino ad allora esercitata dalla legge romana su tutte le sepolture.

Altrettanto inesatta è la credenza che le spoglie di tutti i martiri siano state deposte nelle catacombe, mentre, da san Pietro in poi, moltissimi furono seppelliti sub divo (all’aperto). Così si è in grado di escludere che le loro tombe fossero contrassegnate dalie ampolle vitree contenenti il loro sangue: quelle rinvenute non sono che dei balsamari.

Catacombe di Domitilla

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In quanto al costume funerario, le deposizioni avvenivano di solito alla sera. Ogni loculo era chiuso da una lastra di pietra o da una tegola, con il nome del defunto (titulus) e, talora, un elogio, un pensiero religioso, un simbolo (pesce, colomba, ancora, palma). Ma le numerosissime tombe anepigrafi testimoniano la cura con cui la comunità provvedeva ai poveri e quelle, pure assai frequenti, di bambini il rispetto per l’infanzia.

Nell’intonaco ai bordi dei tituli si inserivano, a scopo di riconoscimento, oggetti vari (monete, le citate ampolle vitree, lucerne, e altri oggetti oggi raccolti nei musei vaticani).

Nei primi secoli pare non vigesse altro pagamento se non il rimborso delle spese ai fossores, per il lavoro e il materiale. Soltanto dal sec. IV, invalso l’uso di farsi seppellire ad martyres (presso i martiri), questo privilegio cominciò a essere comperato a peso d’oro. Le catacombe potevano essere proprietà di ricche famiglie, che ne consentivano l’uso alla comunità, o di collegia funeraticia legalmente costituiti. Un’organizzazione dei servizi si trova già codificata all’inizio del sec. IlI, dal papa Callisto, che ne affidò la direzione a sette diaconi, da cui dipendevano le corporazioni dei fossores; una riorganizzazione si ebbe nel sec. IV con il papa Damaso.

Contemporaneamente si edificarono i cosiddetti martyria, che costituirono spesso il primo nucleo di successive grandi basiliche. La decorazione delle catacombe, con prevalenza della pittura sulla scultura mostra un’iconografia dapprima con figure e scene simboliche mutuate dagli stessi repertori pagani, poi sempre più volta all’illustrazione dei testi sacri.

Catacombe di Domitilla

Scavate tra i secc. II-IV, le catacombe si estendono intorno a Roma, con uno sviluppo di 100-150 km di gallerie, e un complesso da 500.000 a 750.000 tombe. Fra le principali vanno ricordate quelle di san Callisto e di san Sebastiano, sulla via Appia, che sono fra le più antiche; le catacombe di Domitilla, sulla via Ardeatina: sono le più vaste di Roma e prendono nome da Flavia Domitilla, nipote di Vespasiano e di Domiziano; infine quelle di santa Priscilla, sulla via Salaria, tra le più antiche e insigni: presero nome dalla madre del senatore Pudente, che nella sua casa al Viminale ospitò l’apostolo Pietro.

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Da “LA STORIA”, La Biblioteca di Repubblica.

Foto: Rete

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