OLIMPIA

Olimpia durante gli scavi del 1875

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L’espressione più caratteristica della religione greca arcaica è rappresentata da Olimpia. Associata a una messe di leggende, Olimpia era un boschetto, al cui interno sorgeva un santuario all’aria aperta L’antico santuario circondato da una dozzina di altari e anche più; questo santuario era anche il punto di raccolta di reliquie sacre e di un’ingente ricchezza fatta di offerte, ed era infine dotato di acqua in abbondanza e di una vasta estensione di terra pianeggiante che ben si adattava allo svolgimento di manifestazioni atletiche.

Il significato religioso dello sport

Lo sport nella religione greca aveva un po’ la stessa funzione della scultura, che non a caso spesso rappresenta atleti nudi: esso era infatti un’espressione di forza, di abilità e di qualità tipicamente animali, di cui gli dèi potevano ben dilettarsi, e il suo scopo principale, infatti, era quello di far provare loro piacere. Naturalmente si trattava di manifestazioni essenzialmente competitive che derivavano dalla società eroica nella quale erano sorte la natura della loro ricompensa: una fama universale e immortale. Pur in una forma più brutale, quella specie di polo in cui i cavalieri del nord dell’Afghanistan si contendono le spoglie di una capra riempita di pietre rappresenta uno sport caratterizzato da un’identica funzione sociale: chiunque vinca è famoso per la vita e raggiunge uno status eroico. In Omero, come pure nella successiva poesia pindarica (quantunque in una forma più sistematica e più didattica), la gloria si fonde spesso con l’educazione, la nascita e la fortuna di famiglia.

A Delfi, Creso re di Lidia offrì enormi vasi d’oro puro, ma Olimpia non era una meta di pellegrinaggio come Dodona o Delfi: il suo potere politico e religioso era scarso. Era semplicemente un punto d’incontro, così come, in virtù della loro posizione geografica, lo erano anche Nemea e l’Istmo, gli altri due centri atletici internazionali.

A Olimpia vi era un oracolo di Gea e, più tardi, di Zeus, che peraltro rimasero presto silenti. Il paesaggio di Olimpia non è tipicamente greco, ma ci risulta che per i gusti degli antichi Greci fosse il più bello del mondo. Il suo monumento centrale, il gigantesco e bizzarro tempio di Zeus, fu costruito solo nel sec. V: oggi è maestosamente adagiato a terra in attesa di restauro, ma le sue rovine sono più imponenti di quelle di tutti i templi rivali anche meglio conservati. La statua che Fidia eresse a Zeus era immensa, fatta in oro e avorio: gli scrittori antichi affermavano che essa contribuiva a facilitare la comprensione degli dèi da parte degli uomini.

OLIMPIA- Ricostruzione di Gartner

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Il sito di Olimpia

Olimpia è situata in una curva del fiume Alfeo, un grande corso d’acqua che discende dai monti dell’Arcadia. All’altezza di Olimpia questo grande torrente si immette in una fertile pianura costiera. Un tempo questo corso d’acqua doveva segnare la linea di demarcazione tra i pascoli superiori e quelli inferiori, nello stesso modo in cui esso divide Elea da Trifilia e l’antico regno di Nestore a Pilo. Quando sentiamo parlare per la prima volta di Olimpia, apprendiamo che essa era controllata dagli abitanti di Trifilia, probabilmente perché i pascoli di fianco all’Alfeo erano di loro proprietà. In inverno dalle rovine è possibile scorgere le nevi sui monti dell’Arcadia, e dalle montagne più vicine è possibile vedere il mare. Oggi, dal momento che le strade si addentrano sempre più a fondo nell’interno, Olimpia segna la fine della strada ferrata e l’inizio delle colline, e d’inverno il limite della coltivazione della frutta e dell’allevamento dell’agnello e l’inizio dell’allevamento del porco.

L’altare di Zeus fu costruito con le ceneri dei suoi antichi fuochi. Alla fine esso diventò un’imponente costruzione che sorgeva su una piattaforma sopraelevata, ma questa, non essendo fatta d’altro che di ceneri solidificate, fu letteralmente spazzata via nel medioevo dalle alluvioni dell’Alfeo. L’intero sito fu ricoperto da tre metri di fango, e dovette trascorrere molto tempo prima che fosse identificato. L’altare di Zeus non ci ha lasciato tracce evidenti: tutto ciò che siamo in grado di tentare di stabilire è dove fosse alloggiato. I monumenti di Olimpia non andarono soggetti a spostamenti come quelli di Delfi, quantunque molti siano stati riadattati e ricostruiti. Dev’essere stato ben difficile trovare nel sec. V una collocazione per il tempio di Zeus, dato che vicino a esso erano situati diversi monumenti più antichi. Questo tempio addirittura sembra che sia sorto sopra un altro preesistente, dal momento che nelle sue fondamenta sono stati ritrovati frammenti di un edificio ionico.

Tempio di Zeus

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Le inondazioni che si riversarono su Olimpia hanno lasciato I tesori d’arte sepolti frammenti di grandi tesori e di un certo numero di monumenti storici. La melma del fiume ha confuso le abitazioni ad abside dell’epoca oscura con le rovine micenee. Tra i resti di queste inondazioni sono gli splendidi bronzi arcaici, gli elmi dedicati da condottieri alla fine di celebri guerre e uno splendido vaso d’oro che ha la forma di una melagrana tagliata a metà, sottratto tra le due ultime guerre e ora conservato al museo di Boston. O ancora, le sculture dei frontoni del tempio di Zeus, le quali, in particolare, presentano qualche problema per gli storici dell’arte: ma, qualsiasi cosa se ne possa dire, rimane il fatto che sono belle e possenti. L’espressione di Apollo, per esempio, quantunque risulti un po’ esasperata da un errato trattamento del marmo, si staglia in tutta la sua potenza: non si tratta di una statua cultuale contrassegnata da un benevolo sorriso, ma del dio della mitologia. In diverse di queste statue possiamo intravedere gli inizi dell’arte della rappresentazione del volto umano e delle sue espressioni, e di quell’interessante naturalismo che così presto sarebbe degenerato. L’armonia che promana dalle membra di queste statue è a un tempo quella tipica della pietra e dei corpi, l’azione raffigurata esprime violenza, non diversamente da quella del fregio di Basse realizzato una generazione più tardi: guardando quest’ultimo, infatti, abbiamo la straordinaria sensazione di un balletto di pietre animato dal vento. Nonostante questo fregio sia stato scolpito non lontano da Olimpia, e precisamente in una località dei monti dell’Arcadia, e quantunque esso sia di poco posteriore alle sculture di Olimpia, la sua differenza dai modelli precedenti è notevole. La potenza e la forza dei marmi del tempio di Zeus infatti segnano la fine di un’epoca.

Zeus e Ganimede

I resti della statua di Zeus realizzata da Fidia

Ci restano ancora le rovine del laboratorio dove Fidia realizzò la I resti della statua di Zeus: l’edificio fu trasformato in una chiesa cristiana andata a sua volta in rovina. Tanto per cominciare lì sono stati ritrovati prima una coppa firmata dallo stesso Fidia, quindi gli stampi per i drappeggi della statua. Tra i reperti di piccole dimensioni riesumati a Olimpia più interessanti dal punto di vista estetico, abbiamo delle terrecotte colorate che provengono quasi tutte dai tesori deposti ai piedi del santuario alle falde di una collina che ha nome Cronos. I colori di queste terrecotte non sono vistosi: le più belle sono quelle in nero o color ocra che appartengono al laboratorio di Fidia. La sobrietà e semplicità dei loro motivi decorativi sono straordinarie. I colori della grande statua in terracotta che rappresenta Zeus con Ganimede in braccio stanno oggi cancellandosi in modo preoccupante: per nostra fortuna essa fu fotografata appena dopo la sua scoperta, quando i colori avevano ancora una notevole freschezza.

Ermes di Prassitele

L’Ermes di Prassitele

Ci sembra opportuno a questo punto spendere due parole sull’Ermes di Prassitele. Non vi è più alcun dubbio che questa celebre statua sia un falso realizzato in epoca romana. Ma coloro che scavarono in questo luogo sapevano che Pausania parlava di una statua di Ermes eseguita da Prassitele situata proprio lì, cosicché quando trovarono questa nel 1877 la loro eccitazione fu enorme. Si tratta di una copia bellissima e concepita in modo raffinatissimo, ma nonostante ciò resta sempre un falso. Per di più, è meglio servirci di vecchie fotografie dal momento che essa fu danneggiata in occasione del suo trasporto dal vecchio al nuovo museo. Le ragioni per cui questa statua non può essere un’opera di Prassitele si basano fondamentalmente su considerazioni relative alla tecnica della scultura. A Olimpia vi erano moltissime statue che celebravano vittorie, e in seguito anche avvenimenti politici. Inoltre, a Olimpia operava la maggior parte dei migliori artisti del periodo d’oro; eppure, di tutti questi capolavori non ci è rimasto nulla, eccetto qualche base di monumento con iscrizioni e un orecchio di un toro di bronzo. I quattro cavalli che oggi vediamo presso la cattedrale di S. Marco sono giunti a Venezia dopo il saccheggio di Bisanzio partendo da Delfi o da Olimpia, o forse da Corinto, o magari da Chio, sempre che siano greci. L’esame di queste rovine non ci permette sempre di formulare delle ipotesi brillanti e lo studio di queste vestigia del mondo antico, soprattutto quando sono avulse dal loro contesto naturale, delude lo storico.

Le testimonianze che ci dicono di più sui Greci del periodo arcaico sono spesso frammenti della loro letteratura scritta, le città in cui cominciavano a vivere, le loro leggi e istituzioni e la mappa sempre più grande delle loro attività. Delfi era nascosta tra le sue montagne, e Olimpia era una città sacra senza una popolazione che vi risiedeva in permanenza. E in effetti gli Elei non ebbero una città ancora per molto, e anche quando questa fu costruita per loro, essi erano riluttanti ad andare a viverci, preferendo invece una vita di vecchio tipo in campagna. Forse che questo è dovuto al fatto che nell’Elide l’acqua, con tutti i benefìci che ne derivano, era relativamente abbondante? Il tempio di Zeus rappresenta un monumento di transizione sociale: si trattò appunto del primo atto di autoaffermazione della democrazia degli Elei. E molto interessante è anche il fatto che questo tempio sia stato costruito a Olimpia e non in Elide.

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Fonte: “LA STORIA” 2 – La Biblioteca di Repubblica

Foto: Rete

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