L’etica sessuale degli antichi

Un eromenos col suo erastes nella Tomba del Tuffatore a Paestum, V sec a.C. (Particolare)

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Se gli antichi conoscessero i termini che usiamo quando parliamo della loro sessualità (ivi compresi, e direi in primo luogo, etero- e orno-), non capirebbero di cosa stiamo parlando. Per la semplice e definitiva ragione che allora non esistevano i concetti che queste parole oggi esprimono.

L’etica sessuale degli antichi era infatti radicalmente diversa dalla nostra, in primo luogo per il fondamentale motivo – e non è poco – che sia i greci sia i romani erano pagani, e che a introdurre i concetti e precetti sessuali che spesso noi moderni siamo erroneamente abituati a considerare universali fu il cristianesimo.

Per greci e romani la bipartizione fondamentale tra comportamenti sessuali non era tra etero- e omo-sessualità, ma piuttosto tra attività e passività. Per loro, la virilità significava e imponeva “attività”. Un uomo era tenuto a essere attivo in tutti i campi, dalla guerra, in cui doveva vincere, alla politica, in cui doveva imporre le proprie idee, all’amore, in cui doveva sottomettere non solo le donne ma anchealcuni uomini. Tutto ciò a una condizione: in Grecia, che il sottomesso (detto eromenos, “l’amato”) fosse un pais, vale a dire un ragazzo, destinato a diventare un uomo ma non ancora tale perché ancora debole, intellettualmente e sessualmente incerto, e quindi equiparato alle donne. Quando il pais diventava un uomo, cosa che avveniva al compimento dei diciotto anni, egli non poteva e non doveva più essere un “amato”. E dopo qualche anno, quando aveva raggiunto  la piena maturità, doveva diventare a sua volta un erastes (“amante”), vale a dire il partner attivo non solo di una donna (la moglie o le amanti che gli erano ampiamente consentite) ma anche _ non necessariamente, ma abitualmente – di un pais, che diventava così il suo “amato”.

Nulla di più falso, dunque, del mito una volta diffuso della libertà sessuale dei greci: la loro vita sessuale era regolata da norme diverse da quelle che regolano o dovrebbero regolare la nostra, ma precise e cogenti, la cui violazione era sanzionata sia giuridicamente sia socialmente.

Per quanto riguarda Roma, la regola subiva una variante: anche lì infatti un uomo poteva avere rapporti sessuali con altri uomini – beninteso, sempre nel ruolo attivo – ma (quantomeno teoricamente) non con i ragazzi romani, bensì con gli schiavi (giovani, ma spesso anche adulti). […]

Parlare di bisessualità dei greci e dei romani, dunque, è certamente possibile, ma con la consapevolezza che, riferita a loro, la parola indica il comportamento di chi nel corso della vita ha sì rapporti con persone di entrambi i sessi, ma solo secondo regole molto precise, sopra sommariamente indicate. Sempre che, naturalmente, la persona in questione fosse un uomo. Alle donne non era infatti consentito avere rapporti che con gli uomini, e secondo la legge solo con il marito. […]

“Contro natura”.

[…] I greci non solo ammettevano le unioni tra persone dello stesso sesso, ma a determinate condizioni le valutavano culturalmente in modo positivo. Più specificamente, ammettevano e valutavano positivamente le relazioni tra un adulto e un pais di cui abbiamo parlato, alle quali attribuivano un’importante funzione sociale e politica. Dall’asimmetria anagrafica tra i due amanti discendeva infatti una differenza di esperienza che consentiva all’adulto di assumere un ruolo formativo nei confronti del ragazzo, nel momento in cui questi, da cittadino in potenza, si apprestava a diventare un cittadino effettivo, capace di esercitare i suoi diritti civili e politici. L’amante, insomma, contribuiva alla paideia, vale a dire alla formazione etica e civile di un nuovo membro della polis.

Alla luce di tutto questo appare subito evidente che l’espressione “contro natura” (para physin), presente nelle fonti che discutono di etica sessuale, non stava a indicare l’omosessualità, come pure ripetono coloro che, per sostenere che questa sia tale, vogliono nobilitare la loro tesi attribuendola ai greci. Essi sostengono infatti che la condanna dell’omosessualità in sé, in quanto contro natura, si troverebbe in un passo delle Leggi dove Piatone contrapporrebbe i rapporti tra un uomo e una donna, definiti kata physin (secondo natura), a quelli tra due donne o due uomini, definiti para physin (contro natura) (Leges, 636 c). Ma l’attenta lettura del brano rivela che per Piatone queste espressioni, in quel contesto, avevano un significato ben diverso da quello che viene oggi loro attribuito. Quel che Piatone dice, infatti, è che quando un uomo si unisce a una donna per procreare, il piacere che ne deriva è “secondo natura”. Il che significa, ovviamente, che per lui non tutti i rapporti eterosessuali erano tali, ma solo quelli finalizzati alla procreazione. “Contro natura”, di conseguenza, erano i rapporti (anche eterosessuali) che non avevano quell’obiettivo.

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Da “SECONDO NATURA”, di Eva Cantarella – Feltrinelli

Foto: Rete

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