L’ingegnoso metodo dei Babilonesi di costruire battelli fluviali

La còffa, dall’arabo quffa «cesta», che è dal gr. κόϕινος. Nome delle caratteristiche imbarcazioni di vimini derivate dagli antichi Assiro-Babilonesi. Erodoto ne descrive una simile

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Dalle “Storie” di Erodoto riportiamo questa descrizione delle imbarcazioni fluviali dei Babilonesi, che dimostra con quanta ingegnosità quegli antichi «barbari» avessero saputo risolvere un complesso problema di trasporto di merci, grazie all’adozione di battelli smontabili. La tecnica usata è semplice, efficace, sommamente economica, perché il consumo è minimo e nulla va perduto: un metodo di trasporto — saremmo tentati di aggiungere – che non inquina le acque e non viola in alcun modo l’ambiente naturale.

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Ma la più grande di tutte le meraviglie che esistono colà, a mio parere, dopo la città (di Babilonia) in se stessa, è quella che mi accingo a narrare.

Le loro imbarcazioni, con le quali seguendo il corso del fiume (Eufrate) arrivano a Babilonia, sono di forma rotonda e tutte di pelle.

Infatti, quando in Armenia, che è sopra l’Assiria, con delle tavole di salice ne hanno costruito lo scafo, vi stendono sopra una coperta di pelli all’esterno, come si fa con i pavimenti, senza segnare la poppa con un allargamento, o la prora con un restringimento; ma, facendolo rotondo come uno scudo, lo colmano tutto di paglia e lo lasciano andare secondo la corrente, dopo averlo riempito di mercanzie.

Per lo più trasportano così recipienti di vino di Fenicia. Il battello è governato, per mezzo di due pali, da due uomini che stanno ritti in piedi: quando uno tira a sé il palo, l’altro lo spinge in fuori.

Se ne costruiscono di veramente grandi e anche di minore portata: i più robusti reggono un carico anche di 5000 talenti (1).

In ciascun battello si imbarca un asino vivo, in quelli più grandi un numero maggiore. Quando, dunque, seguendo la corrente, siano giunti a Babilonia e abbiano venduto la loro mercanzia, vendono all’asta le fiancate e tutta la paglia, ma le pelli le caricano in groppa agli asini e se ne tornano in Armenia.

Infatti non potrebbero essi, in alcun modo, risalire il fiume, data la rapidità della corrente; ed è per questo, anche, che essi fanno le imbarcazioni non di legno, ma di pelle.

Quando poi, spingendosi innanzi gli asini siano ritornati in Armenia, con lo stesso modo si procurano altri battelli.

(da Erodoto, Le storie, trad. L. Annibaletto, Milano, Mondadori, 1956)

 

NOTE

1. Ipotizzando che il talento (che variava di valore secondo i paesi) equivalesse per Erodoto a circa 26 kg, com’è molto probabile, le navi dei Babilonesi avrebbero potuto trasportare fino a 130 tonnellate di merce e avrebbero dovuto quindi avere un diametro non inferiore ai 9 metri (nel caso limite che avessero la forma di una semisfera perfetta).

Tali dimensioni avrebbero comportato una struttura di sostegno delle pelli assai robusta: troppo laboriosa da. costruire perché convenisse demolirla al termine di ogni viaggio. In conclusione: è probabile che sulla capacità di queste navi Erodoto esageri alquanto.

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Da LE CIVILTA’ SEPOLTE”, di A. Camera e R. Fabietti  –

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