Basta con la retorica del borgo: sono paesi

Orsomarso

 

 

Basta con la retorica del borgo. Piccolo è bello – si dice – ma piccolo è soprattutto fatica, resistenza e talvolta perfino rassegnazione. In tanti adesso sembrano innamorati dei piccoli borghi, visti come luoghi più sani al cospetto della pandemia, presi di mira dai vacanzieri del fine settimana, osannati da influencer e archistar.

Elogiati da tutti e discriminati dalla politica, che continua a ridurre i servizi e a produrre norme valide indistintamente per Milano e Colletorto (Cb), per Roma e Montieri (Gr). In una realtà fortemente differenziata come quella italiana, non c’è peggior cosa che trattare tutti allo stesso modo. La distanza e la bassa densità demografica non possono essere motivi di discriminazione, che diventa poi disuguaglianza sociale. Le zone interne sono ricche di risorse di cui le aree centrali non dispongono, e sono piene di paesi.

Io al termine ‘borgo’ preferisco sempre quello di ‘paese’. È la rete dei paesi a definire l’identità delle regioni italiane, la pluralità del paesaggio: paesi fitti o radi, assolati o grigi, svettanti sulla cima dei colli o aggrappati alle pendici. Anche nel linguaggio comune, dal Nord al Sud, quando si vuole indicare il luogo dove si nasce, dove si torna o dove si resta, si dice “paese”, non “borgo”: vado in paese, torno al paese, ecc.

Il borgo riguarda soprattutto la dimensione urbanistica, definisce più il contenitore che il contenuto, mentre il termine ‘paese’ rimanda alla comunità, all’insieme di relazioni e funzioni che includono le persone, le loro attività, i loro sentimenti di appartenenza e di vicinato. La vicinanza è un valore essenziale, base della coesione sociale, spazio di gestione dei conflitti, riconoscimento comune e reciproco che influenza la sfera della dignità e della responsabilità. Nel paese i comportamenti individuali diventano così pratica collettiva, l’iniziativa privata si incastra sempre con la dimensione comunitaria.

In qualche caso la vicinanza assume anche un ruolo istituzionale, configurandosi come la società di paese: a Buggiano (Pt), ad esempio, fin dal medioevo il Comune era formato da “quattro vicinanze insieme confederate” e i paesi erano la base della rappresentanza politica. Ogni vicinanza era un paese e viceversa. Il paese è un tutto nel tutto, mentre il borgo è solo una parte, una visione parziale e riduttiva della comunità. Anche storicamente, il borgo indicava soltanto una parte del villaggio fortificato, oppure un aggregato di case sviluppatosi nel suburbio, cioè subito fuori delle antiche mura.

Rimettere al centro i paesi, rifuggendo la retorica del piccoloborghismo, sarebbe un bel programma per il futuro. Oltre il modello del borgo turistico-consumistico, è necessario sperimentare un nuovo modo di vivere, di produrre e di consumare. C’è già, nelle pratiche nascoste dell’Italia rurale, e anche in Toscana, un pur timido fenomeno di ritorno rappresentato da alcune esperienze di rinascita territoriale e da una serie di casi di agricoltori, allevatori, smart workers, enogastronomi… che spontaneamente hanno preso la strada dell’interno, della campagna e dei paesi.

La tendenza al ritorno deriva anche dalla crisi del modello urbano. Ma lo spopolamento e i problemi delle aree rurali non possono essere risolti applicandovi lo stesso modello che le ha marginalizzate. E neppure dal solo turismo. Occorre ridare valore all’agricoltura, all’allevamento e all’artigianato con filiere corte, gestione collettiva dei beni comuni, microimprese cooperative, solidarietà al posto della competizione, in un quadro di politiche differenziate, a partire dalla fiscalità e dai servizi: scuola, sanità e trasporti in primis.

È la via per sfuggire ai rischi della colonizzazione culturale, dello snaturamento e dello spaesamento. Il paese è comunità, non è solo un borgo, né un buen retiro; è luogo di attività e di incontro, spazio di vita.

ROSSANO PAZZAGLI

Fonte: https://www.ilfattoquotidiano.it/2021/09/18/non-chiamateli-borghi-sono-paesi-e-la-via-giusta-per-salvarli-e-solo-una/6324889/

 

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