L’Anfiteatro Flavio (la denominazione originaria del Colosseo) esprime con chiarezza le concezioni architettoniche e costruttive romane della prima Età imperiale, basate rispettivamente sulla linea curva e avvolgente offerta dalla pianta ellittica e sulla complessità elei sistemi costruttivi. ‘Nell‘Anfiteatro archi e volte sono concatenati tra loro in un serrato rapporto strutturale.
Ben presto l’edificio divenne simbolo della città imperiale, espressione di un’ideologia in cui la volontà celebrativa giunge a definire modelli per lo svago del popolo.
Una facciata articolata
II Colosseo è caratterizzato all’esterno da tre ordini di arcate, in origine 80 per piano ed ornate di statue, sormontate da un quarto piano in muratura continua con finestre, l’attico. Questo era scandito da lesene ed era coronato da una trabeazione. Tra le finestre erano probabilmente apposti degli scudi bronzei.
L’utilizzo contemporaneo degli ordini architettonici, tuscanico (simile a quello dorico, ma con fusto liscio e poste su un basamento) al piano terreno, ionico al primo piano e corinzio al secondo, offre una sintesi degli stili ellenici definendo un sistema canonico.
Tale organizzazione formale valse all’edificio il valore di modello in Età rinascimentale: di fatto esso fu ampiamente studiato in tutte le sue parti, tanto che ci rimangono anche disegni delle decorazioni a stucco delle volte degli archi, oggi scomparse.
Sotto il profilo formale e costruttivo, tuttavia, il Colosseo appartiene ad una tradizione ormai consolidata a Roma. L’uso di ordini classici applicati al travertino era già stato sperimentato nel repubblicano palazzo del Tabularium, nella Basilica Giulia e nel Teatro di Marcello, dove era stata realizzata l’analoga sovrapposizione di ordini.
L’edificio rappresenta dunque, più che un innovativo formulario di soluzioni, un punto di arrivo, seguito soltanto dallo Stadio di Domiziano, che nella trasformazione della città ha dato forma all’attuale Piazza Navona.
La storia del monumento
L’Anfiteatro Flavio fu il primo e il più grande edificio stabile costruito a Roma per ospitare giochi e lotte tra gladiatori.
I lavori furono iniziati nel 70 d.C. da Vespasiano, che intendeva restituire alla città una parte del territorio che Nerone le aveva sottratto per realizzare, sfruttando un incavo naturale, un lago annesso al giardino della monumentale Domus Aurea, la sua villa privata.
II capostipite dei Flavi intendeva in questo modo sottolineare la cesura con il passato.
All’atto dell’inaugurazione, promossa da Tito nel 79 d.C., vi furono allestiti spettacoli per 100 giorni.
L’edificio fu poi portato a termine da Domiziano.
Il termine Colosseo, che risale all’Alto medioevo, fu attribuito all’anfiteatro per la vicinanza di un’enorme statua voluta da Nerone, alta ben 36 metri. Ospitò spettacoli gladiatori fino al regno di Teodorico (493-526) e nel Medioevo fu trasformato in castello.
L’organizzazione interna
L’edificio ha forma ellittica, misurava 188×156 metri ed era alto quasi 50. La càvea poteva ospitare fino a 50.000 spettatori. Alle estremità degli assi si aprivano i due ingressi monumentali.
Sotto la pavimentazione, realizzata in legno, si snodavano corridoi e numerosi vani dove trovavano posto i macchinari, le fiere, gli ambienti per i gladiatori.
L’arena interna, anch’essa ellittica, misura 86×54 metri; un alto podio ornato da marmi la separava dalla cavea. Lungo l’asse minore si fronteggiavano i palchi riservati all’imperatore ed agli alti dignitari, mentre nel perimetro dell’arena interna una balaustra in bronzo indicava i posti per gli spettatori più autorevoli.
I livelli inferiore e mediano della cavea erano in marmo ed erano suddivisi in settori orizzontali, detti gradus, a loro volta ulteriormente suddivisi da scalette in settori circolari, detti cunei. I posti erano tutti numerati, con indicazione di gradus, cuneus e seggio.
I materiali e i caratteri tecnici dell’edificio
La struttura portante dell’Anfiteatro Flavio è costituita da travertino in blocchi squadrati, utilizzato anche in lastre come rivestimento, da tufo per gli ambienti interni e da laterizio.
Le volte e gli estremi superiori dei muri interni furono realizzati in calcestruzzo: ciò consentiva anche di ridurre la spinta dell’ordine superiore di gradinate contro l’attico, in quanto questo era privo di contrafforti.
All’interno ben cinque corridoi radiali, coperti da volte a botte, sono sostenuti da un complesso sistema di pilastri in travertino.
Ben studiate e costruite con perizia sono le fondazioni, come attesta l’assenza di cedimenti.
La scelta di una struttura portante in pilastri di travertino consentì la chiusura successiva dei muri di tamponamento, proprio come si fa oggi con le costruzioni in cemento armato. Tale tecnica, per quanto tradizionale, accelerò notevolmente i tempi di costruzione, al punto che il Colosseo potè essere inaugurato dopo soli dieci anni dall’inizio dei lavori, quando non erano ancora finite le strutture del piano superiore. Per la pianificazione del cantiere furono individuati quattro settori, entro i quali vennero impiegate squadre di lavoratori autonomi che operarono secondo un programma predisposto in tutte le sue fasi.
Anche sotto il profilo statico-costruttivo, tuttavia, vennero utilizzati principi tradizionali basati sul prevalente impiego della pietra e sulla scarsa presenza di calcestruzzo.
Le soluzioni formali
Le semicolonne ornamentali si alternano alle arcate creando un ritmo serrato e soprattutto un vario e modulato senso di chiaroscuro, grazie alla curvatura sempre variata della superficie che segue l’andamento ellittico.
La distribuzione dei percorsi, l’organizzazione dei depositi, la razionalità degli ambienti per le attrezzature fanno pensare ad una macchina ‘funzionale’ e, sempre e comunque, rappresentativa.
Il Colosseo svolge una precisa funzione monumentale su scala urbana, attestata dalla sua posizione in asse con il foro e eli sfondo scenografico per questo. Grazie alla sua forma ellittica non appare però un semplice piano di fondo, ma rimanda allo spazio intorno, alla città e ai colli.

Da “STORIA DELL’ARTE” 1, di G. Dorfles, M. Ragazzi, C. Maggioni, M.G. Recanati – Atlas
Foto: RETE