La prostituzione nel Medioevo

La storia della prostituzione non ha finora attirato molto l’attenzione dei medievisti. Gli studi a nostra disposizione sono di vecchia data e di ambito locale, e i loro autori — medici o giuristi che si dilettavano di storia — privilegiavano l’aneddoto. La maggior parte delle loro opere quindi sono dei curiosa della letteratura erudita. In tempi più recenti, gli storici non hanno certo ignorato il fenomeno della prostituzione, ma spesso il quadro che ne hanno dato è legato ad una concezione storiografica e ad una corrente di pensiero che attribuiscono l’entità dei fatti osservati alle calamità del basso Medioevo e alla corruzione dei costumi: li induceva a pensare così la possibilità di collegare puttana e soldato, fornicazione ed azione turpe, prostibulum e corte dei miracoli.

Cercar di comprendere l’ampiezza e il significato sociale della prostituzione significa tuttavia definirla in rapporto alle strutture demografiche e matrimoniali, alla norma e alla devianza sessuale, ai valori culturali e alla mentalità collettiva dei gruppi sociali che la tollerano o la reprimono. Obiettivo ambizioso, ma che solo permette di esplorare la vasta zona oscura che divide i due livelli fino a questo momento privilegiati dagli storici della sessualità: quello delle ideologie e della morale e quello dei comportamenti demografici. […]

Città e campagna

Guardiamoci dal fare delle città il solo luogo favorevole allo sviluppo degli amori venali: anche la documentazione urbana ci fa apparire talvolta alcune fuggevoli allusioni ad una fiorente prostituzione rurale. Anche al di fuori del grande dilagare della povertà che moltiplicava su tutte le strade il numero delle donne in vendita, ragazze vagabonde — con o senza i loro ruffiani — andavano di villaggio in villaggio, accrescendo qua e là il piccolo gruppo delle « ragazze di tutti ». Esse regolavano il loro itinerario sul calendario delle fiere e dei mercati, dei pellegrinaggi e dei grandi lavori agricoli. Nelle granges isolate, i braccianti e gli uomini di fatica che conducevano vita in comune, mantenevano, talvolta, per alcuni giorni o settimane, una prostituta della quale condividevano i favori. I mercanti tedeschi che si recavano in carovana alle fiere di Lione, non agivano diversamente, e sul fiume gli equipaggi di battellieri che intraprendevano un viaggio di parecchie settimane assoldavano donne sul greto e se la spassavano con loro durante le soste.

In ogni caso, era in ambiente urbano che la prostituzione si diffondeva maggiormente, si rivestiva di forme complesse e si istituzionalizzava. Nella maggior parte delle città del Sud-Est [della Francia] esisteva un prostibulum publicum, costruito, mantenuto e retto dalle autorità pubbliche, principesche o municipali.[…]

[Queste città] possedevano la loro maison lupanarde, il loro bon hostel, la loro bonne carrière, il loro Chàteau-Gaillard che ancora si chiamava maison de la ville, maison commune, maison des fillettes, e che il linguaggio popolare definiva piuttosto bordello. […]

Il prostibulum, che il più delle volte era stato costruito a spese della collettività — impiegando cioè il denaro pubblico — era dato in affitto ad una «abbesse»(1) o ad un tenutario, i quali in teoria avevano il monopolio della professione. Essi avevano il compito di reclutare le ragazze — accettate o no da un ufficiale giudiziario —, di far loro rispettare determinate regole, talvolta di mantenerle e, in ogni caso, di far regnare l’ordine nella piccola comunità femminile. In caso di necessità, morte o partenza della « abbesse» nel periodo di affitto, le autorità non esitavano a dirigere loro stesse la « casa ».

L’organizzazione materiale variava a seconda dell’importanza della città. A Tarascona, il Chàteau-Gaillard era una costruzione modesta comprendente cortile, giardino, due uscite, una cucina, una sala e quattro camere. Ma Digione possedeva — almeno dopo gli ampliamenti del 1447 — un edificio imponente, che constava di tre blocchi di costruzioni, comunicanti con gallerie interne, che racchiudevano un giardino. La maison des fillettes comprendeva qui l’abitazione del custode, una vasta sala comune e venti camere di notevoli dimensioni, tutte dotate di caminetti in pietra. A Lione, Beaucaire, Arles od Grange, si trattava di un rione a sé che, ad Avignone, raggruppava parecchie strade intorno ad una piccola piazza alberata su cui si affacciavano le camere.

Generalmente, il bordello non era una vera e propria « casa chiusa » dove si tenevano rinchiuse delle ragazze « clostrières». Alle prostitute pubbliche che abitavano nelle vie «malfamate » o all’interno della città, era concesso adescare in pieno giorno i loro clienti nelle taverne e in altri luoghi pubblici, ma dovevano condurli nella « casa chiusa », dove si faceva baldoria prima di entrare nelle camere. La cucina poi era per il tenutario quasi altrettanto redditizia del letto.

Ma in ogni grande città esistevano, oltre al bordello pubblico, numerose case di tolleranza, le « étuves »; infatti, dovunque se ne possa scoprire il funzionamento si riscontra che i bagni pubblici erano postriboli o servivano contemporaneamente a due fini: uno onesto e l’altro disonesto. E tutto ciò malgrado le innumerevoli norme che proibivano di ricevere in tale luogo le prostitute o specificavano i giorni e le ore riservati vuoi agli uomini vuoi alle donne. Tutti i bagni erano abbondantemente forniti di giovani cameriere e, se nella maggior parte erano attrezzati con caldaie e vasche, numerose in essi erano le camere ed abbondanti le forniture da letto. [,,,]

Chi erano i proprietari?

Molto spesso autorità o personaggi molto in vista, che ben conoscevano le attività dei loro affittuari tenutari di « étuves »: i Villeneuve oppure i Baronnat a Lione, i Faletans, il vescovo di Langres, l’abate di St-Etienne a Bigione, i Buzzaffi ad Avignone, non hanno mai esitato a riscuotere i ricchi proventi assicurati a tali case da una clientela abbondante e varia. I bagni, ripetiamolo, sono i centri di una prostituzione notoria e permanente, ma sono anche case di appuntamento, e centri di ruffianeria.

A Lione, verso il 1470-1480, l’espressione « aller s’estuver » (letteralmente: « andare ai bagni ») aveva, nella lingua corrente, un significato particolare e noto a tutti. Queste «étuves» non devono nascondere l’esistenza di un terzo livello della prostituzione, questa volta, artigianale. Era costituito da piccoli « bordelages » privati, gestiti da tenutarie che, nelle loro abitazioni, disponevano di due o tre ragazze, cameriere o donne fatte venire per l’occasione. Le tenutarie accoglievano gli eventuali clienti in casa propria, fungevano da mezzane o talvolta utilizzavano i servizi di ragazze cosiddette « leggere » le quali — quarto ed ultimo dell’organizzazione della prostituzione — lavoravano in proprio, andavano da una sede all’altra; talvolta erano concubine di un uomo solo, talaltra erano comuni a molti; adescavano i clienti nelle taverne o nei mercati a condizione tuttavia di potersi avvalere di protezioni efficaci, ufficiali o private, perché l’attività era pericolosa e si scontrava con una notevole concorrenza. Infine, periodicamente, in occasione delle feste, dei grandi lavori e delle fiere, ragazze forestiere andavano ad ingrossare i ranghi locali della prostituzione e approfittavano dell’affluenza passeggera di manovali, carradori e mercanti.

Il vocabolario differenzia chiaramente — e questa è una prova della loro persistenza — questi diversi gradi del commercio amoroso: tutti gli statuti, le grida pubbliche, le procedure giudiziarie distinguono le ragazze del prostibulum da quelle che esercitavano la loro attività nelle « étuves » o nelle camere private. Alle ragazze notoriamente « comuni » si contrapponevano quelle che lo erano « in segreto », si distinguevano le meretrici di strada da quelle che esercitavano la loro attività in un postribolo, e da quante lo facevano di nascosto, dalle ragazze di facili costumi o vagabonde.

Le autorità

Le autorità si sforzavano di far osservare determinate norme igieniche (in periodi di pestilenze il prostibulum e le « étuves » venivano chiusi analogamente a come si proibivano i raduni commerciali o i balli collettivi), religiose (allo scopo di rispettare i divieti, limitati peraltro alla Settimana Santa e al Natale), morali (perché spettacoli scandalosi non si svolgessero nei dintorni delle chiese o nelle strade patrizie), relative al vestiario (perché si potessero distinguere le donne di rango dalle altre e perché l’abbigliamento troppo ricco di queste ultime non portasse alla perdizione fanciulle povere e caste), infine fiscali (affinchè l’attività privata non rovinasse il monopolio urbano).

Ma gli sforzi delle autorità erano deboli. Accadeva eccezionalmente che la costruzione di un prostibulum publicum rispondesse — come accadde a Bourg-en-Bresse nel 1439 — alla preoccupazione di moralizzare la vita urbana. Lì si voleva porre fine agli atti riprovevoli che ogni giorno si verificavano sulla piazza del mercato. Più spesso, i consigli comunali decidevano di dare carattere di ufficialità alla prostituzione — per l’utilità comune — o nell’«interesse della cosa pubblica». Anche dopo la costruzione della « casa » gli scabini e i notabili non riuscirono mai a contenere la fornicazione nel ghetto municipale o a far rispettare dei divieti che tuttavia venivano ripetuti. Fino all’inizio de! secolo XVI i tentativi di repressione furono rari, effimeri e inefficaci. Prostitute pubbliche e ragazze che esercitavano di nascosto erano dunque infiltrate dappertutto, e trovavano posto tanto nei quartieri ricchi, quanto nei sobborghi.

  1. Le Roy Ladurie ha ricordato, citando lo studente di Basilea F. Platter, il proverbio che circolava nel « Comptat » e in Provenza: « non si può attraversare il ponte di Avignone senza incontrare due monaci, due asini e due puttane». Pure, verso il 1550 Avignone non era altro che il luogo in cui si conservava una situazione comune a tutte le città del Sud-Est cinquanta o cent’anni prima. Una grida pubblica del tribunale di Lione rivela che non si potevano più riconoscere le ragazze « comuni » dalle donne di rango e periodicamente le prostitute municipali a Tarascona o a Digione si lamentavano di una concorrenza troppo forte, e reclamavano misure contro la « corruzione».

Si tratta forse di esagerazione? Di fatti avvertiti come scandalosi e dunque volutamente esagerati? Osserviamo allora che città piccolissime, come Viviers, Pernes o Bedarrides avevano il loro prostibulum publicum; che a Tarascona, verso il 1435 esistevano una decina di meretrici pubbliche (per 500-600 famiglie); esse erano almeno fra le 70 e le 80 a Lione prima del 1480, e molto di più di 100 a Digione (che contava meno di 10.000 abitanti). E si tratta soltanto delle meretrici pubbliche, poiché la prostituzione segreta od occasionale sfugge ad ogni possibilità di valutazione. Dovunque si intuiscono tassi di prostituzione pubblica che sono pari o superiori a quelli di un’epoca in cui era stata regolamentata, tra la fine del secolo XIX e l’inizio del secolo XX.

Si tratta di una realtà legata ai porti, ai crocevia stradali, alle capitali del commercio, della Chiesa, della giustizia? In tal caso la prostituzione sarebbe se non esterna, almeno ai margini della comunità urbana, un commercio tra gli altri, destinato soprattutto agli stranieri. O invece essa era generata dalla collettività per le sue proprie necessità? Sarebbe vano rispondere senza analizzare prima il comportamento sessuale dei cittadini.

JACQUES ROSSIAUD

 

Da “La prostituzione nel Medioevo”, di J. Rossiaud – Laterza

Foto: Rete

 

NOTE

1 _ È noto che il termine « abbesse » (badessa) si trova già usato in questo significato in G. di Malmesbury (Gesta regum anglorum, PL coli. 1384-1385) a proposito del lupanare fondato da G. di Poitiers. Il paragone era naturalmente destinato ad avere gran successo. Osserviamo che il titolo di abbesse era in uso soprattutto nelle regioni in cui la confraternita dei giovani era chiamata « abbaye ». La abbesse era o una ragazza comune o una prostituta, che poteva anche essere sposata. Alla fine del secolo XV o all’inizio del XVI, alle abbesses spesso subentrano dei tenutari. Dei funzionari di giustizia (un luogotenente del vicario ad Arles, Tarascona, un castellano a Beaucaire, un prevosto a Digione, un « re dei ribaldi » a Lione) accettano o rifiutano le ragazze. L’abbesse, che è anche un agente informatore delle autorità, deve far rispettare le regole del « mestiere » alle ragazze […] deve badare a che il lupanare non diventi una casa di giochi dove si bestemmia, non deve ospitare i clienti per più di una notte, affinchè il bordello non divenga un covo di malviventi. A Tarascona, nel maggio 1467, dopo la morte della abbesse due sindaci si incaricano della gestione della « casa » (A. M. Tarascon, BB 9, f. 276), in attesa di trovare una sostituta. A Digione, in circostanze analoghe (A. M. Dijon, K 84, 1517) due scabini ricevono il «giuramento delle ragazze »

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