Mitra nell’impero romano

Mitreo Barberini – RM

Nei secoli a cavallo della nascita di Cristo, quando la repubblica romana cominciava a cambiare fisionomia per assumere quella di un impero cosmopolita, a Roma e nel resto d’Italia si diffusero vari culti provenienti dalle regioni orientali. Nuove divinità come Cibele, Serapide e Iside furono assimilate nelle pratiche religiose romane. Nessuna di queste, tuttavia, assunse il rilievo rivestito da Mitra tra il I e il III secolo d.C.: i santuari a lui dedicati arrivarono a essere oltre cento nella sola capitale, con circa 1.200 fedeli a Ostia, una città che nei primi secoli dopo Cristo contava circa 50mila abitanti.

In un momento di crisi economica e sociale, in cui l’ordinamento politico-amministrativo romano non offriva più dei ruoli e degli obiettivi in cui i cittadini potessero identificarsi, questi si rivolsero alle religioni che offrivano loro la prospettiva di una salvezza ultraterrena. Mitra, dio persiano della luce, era ritratto nell’iconografia tradizionale nell’atto di sgozzare il toro per liberarlo dal male, offrendo così l’immortalità ai suoi fedeli alla fine del mondo.

Tale visione bellica della cosmologia e il settarismo del culto furono gli elementi che determinarono il favore con cui fu recepito dalle legioni romane di stazione in Oriente. Il mitraismo, infatti, si radicò soprattutto nei luoghi caratterizzati da una forte presenza militare: oltre a Roma e Ostia, in Germania e lungo il Danubio, ma anche in Bretagna, in Gallia, in Hispania, in Africa. Della sua dottrina sono pervenute perlopiù tracce visive, a testimonianza del fatto che questa fosse una teologia insegnata attraverso le immagini e dunque accessibile ai credenti di ogni ceto sociale. Per questo, il culto fu utilizzato come strumento di coesione interna: Diocleziano nel 307 offrì un omaggio a Mitra, riconoscendolo quale protettore dell’impero.

Nonostante tale favore, la religione di Mitra non entrò mai a far parte dei culti pubblici, perché, pur non essendo clandestina, fu da sempre praticata da piccole comunità di iniziati, che si riunivano nei mitrei.

Mitreo Marino – RM

I mitrei

Il santuario mitraico seguiva uno schema simile in tutte le parti dell’impero: una sorta di grotta composta da una volta e da un’unica navata, lungo la quale erano allineate due panche sulle quali i fedeli consumavano il loro banchetto in onore del dio. Il soffitto era di solito coperto dalla rappresentazione pittorica di un cielo stellato, e in corrispondenza del termine della navata troneggiava la scena cardine della teologia mitraica: la tauroctonia. Mitra è raffigurato mentre sgozza un toro, il cui sangue feconda la terra, donandole la vita. La fertilità è simboleggiata dalle spighe di grano raffigurate sulla scena. Assieme al dio e all’animale morente, vi sono il serpente e lo scorpione che tentano di impedire al sangue di scorrere e rendere fertile il suolo, il cane che trae forza dal sacrificio, e infine il corvo, messaggero divino che stabilisce il contatto tra Mitra e il sole, con cui nella cultura ufficiale il dio persiano fu spesso assimilato.

L’assimilazione della religiosità persiana è visibile anche nell’architettura: i mitrei ostiensi di Felicissimus e quello delle Sette porte, edificati tra il II e il III secolo d.C., per esempio, seguono il modello del triclinium, la sala delle case romane dove gli invitati pranzavano su speciali letti addossati alle pareti. Lo stesso facevano i fedeli durante i rituali in onore del dio: consumavano acqua o vino e la carne di un animale ucciso in sostituzione del toro.

Mitreo Santa Prisca – RM

Il settarismo e la fine del culto

Tale somiglianza con l’eucarestia cristiana (il banchetto rituale) ha indotto erroneamente a evocare parentele e filiazioni tra le due religioni. Ciò che però le distingue dipende dal carattere del messaggio divino: universale per i cristiani, fortemente settario per i credenti nel dio persiano. Per accedere ai culti mitraici, definiti appunto “misterici”, era necessario sottoporsi a delle prove iniziatiche. Una volta superate, si entrava in una struttura fortemente gerarchica, divisa in sette ordini e dalla quale le donne erano escluse.

 

Il numero sette, legato a credenze astrologiche, è ricorrente nella versione romana della religione mitraica: nel mitreo delle Sette porte, come in molti altri trovati a Roma, vi sono sette gradini che simboleggiano i livelli iniziatici. Si trattava insomma di una religione per soli uomini, che consisteva in prove dure e in un’etica molto rigida. Non stupisce, dunque, il favore di cui godette negli ambienti militari. La sua struttura iniziatica, inoltre, favorì a tal punto il legame tra i membri che la studiosa Jacqueline Champeaux si è spinta a definirla una sorta di «massoneria dell’antichità».

Tale esclusività, tuttavia, rappresentava una debolezza, che portò il culto a non resistere alla diffusione del cristianesimo tra le masse popolari. Dal V secolo non ci sono più testimonianze del mitraismo, anche se possiamo trovare mitrei al di sotto di alcune chiese romane (come per esempio quella di Santa Prisca dell’Aventino). A conferma della sua importanza nell’antichità, i cristiani decisero di cancellarne la memoria, costruendovi sopra i propri edifici sacri.

Mitreo Circo Massimo – RM

Tra le vie di Ostia antica e nei musei della capitale è ancora visibile quel grande patrimonio mitraico che contribuì alla ricchezza religiosa dell’impero romano, e che, come mostra la recente scoperta, è ancora in buona parte da portare alla luce.

Claudia Borgese

FONTE: https://www.storicang.it/a/il-culto-di-mitra-nellimpero-romano_15470

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