L’organizzazione territoriale del paese meridionale si presenta segnata profondamente dall’ideologia della morte, che ne scandisce strutture e modalità e orienta significati fino a configurare una simbolica città sepolta, polo dialettico della città dei viventi.
L’incidenza dei morti sull’organizzazione dello spazio rinvia a due ordini di rapporti, vivi-morti e morti-vivi, che si caricano di valenze diverse, anche se complementari, a seconda che la titolarità delle azioni venga attribuita in prima istanza alla figura del vivente o a quella del defunto.
Il rapporto vivi-morti, nell’orizzonte folklorico, non è di due mondi contrapposti, ma si pone come un continuum, come tensione metafisica, che conferisce allusività e ulteriorità al tempo storico e consistenza a quello metastorico. Il paese è anche lo spazio dell’incontro vivi-morti, che si dispone lungo traiettorie spaziali diversificate e convergenti.
Da un lato, a iniziativa dei vivi:
1 luoghi dei morti, provvisori o definitivi, che fondano dialetticamente e riconfermano il paese come organizzazione della vita (case, chiese, cimiteri, spazi tutti che, pur con funzioni e valenze differenziate, sono collegati nell’itinerario funerario);
2 istituzioni architettoniche che presentificano paradigmi di morte e quindi modellano comportamenti collettivi e individuali, delineando traiettorie spaziali (chiese, viae crucis, calvari e altre tombe simboliche);
3 istituzioni culturali, che presentificano paradigmi di morte e segnano lo spazio comunitario con intenti catartici e protettivi (funerali simbolici);
dall’altro, a iniziativa dei morti:
4 luoghi reali, in cui si immettono dimensioni spazio-temporali simboliche (luoghi di permanenza, di ritorno e apparizione dei morti: atmosfera; astri; campagna; calvario; cimitero; case disabitate e diroccate; crocicchi; crepacci; sorgenti, fiumi e fontane; mare; boschi e luoghi ombrosi; grotte; qualsiasi luogo in cui sia avvenuta una «mala morte»; itinerari processionali dei defunti);
5 luoghi simbolici, nei quali si attua la comunicazione morti-vivi, anche se sono previste tecniche di sollecitazione da parte dei viventi (sogni);
6 persone prescelte come luogo di mediazione comunicazione e di reincarnazione (veggenti, che costituiscono comunque gli interlocutori «specialistici» dei morti e i mediatori privilegiati per la comunicazione con essi; posseduti dagli spiriti, che ne consentono la materializzazione, prestando loro gli strumenti umani: corpo, voce);
7 animali assunti dai morti come luogo di temporanea reincarnazione (serpe, lucertola, farfalla, colomba, rospo, topo, delfino);
8 oggetti;
9 categorie di persone che rappresentano i morti vicariamente e/o simbolicamente (poveri e mendicanti, altri e forestieri, bambini, mascherati, congregati).
Questi rapporti si estrinsecano attraverso atti rituali che li rendono significativi e intellegibili secondo il linguaggio folklorico della morte.
L’insieme di queste localizzazioni materiali e simboliche costituisce il linguaggio spaziale della morte, struttura un codice di significati che si articola in una «natura» umanizzata, in un paese reale e nella sua proiezione simbolica. Contiguo allo spazio realistico, già esso solcato dall’ideologia della morte, si pone quindi nell’orizzonte culturale popolare un mondo mitico, abitato dai morti, con i suoi percorsi, i suoi passaggi, i suoi spazi articolati secondo una topografia metafisica.
La pluridimensionalità spaziale comporta, inoltre, una pluridimensionalità temporale, per cui non solo abbiamo due tempi reali diversi per le iniziative dei morti e dei vivi, ma anche una interazione fra tempo reale e tempo mitico.
LUIGI M. LOMBARDI SATRIANI e MARIANO MELIGRANA
Da “Il ponte di San Giacomo” – Rizzoli
Foto: Rete