
Cripta della Chiesa di Sant’Eusebio a Pavia
Nei decenni che seguirono, la pace sociale e la prosperità economica determinarono un certo fervore dell’attività edilizia, che si tradusse nella costruzione di centinaia di edifici monumentali.
Mancando di un’autonoma tradizione architettonica, i Longobardi si rifanno per larga parte ai modelli e alle tecniche costruttive degli edifici tardo-antichi e bizantini, diffusi nella penisola. Si servono infatti delle maestranze locali che si tramandavano di padre in figlio l’arte del costruire e del decorare: ne parla esplicitamente l’Editto promulgato nel 643 dal re Rotari (636-652), che dedica due capitoli ai magistri commacini (dal tardo-latino, probabilmente, maestranze dotate di macchinari, cioè di apparecchiature tecniche); dunque vengono ancora utilizzate le tecnologie costruttive di tradizione romana.
Proprio la libertà culturale con cui i Longobardi possono approcciarsi all’architettura classica, porta ad esiti originali quali la presenza di elementi dell’arte orafa nelle soluzioni estetico-costruttive. Ciò è documentano, ad esempio, dai capitelli della Chiesa di Sant’Eusebio a Pavia, nuova capitale dal 625, voluta da Rotari: alcuni di essi, con reticoli a settori triangolari o con forme fogliacee estremamente allungate, sembrano riprodurre le sagome dei castoni delle gemme caratteristici delle fibule coeve.

Capitello della Chiesa di Sant’Eusebio a Pavia,
Le architetture realizzate tra VII e VIII secolo sono per lo più edifici di culto (chiese, santuari, monasteri benedettini). Particolarmente interessanti sono alcuni edifici a pianta centrale, innanzitutto la chiesa suburbana di Santa Maria in Pertica (677 circa) a Pavia, distrutta nel 1815, della quale rimane però uno schizzo di Leonardo da Vinci, ripreso da un’incisione settecentesca. Si può dedurre che fosse un edificio a pianta circolare, con un giro di sei colonne a delimitare il vano centrale, con le pareti interne mosse da una fitta sequenza di nicchie semicircolari o rettangolari e con copertura a volte a crociera. L’edificio testimonierebbe ancora una tendenza anticlassica nella forte altezza del vano centrale.
NelI’Vlll secolo, invece, la Chiesa di Santa Sofia (760) a Benevento, fondata dal duca Arechi II (758-787), richiama non solo la complessa articolazione dell’architettura tardo-antica, ma anche, nel movimento pluridirezionale, quella bizantina. E a pianta mistilinea, semicircolare nella parte presbiteriale, con tre absidi sporgenti, e per il resto frastagliata a forma di stella.

“Santa Sofia” – Benevento
L’interno è caratterizzato da una cupola su tiburio esagonale, ricostruita dopo un terremoto verificatosi nel 1688, sorretta da sei colonne e attorno a cui si dispone un’ulteriore corona di dieci pilastri.
Dall’esterno, invece, l’impianto centrale, il frastagliamento della struttura perimetrale, la muratura che alterna corsi orizzontali di blocchi di pietra e di mattoni e la copertura con tetto spiovente dovevano dare l’impressione di una grande e variopinta tenda con le pareti mosse dal vento.

“Santa Sofia” – Benevento
Le due absidi laterali conservano brani degli affreschi, che in origine dovevano ricoprire tutto l’interno, con Storie di Cristo, i cui personaggi sono costruiti con robustezza plastica e animati da una vibrante carica drammatica.
Discusse sono la datazione del ciclo (coevo alla fondazione della chiesa o successivo al terremoto dell’847) e anche, di conseguenza, le fonti di questo particolare linguaggio, siro-palestinesi o forse lombarde.
Pochi anni dopo, nel 774, il regno longobardo soccomberà all’avanzata dei Franchi; il solo Ducato di Benevento conserverà la propria indipendenza ancora per quasi tre secoli, fino al 1050
Da “STORIA DELL’ARTE 1” di Dorfles, Ragazzi, Maggioni, Recanati – ATLAS
Foto: Rete