
Statua sinistra dal gruppo dei Dioscuri proveniente da Locri Epizephiri, custodito al Museo Nazionale della Magna Grecia di Reggio Calabria.
Sulla costa dello Ionio, poco a settentrione di Capo Bruzzano, l’antico promontorio Zefirio, i Locresi fondano una Locri (poco a sud della Locri odierna), che, dal promontorio, prende nome di Locri Epizefiri. La nuova colonia confina a nord con Caulonia e a sud con Reggio. È priva di porto naturale, ma, riparata dall’omonimo promontorio, segna uno scalo di vitale importanza per il navigante in rotta per la Sicilia o in transito per lo Stretto.
E sempre Strabone (VI 1, 7. 259) che ci informa della colonia locrese, riferendo due, alternative, tradizioni sui suoi fondatori:
il promontorio di Locri, detto Zefirio, […] ha il porto protetto dai venti occidentali e da ciò deriva anche il nome. Segue poi la città di Locri Epizefiri, che fu colonizzata da quei Locresi che stanno sul golfo di Crisa, condotti qui da Evante, poco dopo la fondazione di Crotone e di Siracusa. Eforo, perciò, non è nel giusto quando afferma che si tratti di una colonia dei Locresi Opunzi. I coloni abitarono per tre o quattro anni presso lo Zefirio e c’è là una fonte, chiamata Locria, dove i Locresi posero l’accampamento. Poi trasferirono la loro città con l’aiuto dei Siracusani.
La colonia si data, stando alla cronologia canonica, o nel 679 o nel 673 ca., dopo che Corinzi e Achei – come precisa Strabone — hanno colonizzato Siracusa e Crotone. Siamo dunque nel terzo decennio del VII secolo. Ma è fondazione dei Locresi Ozoli che abitano sulla costa settentrionale del golfo di Corinto, ovvero dei Locresi Opunzi che si affacciano sulle rive del canale di Eubea? Nel primo caso i coloni locresi sono giunti a rimorchio di Corinzi e di Achei, nel secondo ribattendo le rotte degli Eubei.
A favore dei Locresi Ozoli si dichiara Strabone, che però non rivela la sua fonte. Ma è questa tesi più che verosimile, poiché la Locride Ozolia, affacciandosi sul golfo di Corinto, è regione già per sua natura proiettata ad avventure occidentali. Inoltre, la stessa memoria dell’‘archeghetes (la «guida» dei coloni) Evante ci riporta a questa anziché all’altra Locride.
A favore dei Locresi Opunzi si dichiara, invece, Eforo (fr.138 Jacoby), contestato da Strabone. Ma, se è più logico che i coloni siano venuti dalla Locride occidentale, come è nata allora la tradizione, meno verosimile, che riconduce alla Locride orientale, cioè alla Locride Opunzia? L’interrogativo è legittimo, e non siamo in grado di smontare con argomenti decisivi l’asserzione di Eforo. Tanto più che nativo della Locride Opunzia è Aiace di Oileo, un eroe la cui leggenda è indissolubilmente congiunta alla storia di Locri.
Ma anche questo dato, sulla nascita di Aiace di Oileo, non prova granché, poiché il suo culto è presente in entrambe le Locridi. Ragione per cui riteniamo più prudente concludere che l’impresa coloniaria sia stata duplice: tanto che si sia trattato di due successive spedizioni, l’una ozolia e l’altra opunzia, quanto di un’unica spedizione frammista di coloni provenienti dalle due Locridi. Ovviamente, questi ultimi, anche se di differenti patrie, sarebbero tutti salpati dal golfo di Corinto, cioè dalla Locride Ozolia, avendo per capo un Locrese occidentale, quale, appunto, il nostro Evante.
I coloni locresi sostano per tre o quattro anni presso il promontorio Zefirio, così chiamato perché forma un riparo dallo zeffiro, dal vento di ponente. Poi si spostano un poco più a nord, fondando la loro città. Ma, prima di loro, già il corinzio Archia, proveniente da Corcira, era approdato presso il promontorio Zefirio, come ci ricorda Strabone VI 2, 4. 269-270 (da Eforo: supra, cap. I, par. 2.2). Il che potrebbe indicare che questo fosse uno scalo posto sotto il controllo corinzio, o corinzio-siracusano, e, come tale, ancora pienamente operante allorché vi approdano i coloni locresi.
I quali, appunto, fondano Locri, con l’aiuto e l’appoggio dei Siracusani. Ma chi sono costoro? Chi sono questi Siracusani o, più probabilmente, Corinzi/Siracusani? Quelli qui giunti con Archia, ovvero loro discendenti che, anche in età successiva, conservano il controllo sull’importantissimo scalo? Se la spedizione coloniaria è una sola, possiamo solo pensare a Siracusani da tempo stanziatisi presso il promontorio Zefirio, i quali, magari, hanno sollecitato i Locresi all’avventura transmarina. Ma se due sono le spedizioni coloniarie, l’una di Locresi Ozoli e l’altra di Locresi Opunzi, nulla vieterebbe di pensare che gli uni siano venuti ai tempi di Archia (733 ca.) e gli altri al tempo della fondazione di Locri (679 o 673 ca.). In tal caso, la sosta presso il promontorio Zefirio non sarebbe stata di «tre» anni, bensì di «tre» generazioni di venti anni ciascuna (733 – 60 = 673). Il che non è impossibile considerando che, per i Greci, il computo generazionale è estremamente elastico. In tal caso, inoltre, Archia, il fondatore di Siracusa, avrebbe avuto non solo un ruolo di compartecipe nella colonizzazione di Corcira, non solo un ruolo di ‘spalla’ nella pre-fondazione di Crotone promossa da Miscello, ma anche un ruolo di esploratore nella scelta del sito dove successivamente sorge Locri.

Pinax con Ade e Persefone, da Locri
Se le cose stessero davvero così, si comprenderebbero meglio anche le strette connessioni di Locri con tradizioni di marca tarantino-spartana. Sono Aristotele e Polibio che accomunano le origini di Locri a quelle di Taranto. Il primo (fr. 547 Rose) ci informa che i Locresi di Italia discendono da schiavi fuggitivi, da briganti, da adulteri e da buone donne. Il secondo, Polibio (Storie XII 6b, 9-10), ci narra che le donne locresi si sarebbero congiunte con schiavi mentre i mariti combattevano al fianco degli Spartani nella prima guerra messenica. I tigli, frutto di tali unioni, sarebbero stati spediti a Locri, così come i Parteni nati dalle ‘vergini’ spartane erano stati esiliati a Taranto. Tradizione, questa seconda, che merita particolare attenzione perché ci dice un qualcosa di storicamente incidente. Infatti, ricordando che i Locresi sono alleati degli Spartani nella prima guerra messenica, ci conforta nell’ipotesi che gli uni, per la prima volta, siano venuti a Locri proprio a rimorchio degli altri. Non nell’età della fondazione della colonia (679 o 673 ca.), ma sessanta anni prima (733 ca.), quando, appunto, era ancora operante l’alleanza contratta nell’età della guerra messenica. È Pausania (III 3,1) […] che ci informa che gli Spartani inviarono coloni a Crotone e a Locri quando «la guerra messenica raggiunse il suo culmine», in anni, cioè, compresi fra il 750 e il 725. Poiché – l’abbiamo pure ricordato – nulla vieta che in quella occasione Miscello si sia accompagnato ai coloni spartani che sbarcano a Crotone, possiamo ulteriormente congetturare che agli stessi si siano accodati anche Locresi diretti nell’area del promontorio Zefirio. Provenienti, con buona probabilità, dalla Locride Opunzia, dove la contiguità con gli Eubei li aveva allenati a ribatterne le rotte occidentali.
L’archeologia ci rivela che, all’arrivo dei coloni locresi, il sito era già occupato da indigeni, che furono cacciati dai nuovi venuti. Si tratta di Siculi, superstiti sul suolo di Italia, avvezzi a rapporti commerciali con i Greci già da epoca precoloniale. In particolare, i vasi di tardo periodo geometrico ritrovati nelle loro tombe ci attestano l’esistenza di contatti con genti di provenienza euboico-cicladica. Le quali, con buona probabilità, sono le medesime di cui i Locresi Opunzi, affacciati sul canale di Eubea, possono avere ribattuto le rotte proprio al tempo della spedizione di Archia.
Connesse alle leggende di fondazione sono, infine, le tradizioni sulla prostituzione sacra, nonché sulla sopravvivenza, in Locri, di usanze matriarcali. Sopravvivenza che è retaggio o di popolazioni preelleniche abitanti le Locridi o, più probabilmente, di genti indigene ‘impattate’ dai colonizzatoli sul suolo della penisola. Comunque sia, la pratica matriarcale ha in Locri radici profonde, se è vero che qui erano considerati nobili solo i cittadini che discendevano in linea femminile dalle «cento famiglie» della madrepatria (Polibio XII 5, 6-8), alcune delle cui donne avevano partecipato alla spedizione coloniaria, trasmettendo la nobiltà del casato ai propri discendenti. Ma il problema si complica, allorché constatiamo che tale nobiltà non annulla la tradizione di una colpa originaria, simboleggiata, nella leggenda, dalle vergini locresi trascelte dalle «cento famiglie» e inviate, annualmente, a Troia per espiare la colpa di Aiace, macchiatosi di violenza sacrilega.
Nonostante la sua area insediativa sia di duecentotrenta ettari, Locri è serrata fra le città di Reggio e di Caulonia, con le quali confina presso i fiumi Alece e probabilmente Sagra. Non può contare, inoltre, né su vaste pianure, né su un territorio particolarmente ricco e disponibile a culture intensive. Le è quindi giocoforza concentrare l’espansionismo in direzione del Tirreno, al di là delle catene montuose dell’Aspromonte e delle Serre. Qui, sull’altra costa della penisola, fonda le sub-colonie di Metauro (Gioia Tauro), Medma (oggi Rosarno) e Ipponio […] Le quali, con Locri, circondano il territorio di Reggio, costituendo una barriera che, di fatto, la isola dalla realtà dell’Italia greca, avvicinandolo sempre più alla dinamica politica del mondo siciliano.
In particolare, degna di menzione è Ipponio, ribattezzata oggi Vibo Valenza per recupero del toponimo di età romana. Si estende su una superficie di ben duecento ettari, dominando il Tirreno dall’alto di una munita acropoli naturale e disponendo di un porto protetto. Essendo la più settentrionale di tutte le fondazioni locresi, estende il suo controllo fino alle acque del golfo di Santa Eufemia, che, non a caso, gli autori antichi ricordano come golfo di Ipponio. La sua ricchezza, prevalentemente agricola, sarà assicurata da una vasta pianura che degrada dolcemente verso il mare.
Fonte: “La Magna Grecia”, di L. Braccesi e F. Raviola – il Mulino
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