I giochi dei romani

Giocatori di dadi su una tabula lusoria. Affresco romano dall’Osteria della Via di Mercurio a Pompei

I giochi dei bambini

Sotto i portici tra due colonne vediamo alcuni bambini che giocano. A che cosa possono giocare i bambini romani? Alle biglie! Ovviamente non utilizzano sfere di vetro o di ceramica, sarebbero troppo costose. La materia prima la fornisce la natura: sono le noci. Il gioco che vediamo è abbastanza semplice. I ragazzini devono colpire a turno, da lontano, delle piccole “piramidi” di noci. Ci vuole una buona mira! Ogni tiro strappa urla al gruppo di “scugnizzi” che hanno preso questa via come loro parco giochi. In effetti ce ne sono altri che giocano a mosca cieca, un gioco che diventa esilarante nella folla delle vie, in quanto il bambino bendato ghermisce continuamente i passanti per errore, sollevando un’ondata di risate tra gli amici. Poco oltre due ragazzini giocano ai soldati cavalcando delle canne…

Bambina romana che gioca agli astragali o aliossi

Tutto questo conferma quello che lo stesso Orazio ha detto sui giochi dei bambini: cavalcare una canna è uno dei giochi più diffusi, così come attaccare piccoli animali (quali topi o galline) a minuscoli carretti o costruire piccole case.

Sappiamo però che nel panorama dei giochi dei bambini romani non mancano le trottole azionate da una cordicella, il salto del cavalluccio, l’altalena e il rimpiattino. Non manca nulla? Forse sì. Da un balcone del primo piano dell’insula che ci sovrasta una bambina osserva i ragazzini in strada. Vorrebbe scendere, ma la madre non vuole lasciarla nella strada affollata. Così rimane da sola a giocare con la sua… bambola.

Bambola in avorio del II sec. a.C. proveniente da un sarcofago romano a Grottarossa

Le bambole sono un’invenzione antichissima che risale alla preistoria. Ma questo tipo di bambola è speciale: è di terracotta e ha gambe e braccia che si muovono. Colpisce scoprire che già in epoca romana esistono delle vere e proprie “Barbie” (pupae).

Giocattoli di questo tipo sono stati rinvenuti dagli archeologi in più occasioni, soprattutto nelle tombe di bambine o di ragazze adolescenti. A volte sono in avorio, a volte in legno e alcune sono articolate in modo più complesso, sul modello di Pinocchio. Tuttavia hanno sempre, scolpita, l’acconciatura in voga, che fornisce già a prima vista un’indicazione sulla sua età e sull’epoca nella quale è stata usata.

I giochi degli adulti

Continuiamo il nostro cammino e passiamo davanti a quella che ha tutto l’aspetto di un’osteria, dove due vecchi sono impegnati in una strana attività. Sembrano litigare gesticolando animatamente. Avvicinandoci scopriamo che l’atmosfera è in realtà molto distesa. Lo si vede anche da alcuni avventori che stanno loro attorno, sorridendo. I due vecchi stanno giocando alla… morrà (il suo vero nome è micatio). Alzano l’avambraccio e lo distendono violentemente verso il basso urlando un numero e mostrando solo alcune dita alla volta. Lo scopo, lo sappiamo, è quello di indovinare in anticipo la somma delle dita mostrate da entrambi i giocatori. Tuttavia colpisce vedere un gioco così “familiare” in un’epoca tanto lontana. È un vero reperto archeologico, antico quanto gli oggetti che vediamo nelle vetrine dei musei. E non è il solo. Per le vie di Roma si gioca e si scommette con il “testa o croce”. In realtà si dice navia aut capita, cioè “nave o testa”, perché le monete recano su un lato la testa di Giano bifronte e sull’altro la prua di una galea. Con il tempo le effigi sono cambiate ma non l’espressione, che è arrivata fino ai nostri giorni con miliardi di monetine lanciate per aria nel corso dei secoli.

La micatio

Un altro gioco arrivato fino a noi e tipico delle strade dì Roma è pari o dìspari (qui lo chiamano par impar). In realtà, è un gioco un po’ diverso perché consiste nell’indovinare il numero di sassolini che l’avversario nasconde in mano. []…]

Dentro il locale notiamo una tenda, dovrebbe essere quella del retrobottega. […] È una bisca! Al centro c’è un tavolo con degli uomini che giocano ai dadi. Deve essere una partita importante. A ogni giocata il padrone annota le vincite facendo addirittura una tacca su uno spigolo della parete.

Ma non è vietato il gioco d’azzardo? Sì, lo è. Così come lo sono le scommesse (al di fuori del Circo Massimo e del Colosseo). La legge è chiara: si viene puniti con ammende fino a quattro volte la posta messa in palio. Inoltre il diritto romano non riconosce i debiti di gioco, quindi nessun avvocato vi potrà mai aiutare a recuperare i soldi persi con l’azzardo.

Eppure qui tutti giocano… In effetti, anche se la legge condanna le scommesse e il gioco d’azzardo, le autorità chiudono un occhio e nessuno esegue i controlli. Basta solo non trasgredire alla luce del sole: come qui, in questo retrobottega. Il luogo è davvero identico a quelli che si vedono nei film con i giocatori di poker. Ovviamente le carte da gioco compariranno solo fra molti secoli. I dadi (tesserae) le sostituiscono egregiamente.

Enormi fortune sono state dilapidate con questo gioco. Tanti hanno trovato la morte. Esistono persine dei dadi truccati. Uno è inchiodato al muro, come monito. È come dire: qui non si bara. Ci avviciniamo incuriositi per osservarlo meglio: dentro è cavo e ha due tappi per mascherare il trucco. Fuori doveva sembrare perfetto. Ma a uno dei lati interni è stata fissata una “zavorrà” di piombo, in modo che il dado tendesse a fermarsi più spesso su un lato. Il proprietario e i suoi amici se ne devono essere accorti. Chissà cosa è successo al baro. Alcune piccole macchie e degli schizzi color marrone non perfettamente lavati in un angolo della stanza fanno intuire com’è andata a finire…

Ci avviciniamo discretamente al tavolo. Gli uomini urlano e imprecano a ogni lancio. I dadi vengono tirati a gruppi di due, tre o quattro a seconda delle partite usando un bicchierino di terracotta (fritillus) che ha un curioso peduncolo: sembra un bicchiere a calice spezzato. Quindi difficilmente sta in piedi e cade se viene anche solamente sfiorato. Forse è un modo per evitare che qualcuno ci infili un dado truccato senza essere visto…

Le regole sono quelle universali. Si sommano i punti delle facce dei dadi rivolte verso l’alto. Quello che cambia sono i nomi dei vari tipi di lancio. Quando tutti i dadi mostrano il numero 1, un tiro davvero sfortunato, si dice che è il “punto del cane”. Se invece tutti mostrano il numero più alto, il 6, allora si dice che è uscito il “punto di Venere”.

Piazza Armerina

Ai bordi del tavolo sono accumulati piccoli gruzzoli di sesterzi in bronzo e denarii in argento. Sono giocate pesanti. Ma rispecchiano bene la febbre del gioco che divora i romani. È davvero sorprendente, tutti giocano o scommettono a Roma. E non parliamo solo del popolino. È rimasto famoso il caso di Augusto, capace di perdere addirittura 200.000 sesterzi (400.000 euro) in una sola giornata. Se fosse vissuto in epoca moderna, questo grande della storia romana sarebbe stato messo in cura. La sua infatti era una vera malattia: quando invitava ospiti a casa, consegnava a ognuno di loro un sacchetto contenente 25 denari in argento per poter giocare (ridistribuendo spesso lesue vincite per poter continuare!)…

Lasciamo la saletta. Le urla e la tensione sono diventate troppo alte, la situazione potrebbe degenerare.

Uscendo ritroviamo i due vecchietti che giocano rumorosamente alla morrà. Poco oltre scorgiamo due soldati che si sono seduti a un tavolo e hanno cominciato una partita del gioco delle dodici scritte (duodecim scripta, molto simile alla nostra tavola reale). Un altro intrattenimento molto amato dai romani.

 

ALBERTO ANGELA

Da ”Una giornata nell’antica Roma” –  Mondadori

Foto: Rete

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