I salotti parigini al tempo del Re Sole

Sotto il regno personale di Luigi XIV notevole fu la rilevanza dei salotti parigini. Nella capitale, erano altrettante piccole corti, in assenza di quella del re, altrettanti luoghi d’incontro della grande nobiltà, di gentiluomini, grandi borghesi e letterati che non avrebbero potuto ritrovarsi tutti insieme a Versailles. I cortigiani vi recavano le notizie della Corte, i magistrati quelle del Palazzo di Giustizia, gli scrittori le novità letterarie e, tutti quanti, i pettegolezzi d’alcova.

Alcune migliaia di persone costituivano la società dei salotti e ognuna aveva caratteristiche proprie, con una comune tendenza alla raffinatezza. L’attività intellettuale era ugualmente in onore, questo è certo, anche all’Università, nei monasteri e in trattoria; ma Georges Mongrédien ha ragione di asserire che «in definitiva, dobbiamo le opere dei nostri maggiori classici all’educazione del pubblico da parte della Corte e dei salotti, allo sviluppo della vita mondana, delia cortesia, della civiltà».

Se, per il periodo di cui ci occupiamo, ci furono salotti esclusivamente mondani, essi tuttavia non hanno lasciato quasi traccia di sé nella storia. Quelli di cui si è mantenuto il ricordo lo debbono alle loro predilezioni intellettuali, che hanno stimolato tanti scritti da parte dei loro frequentatori abituali. Non è necessario, tuttavia, che essi abbiano accolto letterati, filosofi, insigni studiosi. Madame de Sévigné non ne riceveva o quasi, eppure molti di quelli che la frequentavano erano persone di grande cultura, che conoscevano il latino e — secondo l’usanza del tempo —l’italiano o lo spagnolo. Come lei, tutti leggevano parecchio e spesso anche opere ardite, scrivevano moltissime lettere, erano al corrente di tutto.

Madame-de-La-Fayette

Il ruolo delle donne, nell’organizzazione dei salotti, appare  fondamentale. La maggior parte di essi sono noti grazie appunto al nome di donne. Letterate o semplicemente padrone di casa, erano loro a dare il tono agli ospiti. Va notato, d’altro canto, che Mademoiselle de Scudéry, al pari di Ninon de Lenclos, sono nubili, benché in modo diverso, che Madame de La Suze è separata dal marito come, dal 1667, Madame de La Sablière, e che Madame de Sévigné e Madame de Sablé sono vedove. Monsieur de La Fayette viveva perlopiù nelle sue terre, lasciando che la moglie imperasse a Parigi. Si parla molto della duchessa de Bouillon e mai del duca e si sa appena quali fossero le occupazioni di Monsieur Cornuel o di Monsieur de Brégy, mariti di celebri preziose. Se si cita un salotto con un nome maschile — Ménage, Montmort o il presidente de Lamoignon — non si tratta di un salotto ma di un’Accademia.

«Le donne di qualità hanno raffinato i miei costumi e coltivato la mia mente» scrive l’abate Cotin. Il piacere principale dei salotti consistette nella conversazione, i cui modelli erano forniti da certe raccolte, non senza cadere nella pedanteria. Era preferibile apprenderne l’arte praticandola, perché si trattava di divertire, di piacere, ossia di sedurre, più che di istruire. Le donne vi brillavano, come i cortigiani e la gente di lettere che viveva in società. «Non c’è niente ora di più diffuso a Parigi dello spirito» scrive Sauval. Ma nei salotti ci si istruiva anche attraverso la lettura, spesso fatta ad alta voce dall’autore in persona, della sua ultima opera o di quella delle lettere di assenti che commentavano, come Bussy-Rabutin, le opere apparse di recente, si trattasse della Princesse de Clèves (Principessa di Clèves) di Madame de La Fayette o della seconda raccolta di Fables (Favole) di La Fontaine.

Bisognava in tal caso dare il meglio di sé e i talenti erano molto ricercati. La musica aveva un grande ruolo nell’occupare gli infiniti svaghi di questo mondo di privilegiati. Invitando, nel 1695, alcuni amici brillanti – per esempio, la Rochefoucauld, di cui era il segretario, il poeta Coulanges e Madame de Sévigné — Gourville offriva loro una «cena incantevole » al chiaro di luna, nel giardino della sua nuova casa di rue de Condé e nascondeva al riparo del fogliame sei oboe, più in là sei violini, più in là ancora dei flauti dolci e un basso di viola.

Era possibile ingaggiare per una sera, per quattordici pistole [scudi spagnoli •sec. XVII], la «grande banda» dei ventiquattro violini del re, se non era impegnata a Versailles. Ma, in genere, i frequentatori del salotto sapevano distrarsi anche da soli. C’era chi declamava versi, chi cantava, accompagnandosi con il liuto o con la tiorba, le affascinanti e malinconiche canzoni di Madame de La Suze, poetessa ingiustamente dimenticata. Il clavicembalo, apparso poco dopo, permetteva di organizzare concerti da camera. Il maestro di musica consiglia a Monsieur Jourdain di tenere in casa, settimanalmente, un concerto a tre voci accompagnate da un basso di viola, da una tiorba, da un clavicembalo e da due violini. L’educazione dei fanciulli e delle fanciulle delle famiglie facoltose comprendeva la musica, la danza e il canto.

Infine, gli intrighi amorosi condivano i rapporti umani e, a volte, nel segreto delle stanze, avvicinavano le classi fra loro. Se era impossibile a quei tempi che una donna di mondo sposasse uno scrittore, il costume tollerava però che gli accordasse qualche favore. Fatto sta che, al fianco della padrona di casa, egli svolgeva un ruolo fra i principali. Era per lei come un precettore, la guidava nei suoi lavori letterari, li correggeva, li faceva conoscere. In compenso, a volte egli era ospite permanente in casa, lo si nutriva, lo si viziava. La sua illustre presenza arrecava alla casa un prestigio invidiabile. I frequentatori assidui del salotto avevano la sensazione di collaborare alla sua opera. Il balletto finale del Malato immaginario di Molière fu concepito e preparato nel 1673 in casa di Madame de La Sablière che, d’altro canto, era unita da profonda amicizia a La Fontaine. Il poeta, comodamente sistemato e coccolato, dal 1672, nel bel palazzo di rue Neuve-des-Petits-Champs, aveva lasciato la famiglia a Chàteau-Thierry. Nel 1680 seguiva la sua benefattrice in rue Saint-Honoré dove, accanto al suo nuovo palazzo, questa aveva fatto sistemare per lui una casetta, che gli lasciò nel 1688, allorché lei si ritirò agli Incurables. Alla morte dell’amica, il poeta andò ad abitare in casa di Monsieur d’Herwart.

I rapporti fra i letterati e i loro protettori subirono un’evoluzione nel corso del secolo. Essi vennero considerati sempre di più e sempre più amichevolmente trattati, ma non da pari. I nobili accettavano di essere trattati familiarmente da loro, ne tolleravano gli scherzi più vivaci, ma ogni tanto reagivano alle loro insolenze e li facevano prendere a bastonate.

I loro rapporti, tuttavia, divennero più stretti via via che le persone di mondo divennero esse stesse scrittori e, quindi, condivisero la sorte degli uomini di penna. Vivendo di contributi fissi, di ricompense per le dediche delle loro opere e di benefici in natura, questi ultimi non potevano che accettare di buon grado i letterati signori. Ed è sicuro che Madame de La Fayette e il suo amico, il duca de La Rochefoucauld — dei quali Antoine Adam dice che «l’intera intelligenza dell’epoca si era concentrata intorno a loro» — contano più ai nostri occhi come scrittori che non come personaggi della nobiltà. Il fatto che Corneille, Molière e Boileau siano stati i frequentatori abituali del Salotto di rue Vaugirard ne conferma le doti intellettuali. Ménage vi aveva svolto, durante la giovinezza di Madame de La Fayette, un ruolo sia di cicisbeo sia di consigliere letterario. Il duca, arrivato dal suo fastoso palazzo di rue de la Seine, sottoponeva le sue massime all’approvazione dell’amica, dopo aver consultato Madame de Sablé, di cui apprezzava in particolare la cucina.

Madame de La Fayette, da parte sua, aveva debuttato dedicandosi alla scrittura della Princesse de Montpensier, poi aveva scritto, nella maturità, la Princesse de Clèves, due titoli che dimostrano a sufficienza che un sentimento borghese non le sarebbe parso degno di fornire materia per un romanzo, mentre il rango elevato delle sue eroine nobilitava per ciò stesso un mestiere come quello del letterato. Eppure, dato curioso, pur essendo ormai passati da un pezzo i tempi in cui certi gentiluomini si vantavano di sapere a malapena leggere e scrivere e di ignorare il latino, l’orgoglio nobiliare, a volte, impediva loro ancora di fare stampare le loro opere con il proprio nome. Le Maximes, come pure la Princesse de Clèves rimasero a lungo anonime, nonostante tutti i frequentatori abituali del salotto di Madame de La Fayette ne avessero tranquillamente parlato con gli autori.

Il pubblico non doveva conoscerli. Molière prende in giro questi sotterfugi quando fa dire al falso marchese di Mascarillo, che si dà da fare a «mettere in madrigali l’intera storia romana»: «La cosa non sarebbe troppo consona al mio rango, ma lo faccio più che altro per far guadagnare qualcosa agli editori». Ma si sta ormai avvicinando il tempo in cui tutti questi autori della nobiltà saranno fieri di vedere stampati i propri nomi.

Il preziosismo continuò a regnare per larga parte del secolo. Esso aveva compiuto un’opera di civilizzazione, addolcito i costumi, sviluppato il gusto per la conversazione, approfondito l’analisi dei sentimenti o, meglio, raffinato la sensibilità rispetto alle più sottili sfumature dell’amore — il suo oggetto fondamentale — e formulato La carte du Tendre. Metafore e perifrasi costituirono il linguaggio corrente dei Salotti di Madame de La Suze e di Madame de Brégy e soprattutto di quello di Mademoiselle de Scudéry. Il trasferimento della Corte a Versailles, svuotandoli alquanto, ebbe come conseguenza il moltiplicarsi dei Salotti borghesi, frequentati del resto da parecchi gentiluomini, se la padrona di casa era una donna intelligente.[…]

Ma i grandi scrittori classici frequentavano tutti salotti letterari più o meno affetti da preziosismo. Eppure, lì si formò il tipo dell’« onest’uomo », cortese, amabile, modesto, morigerato nelle idee, colto senza essere pedante, ma soprattutto privo di affettazione, semplice e schietto nel modo di esprimersi e che poteva essere un gran signore, un gran borghese o un uomo di lettere di umili origini, come lo erano Molière, Boileau o Racine, insomma un uomo di piacevole compagnia.

Se le donne dominavano i salotti altrettanto non valeva per le altre sedi in cui si svolgeva l’attività letteraria. Eppure le taverne, i cabarets, non avevano più, ai tempi di Colbert prima, di Louvois poi, il ruolo che svolgevano precedentemente, cioè quello di un luogo di protesta contro le affettazioni del linguaggio prezioso e, in nome della gioia di vivere, contro il ridicolo eccesso di pudore, in favore della libertà di pensiero e di espressione.[…]

 

JACQUES WILHELM

Da “A Parigi ai tempi del Re Sole” – Fabbri Editori

Foto: Rete

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