
Sacerdote in tradizionale costume da cerimonia riccamente decorato
Verso la fine del regno di Montezuma, l’impero aveva già assunto una forma definita, anche se restavano ancora da sottomettere molte province remote. A questo punto, sarà però opportuno chiedersi che sorta di impero fosse questo e come fosse governato.
Già abbiamo parlato del governo di Tenochtitlan e di Tlatelolco, dove le norme generali erano state stabilite da precedenti sovrani. Ma quando il peso dell’impero cominciò a farsi sentire, furono inevitabili nel governo centrale i mutamenti tesi a consolidare ulteriormente il potere del monarca e delle classi dirigenti, tendenza questa già rintracciabile sotto l’immediato predecessore di Montezuma. Tanto nel nuovo quanto nel vecchio mondo la conquista di un impero portava a una maggiore concentrazione di potere e di privilegi; tanto gli onori militari quanto le spoglie di guerra erano prerogativa di pochi e non di molti.
La differenza tra sovrano, nobiltà e popolo si accentuò sempre più. Montezuma, il grande tlatoani, assunse la stessa distaccata dignità di un sovrano orientale; egli appariva alla moltitudine soltanto in rare occasioni, affinché gli indegni non arrivassero a mirarne le sacre sembianze. Nel recinto del palazzo, soltanto il sovrano e il suo alter ego, Tlacaélel, potevano portare le scarpe; gli altri dovevano entrare a piedi nudi, anche se pochi favoriti distintisi particolarmente in guerra avevano il privilegio di portare sandali alla presenza del sovrano, ma della forma più semplice e senza ornamenti d’oro. Lo stesso Montezuma indossava gioielli diversi ogni giorno, insieme con le piume più sgargianti e con le vesti più raffinate, e quando teneva consiglio offriva uno spettacolo abbagliante, seduto su un trono la cui parte inferiore era ricoperta da una pelle di giaguaro, con specchietti inseriti al posto degli occhi e dei denti che davano l’impressione che l’animale fosse ancora in vita.
Furono rafforzate rigide leggi suntuarie, degne di una corte orientale. Per i sudditi di Montezuma, l’uso di gioielli, piume e persine abiti di cotone era regolato da norme meticolose che dipendevano dalla nascita e dal comportamento in guerra. Fogge diverse di abbigliamento erano stabilite per i consiglieri del sovrano, per i nobili, per i guerrieri delle diverse categorie e per il popolo. La morte era la punizione per chiunque tra il popolo vestisse abiti di cotone, o mantelli lunghi fino alle caviglie. Se una persona del popolo aveva la temerità di presentarsi con un lungo mantello, gli si esaminavano le gambe; se non aveva ferite di guerra, considerate l’unica giustificazione per una veste di tale lunghezza, veniva ucciso all’istante.
E cosi, quando trovavano qualcuno [un plebeo] che indossava un mantello più lungo di quanto stabilito dalla legge, gli esaminavano le gambe per vedere se avesse qualche segno di ferita ricevuta in guerra. E se non ne trovavano, lo uccidevano: ma se invece trovavano una ferita, gli permettevano un mantello più lungo per nascondere la ferita ricevuta nelle gambe combattendo da prode guerriero. (D. Duran)
I privilegi erano in parte ereditari e in parte concessi per meriti di guerra. La nascita e il valore erano i due segni di distinzione, ma fra di essi sussistevano tuttavia notevoli differenze. Gli ornamenti più splendidi, come i bracciali d’oro, i diademi d’oro ornati di piume e la preziosa giada verde, di profondo significato religioso ed emblema degli dèi, erano riservati alla nobiltà. I guerrieri più valorosi potevano fare sfoggio di ornamenti più semplici, quali ad esempio collane di osso o di piccole conchiglie, e potevano portare sulla testa piume di aquila; il popolo doveva invece contentarsi di semplici orecchini di ossidiana e di pelli di coniglio.
Fu ordinato che soltanto i grandi signori potessero usare anelli per le labbra, fatti d’oro e di pietre preziose, e anche anelli per il naso e orecchini; nessun altro poteva portare tali ornamenti, ma i capitani valorosi e i soldati coraggiosi potevano portare anelli per le labbra e per il naso e orecchini fatti di osso o di legno, o di altri materiali vili, di non grande valore. (D.Duran)
Sarà bene sottolineare che l’opera di legislatore di Montezuma non si limitò affatto all’etichetta di corte e alle norme suntuarie; egli emise anche un nuovo codice di leggi che trattava di questioni generali come l’istruzione, le pratiche religiose e le festività, mentre non ignorava questioni particolari come il trattamento degli adulteri, che dovevano essere lapidati e poi gettati in un fiume. Altro gravissimo reato era l’ubriachezza, e la sua punizione era ancora più severa per i nobili che per il popolo; i nobili potevano essere uccisi subito dopo la prima volta, mentre ai membri del popolo veniva offerta una prova d’appello prima di consegnarli al boia. La severità delle leggi in materia doveva meravigliare i conquistatori spagnoli. Anche certi tipi di furto erano soggetti alla pena di morte, sebbene la punizione di tale reato era generalmente basata sulla nozione della restituzione; per esempio, se uno commetteva un furto in un tempio o in una casa privata, diveniva schiavo in quel luogo finché non aveva ripagato il doppio del danno, una volta a titolo di risarcimento e una volta a titolo di multa.
Grande attenzione veniva prestata al corretto comportamento da parte dei giudici:
E patimenti il sovrano sceglieva per insediarli nella loro funzione giudici che non fossero nobili… Il sovrano poneva in carica e sceglieva come suoi giudici i saggi, i capaci, i sapienti; coloro che ascoltavano e parlavano bene; coloro che avevano buona memoria; coloro che non parlavano stupidamente o con leggerezza; che non facevano amicizia senza pensarci bene e non erano ubriaconi; che custodivano con onore la loro schiatta; che non dormivano troppo, ma si alzavano presto; che non facevano niente né per affetto di amicizia o di parentela, né per inimicizia. Il sovrano poteva condannarli a morte; per questo essi compievano secondo giustizia la loro funzione. Se non fosse stato cosi, questi giudici avrebbero potuto trovare delle scuse per gli errori nei quali potevano incorrere. (Sahagun)
Le misure di Montezuma per il governo di Tenochtitlan, parallele a quelle prese da Nezahualcóyotl per Texcoco, confermano tendenze già prima evidenti. Nuova era, naturalmente, l’esigenza di interventi che aiutassero a governare un impero divenuto più vasto.
Bisognerà prima di tutto sottolineare che non si trattava di un impero vero e proprio, nel senso più stretto del termine. La stessa parola «impero» evoca alla fantasia tutto un apparato di governatori provinciali e di eserciti in armi addetti al controllo dei popoli assoggettati; ma in effetti il reame degli aztechi era piuttosto un’alleanza fra tre potenze stipulata al fine di raccogliere tributi, ottenuti col metodo della spedizione-razzia. La continuità del pagamento era assicurata da funzionari esattori residenti nei posti chiave; se non ci si assoggettava alle loro inchieste, veniva intrapresa una nuova spedizione, venivano messe in atto atroci punizioni e le esazioni aumentavano di colpo. Era un caso di controllo a distanza ottenuto col timore di aspre rappresaglie, piuttosto che di un governo diretto esercitato da proconsoli.
Finché si restava vicini a Tenochtitlan e a Texcoco, tali metodi erano veramente efficaci, e il potere risultava abbastanza solido. Ma le ripetute ribellioni in luoghi più remoti lasciano supporre che non sempre il timore della rappresaglia annullava la tentazione della rivolta.
I sovrani in carica nelle città conquistate restavano di solito al loro posto, soggetti soltanto al pagamento del tributo. Tra loro, alcuni avevano a loro volta propri tributari, e controllavano regioni dove gli aztechi avevano maggiori difficoltà d’intervenire. Si potrebbe naturalmente sostenere che altri imperi, primo fra tutti quello britannico, hanno fatto un uso simile dei potentati locali, e anche dei sotto potentati. Ma gli aztechi tendevano a lasciare un certo margine di libertà a questi capi, che di conseguenza godevano di non poca autonomia. In certi casi, essi avevano addirittura la facoltà di intraprendere spedizioni personali contro altri popoli, sia dentro che fuori dell’impero. Ciascuno manteneva le proprie istituzioni, e solo in casi eccezionali gli aztechi imponevano un governo diretto o militare, sempre però come espediente temporaneo. […]
L’impero non solo mancava di governatori locali, in quanto opposti ai funzionari esattori dei tributi, ma non esiste nemmeno una prova concreta sulla presenza di guarnigioni militari dipendenti dal potere centrale e stazionanti nelle province, caratteristica quest’ultima che fu invece consueta per gli imperi del mondo antico.
NIGEL DAVIES
Da “Gli aztechi” – Editori Riuniti
Foto: Rete