La Pasqua ebraica e quella cristiana cadono sotto il segno dell’Ariete; e l’ariete, ovvero l’agnello maschio diventato adulto, era il protagonista di un mito greco.
Vi si narrava che un principe di nome Frisso avesse rifiutato, come il Giuseppe biblico, la corte insistente della zia Diadice che, offesa dal suo comportamento, decise di vendicarsi: lo accusò davanti al marito di averle tentato violenza. Dopo l’orrenda menzogna, sul paese piombò un’epidemia di peste. L’oracolo, consultato dal re, parve affermare che il flagello sarebbe cessato solo con l’immolazione del colpevole e della sorella Elle.
Ma l’altissimo Zeus, che conosceva la verità, decise di salvare i due innocenti inviando in loro soccorso una nuvola che celava un ariete d’oro. I due si afferrarono al vello del salvatore che si levò in aria dirigendosi verso la Colchide. Mentre l’ariete stava sorvolando il mare del Ponto Eusino, Elle, atterrita da un’improvvisa tempesta di lampi e tuoni, lasciò esausta la presa cadendo nelle acque che da quel giorno si sono chiamate in suo ricordo Ellesponto.
Frisso invece, che aveva resistito imperturbabile, approdò alla Colchide dove sacrificò in onore di Zeus l’ariete salvatore appendendone il vello d’oro a una quercia e ponendovi a guardia un drago. Gli dei, soddisfatti del sacrificio, stabilirono che il vello diventasse fonte di felicità e prosperità per i paesi che l’avessero ospitato. Di quel vello si sarebbe impadronito Giasone durante l’impresa degli Argonauti uccidendo il drago – o addormentandolo, secondo un’altra versione del mito – grazie alla protezione di Atena e di Medea.
Nella cristianità medievale il mito venne interpretato come un’allegoria della Redenzione: l’ariete inviato da Zeus era il Figlio di Dio sacrificatosi per vincere la «forza di gravita» del peccato; Frisso il simbolo dell’uomo che «vi si aggrappa» per superare ogni difficoltà; la sorella, invece, l’emblema di chi non ha la forza di perseverare nella lotta e, non riuscendo più a controllare gli impulsi delle passioni, cade. Il vello d’oro dell’ariete sacrificato era a sua volta un’allusione al sacramento dell’eucaristia, fonte di salvezza che il Cristo offre agli uomini. E Giasone infine il cristiano che ottiene la salvezza attraverso l’eucaristia, combattendo il drago con l’aiuto di Maria ausiliatrice. […]
L’ariete che viene sacrificato per offrire il vello d’oro, pegno di salvezza; Vespero, il figlio del Sole, che si sacrifica entrando nell’Ariete per purificarsi e risorgere come Sole, rinnovando l’anno e il cosmo: sono tante allegorie precristiane che alludono, come figure di un caleidoscopio, a un evento misterioso che si svolge nel «cielo», e ci permettono forse, insieme con gli altri miti e riti pagani dell’equinozio, di cogliere l’origine dei riti e dei simboli della Pasqua ebraica come di quella cristiana, non dimenticando tuttavia che essi vengono reinterpretati in una visione differente.
ALFREDO CATTABIANI
Da “Calendario” – Mondadori
Foto: Rete