Le sacre rappresentazioni

La sacra rappresentazione è una forma di antico teatro religioso italiano, di genere drammatico e musicale, analogo ai misteri francesi (mystères) e inglesi (mistery plays), al tedesco Geistspiele e all’auto sacramental spagnolo.

Sorse nel Medioevo con la nascita delle lingue volgari e lo sviluppo delle nuove espressioni letterarie e si diffuse nei secoli XV e XVI fino alla Controriforma. Dopo secoli di abbandono o di stanca e poco apprezzata ripetizione, gode attualmente di un’interessante fase di riscoperta.

Forme precedenti di liturgia drammatizzata

Il luogo principe della nascita e del primo sviluppo della sacra rappresentazione fu la chiesa, nella quale erano già maturate esperienze di canto e di prosa: in particolare le sequenze ed i tropi avevano preparato il terreno per forme assai più elaborate, non solo nel campo strettamente liturgico (dove di lì a poco avrebbe trionfato la polifonia rinascimentale di Palestrina), ma anche per generi più popolari e paralleli all’ambito rituale, come appunto la sacra rappresentazione.

D’altronde, da secoli la liturgia (parola che etimologicamente significa azione del popolo) era ricca di forme dialoganti, come le antifone, la lettura della Passio o le preghiere in forma di responsorio.

Ma la dura condanna che sin dal II-III secolo i Padri della Chiesa avevano calato su ogni tipo di spettacolo, a causa della licenziosità e della scurrilità che erano dilagate al tempo del Basso Impero, aveva fatto sparire per centinaia di anni ogni forma di esibizione che fosse più di un semplice numero di giocolieri.

Con la rinascita carolingia (IX secolo) e con i primi passi della musica verso le invenzioni dei tropi e delle clausulae anche le forme per così dire teatrali ripresero timidamente, e già nel 970 il vescovo di Winchester aveva descritto una Pasqua a Limoges celebrata con una azione scenica.

La mistione dei tropi con i testi canonici diede luogo agli uffici drammatici, che nei secoli IX e X fiorirono, a partire dalla Francia, come cicli liturgici che rappresentavano i due grandi cardini della vita di Gesù:

 

  • la Nascita, celebrata con le due processioni dell’Officium stellae (i Magi che attraversavano tutta la chiesa fino all’altare dove depositavano i doni) e dell’Officium pastorum (processione dei pastori);
  • la Pasqua, con l’Officium Sepulchri o Visitatio Sepulchri (meglio noto allora come Quem quaeritis, Chi cercate), il Planctus Mariae (pianto di Maria), lo Sponsus (lo sposo).

In generale, la sacra rappresentazione viene fatta risalire più direttamente alle Laude spirituali cantate nel XII secolo, dapprima dalle popolazioni dell’Italia centrale, specie quelle umbre, come accompagnamento alle processioni in onore di Gesù, della Vergine e dei Santi.

Nelle ricorrenze solenni, al termine della processione nella chiesa si offrivano veri e propri spettacoli di drammi spirituali, ai quali partecipava con grande entusiasmo tutto il popolo. Le prime rappresentarono soprattutto la Passione di Cristo; ma ben presto si aggiunsero episodi di San Pietro, San Tommaso, Santa Susanna. Il testo era cantato dai chierici officianti in latino. Una traccia sicura della evoluzione di questa forma liturgica fu il presepe di Greccio realizzato da san Francesco nel 1223: gli studiosi concordano nel riconoscere che il Santo non costruì una scena ferma come quelle che allestiamo oggi, ma realizzò un Officium della nascita.

La nascita nella forma primigenia

Il genere divenne molto popolare e in poco tempo fiorirono numerose, in tutta la penisola, le laude drammatiche o devozioni e le sacre rappresentazioni[6].

In un primo tempo l’azione drammatica seguì l’impianto architettonico delle chiese, nelle quali l’altare e il presbiterio divennero il palcoscenico, mentre il pubblico seguiva dalle navate. L’afflusso popolare sempre più massiccio costrinse a spostare lo “spettacolo” fuori dall’edificio, sul sagrato. La maggior disponibilità di spazi consentì allora una più ampia libertà di azione, che poteva dunque svolgersi in diversi luoghi e diversi tempi, consentendo la moltiplicazione degli episodi. Sul modello della Via crucis, vennero messi in scena veri e propri cicli composti dalla narrazione di una serie di vicende legate in una unità narrativa (per esempio, gli episodi della nascita di Gesù); i singoli passi si svolgevano davanti ad una apposita struttura di legno, detta mansio, e attori e spettatori passavano da una mansio all’altra.

La molteplicità delle scene sganciò subito la sacra rappresentazione dalle ferree regole aristoteliche del teatro classico, poiché l’evento drammatizzato non rispettava quasi mai le unità della tragedia greca di tempo, di luogo e di azione: al contrario, spesso nelle diverse mansiones si svolgevano varie distinte azioni site in luoghi molto diversi e collocate in tempi a volte distanti anche secoli: la vera unità era costituita dal messaggio biblico (un versetto, un evento o una festa) o dal personaggio (un santo, un profeta) che si voleva spiegare ai fedeli.

Si distinguevano generalmente tre tipi:

–   mistero, quando era una rappresentazione della vita di Gesù;

–   miracolo, se si narrava la vita dei santi o un avvenimento biblico;

–   moralità, quando veniva messa in scena la lotta tra i vizi e le virtù.

Le sacre rappresentazioni, in quanto azioni drammatiche nate dalla liturgia dialogante di natura responsoriale, erano sempre cantate, anche se nei primordi, più che una melodia in senso moderno, si trattò di una recitazione ritmica, di un salmodiare nel quale il testo aveva preponderante importanza. La musica, che risentiva moltissimo delle sue origini liturgiche, non aveva una funzione ornamentale ma serviva a conferire accentuazione e senso di trascendentalità. […]

Processione del Venerdì santo ad Orsomarso

La musica

Dal punto di vista musicale si verificò un mutamento significativo, per cui la sacra rappresentazione in alcune parti veniva cantata ma in altre era semplicemente declamata.

La musica, che in origine era composta da canti della chiesa, subì un fenomeno analogo a quello che accadde al linguaggio parlato: come nel latino si era inserito il volgare, così l’aria profana si mescolò al gregoriano. E così mentre i passi liturgici (come il Te Deum) conservavano la propria melodia originale, gli episodi che erano celebrati dalla liturgia popolare avevano un’aria a sé, il più delle volte presa a prestito da canzonette profane.

I versi erano quindi intonati usando formulae melodiche mischiate a laude, frottole, canzoni; inoltre, accanto alle musiche corali apparvero anche i canti sulla lira, meno frequenti ma assai diversi da quelli predominanti in tutta la sacra rappresentazione, in quanto monodici.

Spesso poi le voci dovevano essere accompagnate dagli strumenti, un liuto o una viola, che servivano ai recitanti per prendere la perfetta intonazione.

Processione del Venerdì santo ad Orsomarso

XVI secolo

Nel Cinquecento la sacra rappresentazione divenne un genere sempre più raffinato, con numerosi – a volte numerosissimi attori laici in costume che interpretavano copioni a scena multipla su palcoscenici con scenari disegnati e in alcuni casi anche elaborati macchinari[…]

Le rappresentazioni venivano eseguite di solito all’ora del vespro, ma qualche volta erano talmente lunghe che cominciavano la mattina.

Le musiche riecheggiavano il madrigale, nuovo genere assai in voga; i numeri musicali furono concepiti sempre più come unità distinte, sino a diventare intermedi, cioè interludi drammatici con musica eseguiti fra le scene recitate, per dilatare l’azione o enfatizzare un episodio.

Ma già alla metà del secolo, a causa dell’infiltrazione sempre più invasiva dell’elemento comico nel tessuto religioso, di passo con l’accresciuta tendenza sensuale licenziosa del Rinascimento e del dilagare dell’umorismo triviale e scurrile, la sacra rappresentazione divenne sempre più scadente.

Divenne sempre più massiccia l’introduzione di elementi del tutto eterogenei che avevano ben poco a che fare col dramma religioso: conciliaboli di malandrini, battibecchi di osti, liti tra mercanti, canzonature di giudici ed ecclesiastici, e tutta una serie di macchiette sgangherate e spesso volgari.

Fu combattuta violentemente dalla Controriforma, che ne stigmatizzò la degenerazione. Alla fine del Cinquecento la cultura alta aveva perso ogni interesse per la sacra rappresentazione, che cadde in disuso nelle città. Tuttavia essa conobbe ancora una nuova fioritura nelle campagne. […]

Secoli successivi

Con la condanna della Chiesa la sacra rappresentazione rimase un genere di livello popolare, circoscritto ai paesi di campagna […].

Tuttavia, nonostante i divieti, specie in occasione del Natale e della Pasqua, si continuò per un certo tempo a scrivere e realizzare sacre rappresentazioni. […]

La decadenza progressiva fece scemare sempre più la composizione di nuove rappresentazioni, ed impoverì anche gli allestimenti, spesso ridotti a scene mute realizzate con pupazzi o marionette. […]

Nel Sette-Ottocento non si hanno quasi notizie: ma a partire dagli ultimi decenni del XIX secolo e soprattutto nel Novecento gli studi filologici e storico-letterari hanno rivalutato e approfondito questo particolare genere drammatico.

Attualmente sono numerose le riprese delle antiche tradizioni, con la riedizione di molte sacre rappresentazioni presso santuari e chiese nelle diverse occasioni liturgiche.

 

FONTE: https://it.cathopedia.org/wiki/Sacra_rappresentazione

FOTO: Rete

 

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